Il programma era Almost True, 2012 circa, ed a condurlo un misterioso Carlo Lucarelli che in una puntata affrontava lo spinoso argomento: “La guerra fredda del dancefloor”.
Trama: il Segretario di Stato americano, Henry Kissinger, per mettere fine al blocco sovietico ingegna un escamotage: la disco music può essere la mossa decisiva per vincere la Guerra Fredda. Parte l’operazione della Cia “You Should Be Dancining” con l’obiettivo di allontanare i giovani dalla contestazione e portarli verso le discoteche. Subito si puntano i fari su un obiettivo principale: sono due personaggi che cantano in spagnolo e agitano le folle come non mai. I Righeira. Vanno assolutamente eliminati: la data stabilita è il 7 Settembre 1985 durante la serata finale del Festivalbar.
…per fortuna il racconto è ovviamente immaginario, Lucarelli nel suo show si divertiva a creare situazioni infondate per il semplice gusto di romanzarci su. Dal lato strettamente musicale, invece, un’altra data emerge a fare da spartiacque, in modo ben più concreto e tangibile: parliamo del 1983. Anno fondamentale, dove proprio in Italia buona parte della produzione disco, italo, new wave, proto house inonderà il mercato internazionale anche e soprattutto con un upgrade sonoro avvenuto con un uso massiccio di batterie elettroniche e synth. Una testimonianza diretta di quel periodo ci arriva proprio dal nuovo splendido libro di Fabio De Luca, Oh oh oh oh oh I Righeira, la playa e l’estate del 1983. Un racconto ricco di aneddoti ed interviste che racchiude artisti del calibro di Jovanotti, Linus, Roberto D’Agostino, Carlo Massarini, Antonella Ruggiero, Carmelo La Bionda, Johnson Righeira e tanti altri. Un testo decisamente ricco e ben articolato che approfondisce tematiche musicali e di costume che partendo dalla hit di quell’estate, “Vamos A La Playa” dei Righeira, si inserisce in un contesto verrebbe da dire proprio antropologico scavando e analizzando un’annata, quella del 1983, tanto speciale quanto irripetibile e forse mai legittimata come merita.
Il piacere di poter accogliere i principali protagonisti del libro Fabio De Luca, l’autore, e Johnson Righeira, co-ideatore di “Vamos A La Playa”, ci proietta in un vortice surreale fatto di ricordi, sorrisi e qualche linea di malinconia, la stessa che i Righeira innegiavano orgogliosi: “Sto diventando grande / lo sai che non mi va”.
L’intervista è divisa in due parti, si apre con Fabio De Luca e si conclude con Johnson Righeira.
FABIO DE LUCA
Il 1983 credo sia il punto principale da cui partire e quindi la domanda è d’obbligo: qual è l’eredità musicale (e di costume) che quel periodo ci ha lasciato ?
Musicalmente si era in mezzo alla prima grande trasformazione tecnologica, con rivoluzionari strumenti elettronici disponibili per la prima volta a prezzi abbordabili, e dunque c’era un grande senso di “possibilità”, una grande voglia di provarci. Il senso di indipendenza e di potersi muovere anche al di fuori dei canali del mercato discografico tradizionale inaugurato dal punk si era esteso anche al pop e alla disco, e per la prima volta nella storia della discografia è capitato che delle hit internazionali siano nate “dal basso”, da etichette minuscole e artisti fino al giorno prima sconosciuti, esattamente come è successo ai Righeira (che erano prodotti dai fratelli La Bionda, e naturalmente questo ha fatto la differenza, ma erano pur sempre degli electro-punk che arrivavano dall’underground torinese). Dal punto di vista del costume, il 1983 è l’anno in cui – anche sula scia della molto simbolica vittoria dell’Italia ai Mondiali di calcio in Spagna del 1982 – si crea una cesura netta col decennio ’70, cercando velocemente di dimenticare il grigiore dei cosiddetti anni di piombo e di festeggiare una sorta di nuovo presunto boom economico. In quella fase è ancora tutto molto colorato e molto gioioso, e la sua rappresentazione più “plastica” (letteralmente!) è la moda disegnata da Elio Fiorucci, come pure la stessa “Vamos A La Playa”. Già due anni dopo sarà tutto molto più rigido, formale e ripiegato sul classico cliché degli anni ’80 arrembanti, elegantoni e individualisti. Riguardo l’eredità, mi piace pensare – ma forse son troppo di parte per poter essere obiettivo – che ciò che rende ancora oggi affascinanti gli anni ’80 anche a osservatori nati dopo il Duemila, sia il loro senso di innovazione “possibile”, a portata di mano, di curiosità anche ingenua e di capacità di ridisegnare il mondo.
Il teorema del 1983 nel libro, però, viene quasi smontato da Roberto D’Agostino con un lapidario “ma manco per idea”. È il 1978 per lui, con il rapimento Moro, che si ha uno spartiacque musicale e culturale. Che idea ti sei fatto nel frattempo ?
Che per ragioni diverse abbiamo ragione tutti e due: lui che dice che gli anni ’80 sono iniziati nel 1978, e io che invece dico nel 1983. Soprattutto perché i decenni – e anche i millenni, come ci siamo accorti pochi anni fa – non finiscono mai esattamente il 31 dicembre dell’anno che finisce per 9, e non iniziano il primo gennaio a mezzanotte. Ha ragionissima D’Agostino quando dice che il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro sono stati una sorta di punto di non ritorno, di soglia di “sopportazione massima” di una situazione di tensione che stava crescendo da anni, e che è in quel preciso momento che una larga parte della popolazione giovanile si è staccata dalla politica – fino a quel momento fattore aggregativo potentissimo, sia per la destra che la sinistra – innescando quel famoso “riflusso” di cui si parlerà compiutamente nei primi anni del decennio ’80. D’Agostino tra le righe – citando quell’incredibile serie di eventi culturali e festaioli che fu l’Estate Romana – dice un’altra cosa interessante, cioé che nel dopo-Moro per sfuggire a un presente critico le persone iniziarono a rifugiarsi nel culto degli anni ’60 come “ultimo periodo felice”, ed è probabilmente lì che possiamo datare la nascita della “retromania” come la conosciamo oggi.
Nell’analizzare il brano “Vamos A La Playa” ci sono diversi aneddoti citati nel libro, dal servizio militare che Johnson e Michel svolgevano proprio in quel periodo, l’incontro successivo con i fratelli La Bionda, che poi produrranno il brano, ed altri. L’eternità di quel pezzo secondo te cosa lo differenzia da altre hit radiofoniche? ( nella classifica dei dischi più venduti nel 1983 per esempio sia Micheal Jackson che i Police sono dietro rispetto ad i Righeira)
La peculiarità di “Vamos A La Playa” è una cosa che capisci bene se la metti a confronto con l’altra grande hit dei Righeira, cioé “L’estate sta finendo”, fra l’altro scritta da Johnson più o meno nello stesso periodo (1981), anche se uscita solo nel 1985. “L’estate sta finendo” funziona in qualsiasi versione: paradossalmente regge perfettamente anche se a farla è una band di liscio. “Vamos A La Playa” funziona solo in “quella” versione: qualsiasi cover è destinata a essere una brutta copia. È una questione di suoni, sicuramente, e forse anche di una sorta di inspiegabile magia che appartiene a quell’assurda collaborazione tra i Righeira e i fratelli La Bionda. C’è un altro pezzo di quell’anno per cui vale la stessa regola, “Blue Monday” dei New Order: pure lei funziona solo nella versione originale, non c’è remix o cover che tenga. Del resto sia “Blue Monday” che “Vamos A La Playa” erano, ognuna a modo suo, due momenti di pop estremamente innovativo, che pur avendo radici riconoscibili (Kraftwek eccetera) creava una notevole discontinuità col passato.
Il sociologo Ivo Stefano Germano ha affermato che i veri divulgatori di Marinetti, quindi del futurismo, in Italia sono stati i Righeira più che tanti critici d’arte. Dove secondo te toccavano queste corde così progressiste e di rottura (con il passato) ?
Sì diciamo che Germano lo nota più come paradosso, però c’è sicuramente qualcosa di vero. Johnson fu profondamente folgorato dalla mostra “Ricostruzione Futurista dell’universo” che inaugurò nel giugno 1980 alla Mole Antoneliana di Torino, si riconosceva completamente in quell’“ansia di futuro”, e probabilmente anche in certi atteggiamenti assolutisti e un po’ sbruffoni di Marinetti. Direi che il futurismo l’ha influenzato tanto quanto i Kraftwerk, 50% e 50%.
Come non citare il vero motore pulsante di tutto quel periodo, personaggi chiave come Casalini, Turatti, Malvasi, Boncaldo, Piatto, Vidulich, Bacco l’elenco sarebbe davvero infinito. Tutti rigorosamente inseriti nel libro, tra “Dirty Talk” dei Klein & Mbo passando per “Take A Chance” di Mr Flagio: non basterebbero due enciclopedie per rendergli omaggio. A volte però sembra quasi di non dargli i giusti riconoscimenti che si meritano, non credi ?
Sì e no: in realtà dall’avvento di Internet in avanti direi che la catalogazione sempre più certosina di “chi ha fatto cosa” e il censimento anche delle più dimenticate croste ha raggiunto livelli che potremmo tranquillamente definire esaustivi, e credo si sia davvero reso (giustamente) omaggio a tutti gli “unsung heroes” di quella stagione. Il paradosso casomai è un altro: cioè che pezzi nati per “non” durare, per essere degli strumenti usa-e-getta da dancefloor, quarant’anni dopo sono ancora così centrali nel discorso sulla musica. Nel libro c’è un lungo ragionamento al riguardo, ma riassunto in due parole: c’è sicuramente una componente nostalgica, ma non c’è solo quella. C’è la fascinazione per quelli che ancora oggi riconosciamo come momenti di folgorazione e di “salto in avanti”, c’è uno scorrere del tempo che più passano i decenni più rallenta – non fosse che adesso, forse, siamo sull’orlo di una radicale e definitiva accelerazione.
Infine dovendo stilare una tua personale top Ten del 1983 cosa inseriresti nella lista, sappi che dei Righeira hai a disposizione solo tre brani.
Guarda, la butto giù senza neanche rifletterci troppo, elencando in maniera pura e semplice i dieci pezzi di quell’anno che mi piacevano di più. E no, non ci sono i Righeira, e la ragione è semplice: nel 1983 “Vamos A La Playa” usciva letteralmente da tutte le parti, era come se appartenesse all’aria che respiravamo più che al mondo delle canzonette.
1) NEW ORDER, “Blue Monday”
2) THE STYLE COUNCIL, “Money Go Round”
3) YAZOO, “Nobody’s Diary”
4) ABC, “The Power of Persuasion”
5) GAZNEVADA, “I.C. Love Affair”
6) HEAVEN 17, “Temptation”
7) THE HUMAN LEAGUE, “(Keep Feeling) Fascination”
8) DURAN DURAN, “Union of the Snake”
9) CULTURE CLUB, “Church of the Poison Mind”
10) CABARET VOLTAIRE, “Just Fascination”
JOHNSON RIGHEIRA
Caro Johnson il piacere di poter scambiare due chiacchiere con te è immenso, quindi ci tuffiamo a capofitto nella conversazione senza girarci troppo intorno. Qual era il tuo background musicale tra la fine degli anni 70 e inizi ’80, i tuoi punti di riferimento da dove venivano?
Io sono nato parallelamente con la disco music poi subito dopo con la new wave e, di conseguenza, la musica elettronica: i Kraftwerk, i Devo. Però quando ho iniziato con il mio primo disco, in realtà, volevo fare un’operazione simile a quella del punk: una sorta di reset della musica italiana, visto che sono stato sempre piuttosto autarchico come atteggiamento e non mi è mai piaciuto scimmiottare stranieri o robe del genere. Per fare quindi il punk in Italia, bisognava secondo me incominciare – così come il punk rock rompeva con il rock&roll – con la rottura che c’è stata negli anni 60 tramite gli “urlatori”. Personalmente io mi ero ispirato molto a Peppino De Capri, Edoardo Vianello; quindi fin dall’inizio con il mio primo pezzo “Bianca Surf”c’era già questa connotazione estiva e spiaggiaiola, tipica di quelle canzoni anni ’60. Ho cominciato peraltro già nelle prime registrazioni, nei primi live, ad inserire delle spruzzate di elettronica: ad esempio nel retro di “Bianca Surf” c’è “Photoni” una sorta di punk rock mezzo elettronico. Fino poi ad arrivare a quando ho scritto “Vamos A La Playa”, che era lo step 2.0: lì si avvertono proprio le influenze Kraftwerk, new wave, elettronica, sempre con una certa attitudine all’aspetto danzereccio che avevo già dentro grazie alla disco music con personaggi cardine come Hamilton Bohannon.
“Ex punk ora venduto”, frase che poi diventerà anche il titolo di un tuo album nel 2006, compare scritta su un muro di Torino poco dopo il grande successo di “Vamos A La Playa”. Ci fu così grande shock da parte dei tanti amici punkettoni?
Ma guarda, ho vissuto tutta questa faccenda in modo molto “anestetizzato” perchè noi eravamo a naja (al servizio militare ndr), quindi avevamo solo degli scampoli di licenze, si tornava a casa e forse si usciva giusto una sera a cena con gli amici. Non avevamo il polso di quello che stava realmente accadendo, né nel nostro entourage, né in giro per l’Italia, dove stava succendo una cosa incredibile visto che “Vamos A La Playa” risuonava in tutti gil angoli. Noi non lo vivevamo tutto questo perchè eravamo in caserma al militare, quindi non lo so realmente quali fossero le reali sensazioni e reazioni della gente all’uscita del brano. La scritta a cui fai riferimento è stata poi effettivamente il titolo di una raccolta delle mie primissime cose, ed era proprio un’aggiunta anonima ad una delle firme che io ho fatto su un muro proprio nel tragitto per andare a scuola scrivendo inizialmente Johnson Righeira ed un’altra persona poi aggiunse sotto: “Ex punk ora venduto”. La cosa mi fece molto ridere, e poi dava anche il polso di come venne presa tutta quella situazione.
I fratelli La Bionda, forse troppo spesso non citati come si dovrebbe, oltre a fare emergere un duo come il vostro nella fine degli anni 80, per esempio, nel Studio Logic di loro proprietà registrarono l’album “Violator” dei Depeche mode. A distanza di anni hai capito qual è stata la loro qualità in termini di scouting (nel vostro caso) ma anche di produttori dietro le quinte ?
Loro fondamentalmente sono stati degli anticipatori soprattutto nel fare la disco-music e nel capire prima di altri che bisognava produrla in Germania, perché in Italia non c’era una mentalità per quello che avevano in mente loro, ossia dare alle proprie basi un respiro internazionale. In Italia all’epoca non c’era questa attitudine mentale proprio a ragionare in termini internazionali. Diciamo che l’incontro con i fratelli La Bionda è stato il connubio perfetto nel momento giusto, nel senso che noi probabilmente avevamo un grande potenziale che loro sono riusciti ad intuire soprattutto nella forza delle nostre canzoni. Se si ascolta il demo di “Vamos A La Playa” pur essendo sempre la stessa canzone in realtà il tutto è molto più cupo, dark. Alcuni dicono paradossalmente che è molto più bella, di sicuro erano quelle sonorità che in quel momento avevo dentro e volevo che si sviluppasse in quel modo. Se fosse però rimasta quella non sarebbe mai diventata “Vamos A La Playa” come la conosciamo adesso. C’è stata tra noi ed i fratelli La Bionda un’alchimia perfetta di situazioni che ha reso il brano assolutamente unico. Infatti siamo qui 40 anni dopo ancora a parlarne, con il libro di Fabio Di Luca che è quasi un’analisi sociologica del brano. Posso dire che è diventata effettivamente un pezzo di costume, un pezzo di cultura popolare italiana che continua a dare un sacco di soddisfazioni; perchè finita l’epoca della sua uscita, dove veniva vista come una cosa assolutamente superficiale e vuota, negli anni è cambiato completamente il giudizio soprattutto da parte di quella cultura che inizialmente ci snobbava. Io in particolar modo all’inizio soffrivo moltissimo, perchè ci mettevo dentro di tutto, dal futurismo a nuove sperimentazioni sonore, diversi riferimenti molto più in linea ad un mondo anglosassone come attitudine ed atteggiamento che non con il mondo italiano.
Oltre che alla tua nuova passione nella produzione di vini nelle campagne del Canavese hai fondato una casa discografica, la Kottolengo, con all’attivo già diverse produzioni. Cose bolle in pentola per i prossimi mesi?
Ho unito le due cose, infatti: si chiama la Kottolengo recordings & wines, con una netta divisione tra musica e vino. Per quanto riguarda nuove produzioni musicali sta uscendo qualcosa, ma il ritmo delle uscite si è un pò abbassato viste le difficoltà a livello promozionale e stampa per riuscire ad avere una maggiore visibilità. L’etichetta quindi è in una fase un pò di stand-by perchè la voglio un pò riorganizzare, soprattutto perchè con l’esperienza che ho acquisito in questi due anni sto trovando delle partenership più funzionali al discorso della label, che è un’emanazione del progetto Righeira. Lo stesso progetto che ovviamente è nato anche grazie all’incontro con Michael ma da un punto di vista di concezione musicale si è evoluto essenzialmente attraverso le cose che ho fatto io da solo. Nel 2006 infatti con la raccolta “Ex punk ora venduto” ci sono i miei primi pezzi tra cui amo ricordare “Zamboni”, twist che può apparire come una roba per certi versi demenziale ma non lo era affatto, la definirei una roba piuttosto surreale, e poi ancora “Clonazione Geghegè”, scritta nel 1981, di cui rimango sempre sopreso di come io stesso abbia potuto immaginare una situazione così delirante grazie anche alla collaborazione dei Confusional Quartet dandogli un taglio molto stralunato alla B-52. Il testo poi diceva: “Voglio un figlio uguale a me per ballare il Geghegè, il sistema sai qual è non lo devo far con te, clonazine gegheggé”: questo è esattamente lo spirito righeiriano a cui vorrei l’etichetta puntasse. Un qualcosa di molto eclettico. Ed anche nella produzione del vino l’approccio è sempre quello di fare qualcosa fuori dagli schemi e devo dire che ci sto riuscendo,, sono molto felice vado avanti e sto pensando di farla diventare a breve una azienda vera e propria.
Il calcio infine sta ridando ancora una volta una dimostrazione di affetto ai tuoi successi. “L’estate sta finendo” è un coro usato da più tifoserie. A Bruxelles, in Belgio, non inizia una partita dell’Union Saint-Gilloise se prima non parte “Vamos A La Playa”. Sembra quasi un po’ come il buon vino, più invecchia più diventa saporito?
Vero. A Bruxelles “Vamos A La Playa” diventata ormai il lato b dell’inno ufficiale quando l’Union Saint-Gilloise scende in campo, è sempre suonata ad inizio e dopo gara. Questo da una parte conferma il miracolo di quella canzone, che è popolare all’estero come in Italia; ovviamente in Italia i Righeira sono stati popolari anche a livello di costume, perchè siamo stati decisamente più presenti. All’estero siamo stati fondamentalmente presenti con “Vamos A La Playa” e “Non Tengo Dinero”, però anche lì dove la presenza è stata quindi legata solo a questi due singoli e parlando meno di noi come personaggi a quello che si è fatto in Italia, la canzone è popolare allo stesso modo. È qualcosa che è entrato in testa alle persone quasi in tutto il pianeta ed è incredibile, perchè è una cosa magica che non riesco ancora a capire: come possa succedere di entrar nell’immaginario collettivo un po’ in tutto il mondo. Per “L’estate sta finendo” invece il discorso è diverso perchè ovviamente non parliamo di una hit mondiale come “Vamos A La Playa” o come “Freed From Desire” di Gala per citare un’altra canzone diventata coro da stadio, ma una hit piuttosto legata all’Italia. Canzone che però grazie al calcio ed agli stadi ha avuta una diffusione altrettanto importante.