È il nove maggio, una data che da sette anni ha un significato particolare: dal nove maggio del 2017, infatti, siamo abituati ad aspettarci qualcosa, ogni anno oggi, e quest’anno, per come sono fatte le dinamiche del cinema, sapevamo cosa sarebbe successo:
E insomma, com’è il film di Liberato?
È molto ben girato, ma non ci aspettavamo niente di meno da Francesco Lettieri, ma va anche abbondantemente oltre le aspettative: in tutta franchezza, ci aspettavamo un lungo videoclip, con le solite splendide immagini di Napoli, una traccia nuova e a posto così – ok, siamo effettivamente stati abituati molto bene – e invece abbiamo avuto molto di più.
“Il segreto di Liberato” è un docufilm che ripercorre la storia del progetto raccontata da molti dei suoi artefici e che ha, oltre alle splendide immagini di Napoli che ci aspettavamo, anche molte splendide immagini dei backstage delle date più rilevanti, come quella del Mi ami del 2017 con Calcutta, Izi, Shablo e Priestess e quelle dell’ultimo tour, ma è anche la cosa più simile mai vista a un Interstella 5555 napoletano e, di fatto, un’eccellente spiegazione definitiva della poetica di tutto il progetto Liberato.
La storia a cartoni (disegnati splendidamente da LRNZ) è molto bella e ricca di chicche e easter egg, dai poster in camera del giovane Liberato ai due caschi da robot inquadrati più volte, che insieme a “Veridis Quo” nella colonna sonora, una delle poche tracce altrui, e a tante inquadrature, rendono omaggio dichiarato ed esplicito a quei due artisti che hanno spinto forte sull’anonimato e che a un certo punto hanno fatto un film a cartoni, ma soprattutto è chiaramente ed evidentemente romanzatissima.
E allora viene spontaneo domandarsi: non è che anche l’altra storia raccontata nel film è bella, bellissima, ma forse un po’ romanzata anch’essa?
E la risposta che ci diamo, e che in fondo ci dà lo stesso Liberato in chiusura, è che non importa, non è mai stato quello il punto: il punto non è mai stato scoprire chi fosse Liberato, anche se per molti c’è stato un momento in cui lo era, ma poi quel momento è passato, e quello che resta è la storia, il personaggio e, soprattutto, la musica.
È un messaggio importante, estremamente contemporaneo e – lo si dice esplicitamente nel film – politico: nell’epoca della post-verità, delle fake news e dei contenuti generati dall’intelligenza artificiale, una storia di successo e un caso di studio interessante è un concept raccontato in maniera intenzionalmente vaga, che ha sì dei contenuti di altissima qualità ma che fornisce anche una piattaforma per interagire col concept stesso, per farci i meme, le teorie, le discussioni sui social network, e che quindi dà un sacco di agganci per fare engagement, e quindi per far funzionare il progetto e alimentare il volano.
Non è certamente una formula che ha inventato Liberato: è un meccanismo che – tra gli altri – la serialità televisiva conosce bene e da tempo, da Lost e prima ancora da Twin Peaks: alla fine lo sappiamo chi ha ucciso Laura Palmer, e alla fine non sappiamo chiaramente che diavolo di fine abbiano fatto i passeggeri del volo Oceanic 815 e in entrambi i casi, come nel caso di Liberato, è giusto così.
Per quanto mi riguarda personalmente, credo che avrei potuto scoprire il segreto di Liberato già anni fa: abbiamo relativamente pochi gradi di separazione e so con certezza che diverse persone che conosco sanno chi è Liberato, ma ho scelto di non chiedere, di non investigare, di non scoprire.
So che Liberato è “uno di noi” da tempi non sospetti, e il film lo conferma, nel raccontare la storia di un mio quasi coetaneo con cui condivido molto background musicale e non, e tanto mi basta.
E quello che mi ha detto “Il segreto di Liberato”, tra le righe ma neanche troppo, è che ho fatto bene, perché mi ha consentito di concentrarmi sulla storia, sul personaggio e soprattutto sulla musica: in questo caso, almeno, posso godermeli senza sapere né voler sapere dove stia la verità.