La club culture ruota da sempre attorno ai dischi e ai DJ che li selezionano, miscelandoli con dedizione e trascinando con sé la pista sudante. Vista la loro centralità, è normale che molto dello spazio qui su Soundwall sia dedicato proprio agli artisti, ma fermarsi solo alla parte più in vista dell’intero sistema sarebbe riduttivo a dir poco. Per questo abbiamo deciso di raccontare anche le storie dei professionisti che stanno dietro le quinte e che formano l’impalcatura della scena.
Oggi è il turno di Giacomo Serafini, co-fondatore di Basic Frame, distributore di dischi in vinile completamente made in Italy, focalizzato sulla scena elettronica underground. Basic Frame è una realtà che dal 2018 a oggi si è fatta notare per la crescita esponenziale ottenuta senza mai tralasciare la cura artigianale per il prodotto. A catalogo hanno alcuni dei più recenti casi di successo italiani e il loro lavoro li sta portando a farsi notare anche al di fuori dei confini nazionali. L’abbiamo incontrato e ci siamo fatti raccontare qualche dettaglio su come funzioni la catena di distribuzione di un disco in vinile.
Partiamo dalle origini: come nasce il progetto Basic Frame?
Siamo tre soci, io Federico e Lello, due su Roma e uno su Napoli. Come realtà siamo relativamente giovani: l’idea nasce nel 2018 perché un po’ tutti avevamo esperienze come label owner e label manager ed eravamo entrati in contatto con le distribuzioni a livello europeo che negli ultimi dieci anni avevano gestito il grosso del mercato. In quel momento le realtà italiane erano pochissime, lontane dal genere, o autoreferenziali, quindi le label si rivolgevano sempre all’estero. Lì il supporto alla vendita era sempre ottimo, allo stesso tempo, però, finivi per rimanere solo un numero nel catalogo. Questa dinamica un po’ da grossisti faceva sì che non ci fosse quell’attenzione al dettaglio secondo me necessaria per valorizzare un prodotto. In quel preciso momento il nostro lavoro con label si stava chiudendo ed eravamo alla ricerca di un altro progetto su cui buttarci, così abbiamo iniziato prima come reseller italiani per label di amici e in poco tempo ci siamo trasformati in distributori con titoli in esclusiva. Siamo partiti con tre label e in quattro anni abbiamo raggiunto e superato le sessanta etichette, nonostante lo scenario a dir poco instabile.
Beh direi complimenti per il gran risultato! Esattamente di cosa si occupa un distributore e che impatto ha sul successo di un disco?
Per rispondere alla prima domanda, se parliamo di mercato indipendente, dove la catena è molto più breve, il distributore è l’elemento di congiunzione tra la label e il negozio. Noi raccogliamo il catalogo di una label e lo portiamo ai negozi. Negli ultimi anni il distributore è diventato, in alcuni casi, anche più importante della label stessa. Quando riesci a entrare nel rooster di un distributore di un certo peso ti trovi in mano un biglietto da visita molto importante. Il distributore ha un ruolo fondamentale nel successo di un disco, spesso essere distribuiti in maniera errata può portare a scarsi risultati, che però non dipendono dalla qualità del disco stesso. Parlando dei nomi più grossi, se vieni preso nel catalogo giusto, il disco finisce al Dekmantel e diventa una hit. Anche noi nel nostro piccolo cerchiamo di spingere i dischi che distribuiamo e di fare la differenza.
E come la sviluppate questa relazione con i negozi?
Lato negozi, abbiamo uno storico che si è sviluppato prima in Italia e poi in Europa e che viene principalmente da conoscenze personali. Questo ci ha permesso di iniziare nel 2018 con una rete già corposa. Il network poi si ingrandisce sempre di più e, nel frattempo, vanno mantenute le relazioni già avviate. Altrimenti capita che per vari motivi i negozi escano dal tuo radar o viceversa.
Lato label, invece, come scegliete chi entrerà a far parte del vostro catalogo?
Prima di tutto ci tengo a precisare che noi non trattiamo un solo tipo di suono. Ci sono molte realtà vincenti che lo fanno, ma non è il nostro modo di lavorare. È ovvio che andiamo in una direzione legata ad un certo tipo di elettronica, ma non escludiamo prodotti perché hanno una sonorità che non è nelle nostre corde. Il nostro catalogo puoi dividerlo in due macro aree: house e techno, con prevalenza house, però all’interno ci trovi tante sfaccettature. Comunque noi distribuiamo solo dischi a cui crediamo di poter offrire il miglior supporto alle vendite. Per quanto riguarda la selezione, il processo parte prima di tutto dal prodotto, che è quello che parla e quello che verrà venduto. È una cosa che abbiamo affinato sempre più con l’esperienza, anche perché fortunatamente arrivano sempre nuovi clienti, quindi abbiamo tanto materiale con cui confrontarci. Per noi poi è importante capire se le persone alla guida della label siano in grado di affrontare questo percorso assieme a noi. Se ci sono questi ingredienti, si comincia a lavorare assieme.
Cosa consiglieresti a una label prima di proporsi ad entrare a far parte del vostro roster?
Che è importante fare esperienza, viverla come artista, magari come label manager e poi, solo dopo, aprire una propria etichetta. Troppe volte abbiamo visto label improvvisate aperte tanto per, che dopo due o tre release chiudevano. Noi un po’ ce ne accorgiamo quando parliamo con una persona se capiscono le dinamiche, poi capita l’esempio di chi parte da zero e fa l’uscita che spacca tutto e ci costruisce una carriera, ma è raro. È importante anche moderare le aspettative: l’uscita in vinile non sarà sicuramente una svolta epocale, ma sarà percepita solo come una cosa positiva all’interno di uno scenario pieno di tanto altro materiale. Oggi nei negozi di dischi ci sono persone che passano giornate a scaricare newsletter e caricare prodotti sul sito, tante sono le nuove uscite.
Guardando il vostro catalogo verrebbe quasi da dire che si uniscano i pezzi del puzzle di una certa scena italiana. Secondo te esiste o me la sto immaginando?
La scena italiana a livello artistico esiste praticamente dalle origini dell’elettronica ed è tornata fortissima oggi che italo house e italo disco sono molto di moda, generi che abbiamo sostanzialmente inventato noi. Forse quello a cui ti riferisci tu è un fenomeno molto interessante che si è presentato all’inizio della nostra avventura come distributore, quando si è unita la nostra voglia di iniziare con la voglia di altra gente di lanciare un progetto come label. Con molti dei nostri clienti ci siamo trovati perché le esigenze si allineavano perfettamente: nello stesso momento abbiamo creduto al potenziale dello stesso progetto. La scena italiana comunque esiste, è formata da parecchie realtà di qualità, molte delle quali, però, continuano ad andare all’estero. Abbiamo un po’ questa abitudine di mitizzare quel che succede fuori dall’Italia, dove di sicuro lavorano bene, ma i prodotti italiani difficilmente saranno quelli di punta perché loro vogliono spingere quelli locali. Ed è questa, secondo me, la differenza tra la scena italiana e quella estera. Anche perché, parlando di negozi e distributori, faccio fatica a raccontarvi una scena unita, vedo una situazione in cui ognuno va un po’ per i fatti suoi e c’è sempre qualche invidia. Lo noti anche con il classico esempio per cui l’ospite di punta è sempre straniero, quando invece in Italia abbiamo un sacco di talenti.
Cosa si potrebbe fare, secondo te, per migliorare la situazione?
Bisognerebbe sedersi intorno ad un tavolo e mettere sul piatto ognuno le proprie richieste, trovare terreno comune per collaborare e far diventare la scena italiana davvero un blocco coeso e forte.
Comunque sia, è sicuramente notevole che nel 2022 un formato dato per spacciato come il vinile sia ancora in grande salute. Che ruolo ha il disco oggi?
In realtà il vinile nel nostro settore non è mai morto. Di sicuro ci sono stati momenti di difficoltà, legati magari al boom di Beatport o di software come Serato e Traktor, però i negozi hanno resistito, magari hanno rallentato le vendite ma poi si sono ripresi, perché il formato è sempre rimasto centrale. Oggi puoi ancora suonare con i CDJ, ma rimane importante come profilo artistico il saper suonare suonare in vinile. Per quanto riguarda le statistiche di vendita che mostrano una grande crescita, conta che quelle si riferiscono al mercato globale del vinile, che include anche Coldplay, Beatles, eccetera, perché morto il supporto del CD e con il boom dello streaming, si è creata la necessità di avere un qualcosa di fisico e tangibile legato alla musica. Guardando più al nostro settore, oggi il vinile è ancora a buoni livelli, anche se non paragonabile agli anni ‘90.
Nonostante lo stato di buona salute del mercato, però, mi pare di percepire un po’ di pessimismo per via dei costi alti e dei tempi d’attesa infiniti.
Riassumendo in poche parole, la colpa è delle major che stampano Coldplay, Rihanna e i Beatles. Mettici poi l’inflazione legata alle conseguenze della pandemia, mettici poi l’inflazione legata all’energia, è lì che i costi e le tempistiche aumentano e tutta la catena ne risente.
E come sta reagendo il mercato?
Semplicemente tutti per sopravvivere abbiamo dovuto alzare i prezzi. Sarà interessante capire cosa succederà quando le persone con lo stesso potere d’acquisto non riusciranno più a comprare gli stessi dischi di prima. Anche perché le stime dicono che la maggior parte di chi acquista sono appassionati, che magari hanno un paio di serate, ma non sono professionisti, quindi i fondi arrivano dal di fuori dell’industria. I prezzi sono praticamente raddoppiati in 10 anni, se continuiamo ad aumentarli e i budget di chi acquista non aumentano di pari passo, prima o poi la bolla esploderà. Lì bisognerà vedere se sopravviveranno quelli con più potenza economica o quelli che invece propongono prodotti di qualità.
Stampare un disco comporta investimenti per il mastering, la produzione, la distribuzione, eccetera. Non è già questo un filtro qualità?
Se parli di distribuzione, ad esempio, quella digitale oggi è facilissima, con un click si va ovunque, pochissimi store fanno selezione. Sul fisico invece è diverso, a parte pochi store che comprano tutto, i negozi fanno molta selezione su cosa tenere. Oggi fare un’uscita in digitale è quasi come non farla, ti serve l’uscita in vinile per emergere, anche se non è come 15 anni fa, quando ad uscire in vinile erano solo i migliori. Diciamo che l’uscita in vinile crea un minimo filtro di qualità, anche se non tutto quello che esce su disco è necessariamente un buon prodotto.
Chiudiamo parlando di una release che per te ha valore speciale.
Guarda stiamo lavorando in questo momento per una release di un disco uscito tanto tempo fa che è molto speciale per noi e per la scena, però per scaramanzia non possiamo citarlo. Lasciamo qui sotto un placeholder e tra un annetto ci mettiamo la traccia da ascoltare!