È la settimana del Primavera Sound “madre”, quello che si svolge a Barcellona: ovvero quello che sempre più è il festival più grande ed importante d’Europa (Glasto ormai è una cellula a sé, quasi un grandioso detrito di un’altra era), ed anzi uno dei più grandi ed importanti del mondo. Lo si capisce non solo dalla line up, che è la cosa più evidente e trionfale, ma dalla quantità veramente smodata di sponsor che spintonano fra di loro per essere partner dell’evento: chi sponsorizzando palchi, chi essendo comunque presente nell’area dell’evento e nelle varie comunicazioni ufficiali. Un effetto-Coachella che ormai ha toccato anche un festival nato fieramente come indie, e che ha lavorato talmente bene su quel campo da diventare major a tutti gli effetti (…e trascinando in qualche modo lo stesso concetto di “indie” a diventare una nuova forma del mainstream 2.0, e non più un “partito” d’opposizione ed antagonismo al commerciale).
Insomma, non pensiamo di esagerare se diciamo che il Primavera è il festival più importante del mondo se si vogliono capire le nuove coordinate “che contano” nell’industria musicale, e non ci si accontenta di stare solo al traino del già noto, già consolidato, già commercializzato allo stremo. Partendo da questo presupposto, è doppiamente importante che già da anni lo staff del festival utilizzi tempo, risorse e denaro per dare vita ad una sezione Pro (ecco quella di quest’anno): ovvero, lì dove si radunano vari addetti al settore dell’industria musicale e si organizzano panel, incontri, workshop. Pensateci: non sarebbe tenuto a farlo. Notoriamente queste cose non è che portino granché biglietti, ma in realtà il Primavera ormai da anni ha la necessità quasi più di tener lontane le persone, che di riempire ulteriormente la smisurata area del Parc del Forum.
Però ecco: evidentemente il festival catalano sente la responsabilità del ruolo che ha (e delle fortune che ha ottenuto), e vuole “restituire” qualcosa all’eco-sistema che lo nutre e da cui è nato. “Restituire” sotto forma di pensiero, di ragionamento, di strutture ed occasioni di networking a disposizione di tutti (…o comunque, di quelli interessati). Non è una cosa che faccia notizia tanto quanto Kendrick o i Depeche o i New Order, o anche le centinaia di altri act succosissimi che riempiono il cartellone, ma se si ragiona sul lungo termine è un segnale molto, molto importante.
Così come è importante che in Italia appuntamenti di questo tipo stiano crescendo. Inizialmente era il MEI, Meeting Etichette Indipendenti, che però già da anni ha fatto di tutto per diventare una cosa residuale ed essere ignorato da quello stesso mondo indie che 1) era il suo target di riferimento 2) nel frattempo è diventato grande e discretamente potente. Poi sono nate realtà mica male di spessore davvero europeo come Medimex, grazie anche alla iniezione finanziaria arrivata in Puglia nell’eco-sistema musicale via bandi europei oculatamente vinti, o anche Linecheck, a Milano, che danza nel suo rapporto stranamente complesso con la contemporanea Milano Music Week (perché anche quest’ultima spinge molto su quello che è la ragione sociale di Linecheck: non solo e non tanto concerti insomma, ma eventi in cui gli addetti al settore ed i professionisti si incontrano e confrontano). Ma ultimamente ci sono anche nuove rifrazioni, come ad esempio la deliziosa Sicily Music Conference svoltasi un paio di settimane fa a Palermo, che sinceramente ci ha sorpreso per presenze ed interesse per tutte le persone che sono passate di lì in tre giorni (talk e workshop molto partecipati: con pubblico bello sia in quantità che in qualità). Così come calda e partecipata è stata l’ultima adunata approntata da KeepOn, la più valida rete di rappresentanza per chi si occupa di musica live a livello non solo mainstream e non solo-grandi-numeri.
Tutto questo è un bene. È un gran bene. Per troppo tempo la musica è stata vista come un hobby 2.0 dove c’è che conta di più è l’arte di “arrangiarsi”, un eroico e romantico “ognun per sé”: sì, magari ti lamentavi e ti lamenti di essere poco considerato dalle istituzioni e di essere visto come un lavoro-non-lavoro, però come fai ad essere preso sul serio se tu per primo non ti senti “adulto” abbastanza, “professionale” abbastanza? Nel mondo delle professioni, da sempre, ci sono i congressi, le associazioni, ci si sforza di trovare un modo di organizzarsi a livello di categoria per fare lobbying lì dove necessario (ed ottenere quindi visibilità ed appoggi presso le istituzioni). Non crediamo sia un caso se questa nuova tendenza ad incontrarsi, a contarsi e a raccontarsi dell’ecosistema della musica (dal live alla discografia, dal mainstream all’indie) sia coincisa con una ripresa dell’ecosistema in questione. Non c’è una correlazione diretta, immediata, ma sul lungo periodo vedersi, ragionare, confrontarsi su temi anche molto pratici e tecnici (e molto “politici”, se necessario) porta dei benefici, anche solo a livello di crescita attitudinale dei singoli operatori.
In tutto questo il clubbing langue: esiste e resiste sempre solo il SILB, gli altri tentativi che parevano ruggire nei tempi cupi della pandemia paiono essersi volatilizzati sotto l’imperativo del “C’avemo da fattura’, lasciatece in pace”. Giusto alcuni festival e qualche weekend speciale tengono alta la guardia organizzando talk e workshop: onore a loro. Forse però sarebbe davvero il caso di rifletterci su. Parlare sembra un’attività inutile: ma se parli tra pari, e se lo fai per mettere in circolazione idee, pratiche virtuose e soluzioni, può essere un investimento migliore di strapagare per l’ennesima volta quel dj che un tempo ti faceva guadagnare 80.000 euro senza sforzo in una sera, e oggi cara grazia se ne porti a casa la metà (o, più facilmente ancora, ormai ci perdi pure). La scena nazionale più legata al clubbing dovremmo imparare a parlarsi di più. Dovrebbe insomma creare i suoi Pro, come ha fatto il Primavera in tempi non sospetti, ormai più di dieci anni fa: non ci sembra gli abbia fatto male, che dite?