Durante alcuni dei vari giri tra i palchi di casa nostra a sentire musica, quest’estate, una domanda ricorrente era (e sono sicuro, non solo la mia) quale fosse il contesto ideale per far funzionare un festival, oggi, dalle nostre parti. Intendiamoci: perché funzioni, si sa, una rassegna musicale che ha luogo nel 2022 (dove rassegna racchiude un po’ anche il sintomo del ragionamento: che include anche molto altro, rispetto la musica) trova ormai al suo interno decine di logiche collaterali, talvolta quasi estranee alla fattura stessa della musica offerta. Dal ruolo scenografico alla bontà della location, dalla versatilità dei luoghi alle possibilità di “muoversi”, “incontrare”, “ esplorare”, oltre quello che su carta mi offre l’evento. Resta invariato, però, il fatto che tutto ciò che ci ha avvicinato a un’estate così ricca di eventi e festival—di piccola o larga dimensione—ci ha anche spinto a giudicare con fare sempre più critico, indagatore. Diciamolo, a volte (fin troppo) pretestuoso.
Insomma, arriviamo al dunque: tra i km macinati da queste parti (fra Sicilia, Roma, Piemonte e Toscana), un posto che non pensavo di dover mettere a un certo punto sulla cartina era la Calabria. Davvero. Com’è successo? Perché la tre giorni di FRAC Festival (poi diventata due, causa maltempo maldestro durante la Domenica di chiusura) era l’identikit perfetto dell’outsider che vuole dire la sua, fin dalla line-up con cui si presentava: artisti dell’elettronica in rampa di lancio (come Lorenzo Senni e Marina Herlop, appena rientrati dai palchi di Primavera Sound), giramondo autoctoni della consolle (Eva Geist—in Calabria in versione live—e il duo Stump Valley) e sonorità eclettiche seppur sempre più di confine, tra entrambe le dimensioni e anche oltre (Mai Mai Mai, Daykoda, Inude). E insomma, tutto l’occorrente per fare un’esperienza diversa, da raccontare, per me c’era. E di fatto, è stata anche una discreta sintesi di questo fantasioso case study che potremmo titolare “Come siamo tornati a vivere gli eventi nel 2022 post-pandemico”.
La cosa che più saltava all’occhio, leggendo il programma, era che il ritorno dopo i due anni di confusione e abbattimento generale—per chi fa questo mestiere e per chi fruisce degli eventi dal vivo—dovesse centrare un obiettivo ben preciso: far tornare al pubblico la voglia di scoprire (e scoprirsi), tra un palco e l’altro, tra un ascolto e un incontro diverso. Sì, direte, ma è stato quello che hanno cercato di fare un po’ tutti. Nì, direi io. Il claim del festival, del resto, recitava “In Your Eyes”, la celebrazione di un nuovo inizio vista dagli occhi di chi tornava a essere lì, insieme, per la musica. Ma insieme, davvero, in spazi che non ricordano quelli che siamo abituati a considerare “grandi eventi”, “mega line-up”. Non solo: tra sessioni di yoga sonorizzate, trekking e performing art, Torre dei Cavalieri, su una collina a due passi dal mare e con un giardino a cielo aperto (sotto le stelle di Agosto) si trasforma in un palcoscenico sempre un po’ diverso. E sì, pur nella sua estrema semplicità, fa tutto sommato il suo gioco: vedi gli altri negli occhi, gli altri vedono i tuoi. La musica ti è accanto, non ti riempie di domande. Oh, non è male.
La particolarità dei live, insomma, è stata sicuramente l’estrema vicinanza con il palco, a una manciata di metri da chi sta suonando, cosa che rende l’intimità dello stage un lasciapassare alla leggerezza: gli artisti sono in fila al tuo stesso bar, chiacchierano durante un cambio palco, qualcuno te lo trovi in pista per il dj set che si protrae fino a notte. Complicità, leggerezza, pochi fronzoli: ha detto questo FRAC, che ha corso il rischio di perdersi nel mare magnum dell’offerta Italiana di quest’anno, ma che tutto sommato ha dato segnali di poter tornare più maturo. Rischio, lo diciamo, che è persino consapevole, perché la costa di Lamezia Terme, per quanto cornice meravigliosa, non ha l’appeal di luoghi già noti e rodati, sul nostro calendario dei festival.
E poi per la formula estremamente raccolta della location, che in alcuni casi rende il pubblico—pur variegato—non sempre consapevole: «in Calabria non si è troppo abituati a un evento che inizia alle 10 di sera: c’è da aspettare un po’», mi dicono alcuni amici del posto, mentre Marina Herlop (lì letteralmente dopo essere scesa da un aereo, dal Dekmantel) si esibisce a tu per tu con gente distante una manciata di metri. Sì, ma che è ancora meno della metà di quanto sarà intorno alle 2 di notte: un vero peccato, considerato il colpo di averci lì un’artista così. C’è stato però tempo di fare gli auguri a Daykoda, che qualche ora dopo la sua performance, alla mezzanotte, brindava in mezzo ai pini per il suo compleanno, e di godersi poi live impeccabili come quelli Lorenzo Senni (granitico e saltellante) e Mai Mai Mai (in una dimensione pressoché perfetta per estremizzare la crudezza e la cazzimma, della sua musica).
Insomma, l’intimità ha pagato? Certo. E di quello che abbiamo visto in giro per l’Italia, in questi mesi, rimane il fatto sia un concetto che viene (e verrà sempre più spesso) messo al centro della contesa, di default. Per compensare un’attesa che cominciava ormai ad essere estenuante, sicuramente, ma anche per dimostrare di aver trovato delle chiavi diverse, di questo gioco. Va ricercata una formula, infatti, che alla stessa si accompagni una giusta e naturale consapevolezza: la bellezza di trovarsi tra montagna, mare e un cielo privo di nuvole, una sera di agosto, restituisce al volto di FRAC Festival un carattere che difficilmente un palco più ridondante (nelle dimensioni o nella notorietà) può e potrà darti.
Adesso le marce vanno raddoppiate, per tutto il resto, già dall’edizione 2023: va capito come renderla esperienza ancora più cosciente, seguita e voluta anche perché sa fare quello che sa fare, cioè stimolare l’incontro sano, senza bisogno di ostentare barriere e inciampare su infinite code a bar e botteghini. Ripartiamo da qui, senza fronzoli e senza troppe indagini. Ché per il resto (si spera, ma ci credo), c’è anche tanta musica che è pronta e decisa a fare il resto, dei grandi eventi dal vivo.
Foto di Carmen Stocco