Era ormai più di quattro anni fa, quando incontravamo Myss Keta per la prima volta: per molti era ancora un “personaggio” da gag, una estensione di quella scintilla originaria a titolo “Milano sushi e coca”, ma proprio in quel momento un po’ di cose stavano cambiando attorno a lei, e si stavano ponendo le basi per strutturare qualcosa di consistente attorno al personaggio-Keta, non più gag estemporanea insomma ma autrice ed artista in grado di lasciare un segno duraturo. Proprio per questo motivo, contrariamente a quello che più o meno accadeva con gli altri media – e che lei si divertiva a far accadere – le dedicammo una intervista “seria”, dribblando i tentativi di buttarla in caciara. Quattro anni dopo, avevamo ragione noi e ha avuto ragione lei: Keta è infatti ancora qui, sempre più popolare, sempre più strutturata musicalmente, sempre più regolarmente in giro per concerti con tour veri e propri (pandemie permettendo). Anche il suo nuovo album, “Club Topperia”, è una crescita: di suoni, di riferimenti. Torniamo sul luogo del delitto, torniamo a parlare con la Myss: e che lei sia – dentro o fuori dal personaggio – una persona di notevole spessore, lo si capisce anche dalle parole illuminanti su ciò che il clubbing è stato e su ciò che forse (non) sarà più.
Allora, allora: la prima volta che ci eravamo fatti una lunga chiacchierata, se ti ricordi, venne fuori una intervista seria nel momento in cui invece quasi tutti ti trattavano come un personaggio “divertente” ed effimero, con cui fare le interviste ironiche e cazzeggiatorie. Nel frattempo un po’ di cose sono cambiate: sei ancora qua, sei diventata assolutamente credibile, ti chiamano e cercano un po’ tutti. Magari ora sarebbe il momento di farla noi, un’intervista-cazzeggio?
Ma volentieri!
Però ecco: ‘sta cosa di Myss Keta è diventato un affare più serio di quello che pensavi all’inizio?
Certo.
Non te l’aspettavi, insomma.
Ma chi si aspetta cosa, in fondo. Vivi la vita: ed arriva quel che arriva.
Ci sta.
Poi chiaro, la vivi ma a questo vivere dai di volta in volta delle direzioni. Io credo sia importante, nel momento in cui annusi qualcosa di bello, qualcosa che ti può rendere felice, qualcosa che ti può rendere orgogliosa, intercettarlo e cavalcarlo. All’inizio è stato l’esperimento di “Milano sushi e coca”, e nel momento in cui ha funzionato sono contenta di aver proseguito su quell’onda. In fondo è giusto questione di sapere fiutare quello che ti può fare felice ed andarci incontro, no?
Quello che ti può fare felice, o quello che ti può anche far svoltare professionalmente?
Onesta? All’inizio era solo semplice divertimento, e andava benissimo così. Ma Myss Keta è nata sotto una bella stella: noi di Motel Forlanini eravamo ispiratissimi nel creare un progetto totale, che fosse musica ma anche video, comunicazione, tutto. Era il nostro sfogo, all’inizio, quando ci prendevamo una pausa dalla vita normale della quotidianità. Poi ad un certo punto ci siamo resi conto che potevamo alzare sempre di più il livello: ma lo facevamo sapendo che era un progetto nato sotto una bella stella, come ti dicevo – la stella del divertimento, del buttarsi, del lasciarsi andare. Credo che tutto abbia funzionato così bene proprio per questo.
Col fatto che all’inizio era solo divertimento senza aspettative, facile vi siate logorati di meno.
Se crei un personaggio come la Myss, in nessun modo puoi pensare “Ecco, io con questo sfondo, divento famosa”. E’ un divertissement, punto. Dove vuoi che vada, una cosa così. Deve giusto divertire te, e chi sa ridere con te.
E invece è andata in altro modo. Ma rispetto a quegli anni iniziali, si è perso qualcosa? E intendo proprio come Motel Forlanini, che era una vera e propria comunità.
Eh, fai conto che sono passati quasi nove anni: in nove anni si cambia. Cambia la vita, cambia il lavoro e il modo in cui lo porti avanti, cambiano le esigenze. A volte se dai più spazio ad una cosa, devi toglierne ad un’altra. E questo può valere anche per le persone. Inevitabile. Un po’ di cose attorno a Motel sono cambiate: c’è chi ha preso altre vie, c’è chi invece ci è rimasto dentro. Cosa abbiamo perso, dopo nove anni? Probabilmente il fatto che all’inizio, con “Milano sushi e coca”, non pensavamo al domani. Oggi, sai: ti ingrandisci, giri di più, fai album… Da quello che fai tu dipende anche il lavoro e il guadagno di altre persone, e questa è una responsabilità.
Ecco, esatto.
Cambia il livello di responsabilità, sì. E’ inevitabile; ed anzi, è anche un bene che sia così. Pensaci: quando fai le cose impari, e più impari più le cose le vuoi fare meglio, no? Diventa una sfida anche con se stessi. E aggiungi nuovi elementi: nel momento in cui voglio iniziare a mettere delle parti melodiche, devo allenarmi bene, devo tenermi in un certo modo, l’uso della voce ha le sue richieste e le sue accortezze. Ma io adoro che ci sia questo elemento di sfida, “agonistico” insomma: non ci fosse, avrebbe tutto molto meno gusto per me. Quindi se da un lato c’è effettivamente il senso di responsabilità verso altre persone, dall’altro – e queste due cose sono legate assieme – c’è il senso della sfida, l’elemento “agonistico” che è parte della mia personalità. Mi gasa, tutto questo. Mi dà il brivido.
Non c’è mai stato però un momento in cui avresti voluto “dimetterti” dal personaggio di Myss Keta?
Dimettermi?
Sì.
Eh, guarda…
Myss Keta ti ha decisamente “assunto”.
Myss mi ha preso in affitto. E in affido. Dimettermi da Myss Keta? Io mi prendo delle pause. Delle pause interiori. Anche perché se finissi in burn out con Myss, diventerebbe tutto piuttosto problematico da gestire, i danni potrebbero essere tanti. Per ora però mi pare tutto sotto controllo. Riesco a prendermi delle pause quando è giusto che me le prenda. Chiaro, ci sono dei momenti che… Come ora: disco nuovo, promo, lancio, non è insomma che puoi prenderti delle pause adesso. Ma va bene, sai: questa Myss bisogna anche saperla far evolvere, bisogna far lanciare anche lei verso sfide sempre più impegnative.
Altrimenti ti annoi.
Esatto.
Con questo disco tra l’altro è evidente una evoluzione proprio sonora: sei andata a pescare in altri ambiti musicali e, direi, anche in diversi periodi storici.
Vero.
Prima era tutto all’insegna dell’urban più contemporaneo e in caso sperimentale, qua invece saltano fuori nostalgie disco, addirittura c’è un lento…
E’ un album ispirato tantissimo dalla disco. Dalla disco, sì, più ancora che dalla house o dalla techno, che invece permeavano molto l’EP precedente. E’ sempre stato un mio sogno entrare in quell’immaginario sonoro lì, e in questo periodo io e Riva di vecchia disco ne abbiamo ascoltata tantissima: era insomma inevitabile finisse a diventare una parte fondamentale dell’album. Che poi il mio sogno sarebbe fare una release disco “alla vecchia maniera”, tutto suonato, con la band, l’orchestra… Magari se faccio Sanremo ci riesco? Ciao, amici della Universal – mi state ascoltando? (ride, NdI)
Non lo so quanto tu possa convincerli davvero… (altre risate, NdI)
Tornando seri, io credo che questa fase pandemica ci abbia resi ancora più nostalgici del solito, come attitudine – e già noi di nostro siamo una generazione molto facile alla nostalgia, anche di cose che non abbiamo mai vissuto realmente.
La retromania è affare nostro, vero. Ci caratterizza generazionalmente. Mentre invece i nostri genitori non l’avrebbero proprio saputo concepire, come concetto, mi sa. Loro al massimo erano conservatori. Ma questa è un’altra cosa.
Esatto. E poi, il lockdown, pensaci: ovvero un qualcosa che davvero ti ha obbligato a schiacciare tutto dentro di te come non mai, i tuoi sogni, i tuoi desideri, le tue fantasie. E nel mio caso, era la disco degli anni ’80, lo Studio 54, il Plastic quando ci andavano la Grace Jones ed Elio Fiorucci, il Cocoricò degli anni ’90… Tutte queste nostalgie si sono fuse in un unico album. “Club Topperia” penso effettivamente sia un lavoro fuori dal tempo e fuori dallo spazio.
Ecco, mi hanno comunque sorpreso i tanti, espliciti richiami al Cocoricò degli anni ’90. A una signora non si chiede mai l’età, ma dubito che Myss abbia fatto in tempo a viverle, certe cose.
Beh, diciamo che io mi nutro tantissimo di immaginari visivi e di studi approfonditi su quel settore.
Sei una secchiona.
Un pochino, dai. E quando fai tanta ricerca su un certo tipo di mondi, è normale che ad un certo punto ti sembra quasi di averli vissuti davvero: li vivi nella tua testa. Ma è una cosa che prende tutto il team di Myss: tutti noi siamo ossessionati dal clubbing più iconico, che sia quello degli anni ’70 e ’80, che sia quello degli anni ’90, che sia anche quello dei rave illegali. Tutto quello che insomma è stato in grado di lasciare un segno, più ancora che un risultato economico. In questi anni strani, in cui all’improvviso ci siamo ritrovati chiusi in casa impossibilitati a fare alcunché, è venuto ancora più naturale “unire” tutto questo, mettere in un unico contenitore tutti questi filoni e tutti questi immaginari che, comunque, derivano da un unico albero, quello del clubbing.
In effetti, per fare la cosa “giusta”, avresti dovuto invece puntare più sul mondo urban, quello hip hop e trap.
Un po’ c’è. Penso che nel disco ci sia il giusto equilibrio.
Guarda che te lo dico come complimento, non per rimproverarti una mancanza o un anacronismo.
Tutti gli ospiti che vedi nell’album sono funzionali al disco. Non avevo l’elenchino di “quelli che funzionano” da ficcare dentro.
A proposito di ospiti non convenzionali: a Silvia Calderoni, che è prima di tutto un’attrice teatrale strepitosa, come ci sei arrivata?
Avevo visto quel suo film in bianco e nero, “La leggenda di Kaspar Hauser”, hai presente?
Certo.
Vedendolo, sono rimasta folgorata. C’è ad esempio quella scena sulla spiaggia, in cui Silvia balla… Scena che abbiamo ripreso in “Giovanna Hardcore”. Quel film è stato illuminante e lei, beh, lei era affascinantissima. E allora avevo scritto questa poesia… un pout pourri di parole. Tu lo sai no che al Cocco c’era questo privé che…
Guarda che io Silvia l’ho conosciuta proprio al Cocco. Mille anni fa. Fine anni ’90, lei aveva 18 anni o giù di lì.
Ecco, vedi! Del Cocco trovavo pazzesco che ci fosse questo spazio molto legato all’arte, il Morphine, dove spesso passavano attori, ballerini, intellettuali vari, così come trovavo meraviglioso che ci fosse una console anche in uno dei bagni. Tutto questo lo trovavo e lo trovo stupendo, perché davvero riesce a scardinare i confini della discoteca tradizionale, invitandoti ad esplorare altre dimensioni, a contaminare quello che mai avresti pensato di accostare. Insomma, scrivo questa poesia, con tutte queste cose in mente, e la mando in DM a Silvia. E lì lei mi dice che il Cocco lo conosceva benissimo e lo frequentava già da giovanissima…
Non lo sapevi quindi!
No!
Ma senti, tornerà mai quel tipo di clubbing lì, quello del Cocco anni ’90?
Quello che oggi manca, e che prima invece era fondamentale, è la socialità. Pensaci: tu prima andavi nei club soprattutto perché volevi conoscere persone che in qualche modo sapevi che potevano essere simili a te. “Stai venendo qui, a questa serata, in questo club, quindi probabilmente ci piace un simile tipo di musica, un simile tipo di film, un simile tipo di immaginario”. Oggi questo elemento s’è perso. Lo trovi tutto on line.
Vero.
Quindi secondo me il vero valore aggiunto del club era il fatto che ti ritrovavi in un ambiente che ti spingeva fin da subito alla condivisione; così come era il posto dove volevi, anzi, dovevi andare se volevi conoscere dei tuoi “simili”. Oggi invece le persone le conosci prima fuori, in primis on line, e solo dopo le porti nel club. Non è una differenza da poco, purtroppo. E chissà se si tornerà mai alle dinamiche di un tempo.
Senti, vorrei farti una domanda finale molto marzulliana.
Oh sì, ti prego!
Ora che finalmente ti stanno prendendo tutti sul serio, c’è il rischio che Myss Keta inizi a prendere troppo sul serio se stessa?
Allora. La cosa che non vorrei perdere, è un certo tipo di leggerezza mentale. Diciamo che il senso di responsabilità di cui parlavamo all’inizio rischia, effettivamente, di appesantire un po’ le cose. E’ un continuo allenamento mantenere il giusto equilibrio tra questi due approcci: perché è la leggerezza di “Milano sushi e coca” ad avermi fatto affrontare bene anche tutto quello che è arrivato dopo, ma al tempo stesso trovo importante il senso di responsabilità che è sopravvenuto. E’ una tensione continua tra questi due estremi. Va bene così: in questo modo sono sempre in allenamento.