Qualcuno che starà leggendo queste righe c’era, probabilmente, alla prima edizione di Club To Club. C’era, quando anche Torino – una Torino pre-Olimpica clamorosamente vitale, selvaggia ed affascinante – provava a rifare a modo sua l’intuizione avuta prima a Milano con X-Hop: una notte, una rete di club, un biglietto unico, l’invito al nomadismo. E tanta qualità, distante dai divertimentifici dozzinali, stantii e commerciali di ciò che era allora (…ed è ancora adesso?) “discoteca”. La sfida, perché in quegli anni era una sfida ed era giocata attraverso santuari e navicelle spaziali a nome Maffia, Link, Tunnel, Brancaleone, Interzona, era quella di sintonizzarsi con le lunghezze d’onda più raffinate, sofisticate, coraggiose. Per dimostrare che il dancefloor era cultura, non solo edonismo bamba, cubiste e champagne; per dimostrare che l’elettronica era una musica splendida, piena di specificità e raffinatezze, degna del cuore delle migliori menti fra gli appassionati di musica capace di guardare al futuro (o ad immaginare un presente migliore, più tagliente e meno dannatamente provinciale e strapaesano).
Non sapevamo quanto Club To Club sarebbe durato. C’era, già allora ed anzi forse allora più ancora che oggi, un maledetto senso di precarietà: se giocavi fuori dal coro, fuori cioè dal commerciale, pensavi che tutto sarebbe stato ad un certo punto spazzato via dal Sistema – e allora tanto valeva godersi quei pochi, incredibili momenti in cui eri protagonista, in cui la “tua” musica, la “tua” cultura, la “tua” sensibilità era protagonista.
Infatti moltissime esperienze di quegli anni si sono perse, o sono mutate “normalizzandosi”. Non che sia andato perduto tutto il capitale culturale, ed il senso di novità: anzi, la verità è che tutti quelli che oggi pascolano allegri per i cieli e i numeri di Ibiza, e/o della melodic techno, e/o del wannabe undergroundismo berlinevole, in realtà godono i frutti di chi si è fatto un mazzo tanto per togliere il clubbing ai localari, alla house loffia, alle commercialate svergognate e restituirglielo dicendo “Ehi ragazzi, guardate che in queste cose c’è di più. C’è musica, cultura, arte, passione, ricerca, coraggio. Fateci pure i soldi sopra: ma sappiate che nel DNA di quello che ora vi fa guadagnare c’è (anche) la cultura, non solo i rientri dei PR”.
In tutta questa fondamentale storia culturale, Club To Club – oggi C2C – è un gigante. Un gigante capace di arrivare al ventennale molto, molto, molto più in forma rispetto ai suoi primi anni. In un mix di scelte illuminate, crescita oculata, cazzimma competitiva ai limiti dell’antipatia (ma sempre con incriticabile lucidità), coraggio artistico e conoscenza sconfinata dello “spirito” della musica elettronica e non solo dei suoi epifenomeni più visibili e vendibili, il festival sabaudo è riuscito a costruirsi un’identità che pochi, pochissimi festival in Europa hanno. E pochi anche nel mondo. Non so se vi rendete conto della portata della cosa. Non gli ha regalato niente nessuno. L’unico regalo, forse, è Torino: l’unica città in Italia dove è possibile fare festival su larga scala, l’unica città®ione dove – pur con molti balbettii – l’amministrazione tenta di aiutare anche le culture non salottiere. Ok. Ma detto questo, C2C si è costruito tutto da solo negli anni un pubblico, un’identità, un immaginario, una riconoscibilità, un ruolo totale ed incontestabile di opinion leader.
Oggi C2C apre la sua edizione del ventennale. Non serve fare nomi, non serve (per ora) raccontare il programma: il festival è già sold out, in tutte le sue giornate, tranne l’ultima domenica 6 novembre, lì resta ancora una manciata di biglietti disponibili. Forse iniziamo a dare troppo per scontato che C2C “funzioni” così bene, ma in realtà riesce a creare questo interesse e questa passione (anche) con scelte difficili, (anche) con line up ostiche, (anche investendo) tantissimo tempo e denaro nel presentare al pubblico cose nuove, complesse, non sempre digeribili al primo colpo. Non sono gli unici a farlo; ma sono gli unici ad essere riuscito a farlo per migliaia, migliaia e migliaia di persone.
Lo ripetiamo: un risultato semplicemente enorme. Nato non dalla fortuna ma da una costanza, da una attenzione ai dettagli, da una convinzione in sé e nelle sue scelte che è quasi maniacale, e che caratterizza tutti gli eventi che negli anni sono riusciti a diventare iconici. Ripensare a quella primissima edizione di Club To Club, a muoversi per i locali di Torino (…ma quanto cazzo era lontano l’Hiroshima Mon Amour, agli occhi dei non-torinesi), fa quasi tenerezza. Ma fa anche tanto, tantissimo orgoglio: per chi c’era, per chi ha seguito la crescita edizione dopo edizione, tra chi è stato al fianco nei successi ma anche nei momenti meno riusciti (ce ne sono stati) criticando in modo costruttivo. Quest’anno C2C promette tra l’altro una cosa importante: una attenzione inedita alla qualità complessiva dell’esperienza ed all’allestimento degli spazi, forse il maggior punto debole da quando il festival è diventato adulto&forte (e quindi ci si sentiva in diritto di chiedergli tanto).
Vediamo se sarà così. Ma quello che è sicuro è che già così, già oggi, già da vent’anni, Club To Club ha vinto, diventando un esempio per tutti. E non ha intenzione di fermarsi. In vent’anni il clubbing e la cultura elettronica in Italia si sono molto strutturati e professionalizzati, oggi in realtà anche se molti nostalgici dissentono si sta molto meglio rispetto all’acrobatico ed instabile passato. Ma se un tempo era Club To Club a inseguire le best practice, oggi C2C è “la” best practice per eccellenza sotto molti punti di vista. Un esempio, una lezione.
Sentiamoci tutti benvenuti al ventennale. Perché il padrone di casa, ovvero il festival in sé, è un padrone speciale.