Ecco, quello che sta succedendo in queste ore tra I Hate Models (e il suo management) e il festival francese Le Bon Air, che si svolge a Marsiglia in quel posto strepitoso che è la Friche, è piuttosto interessante. I fatti: in una line up di tutto rispetto – Ben UFO, Laurent Garnier, Nina Kraviz e Floating Points tra gli altri – I Hate Models era chiamato ad esibirsi questo venerdì, il 17. A due giorni dall’esibizione, è proprio il festival a far scoppiare il caso dicendo, in sostanza, che se I Hate Models riteneva di arrivare a suonare al festival con un un jet privato loro, beh, lo avrebbero estromesso dalla line up. Che non si presentasse nemmeno, insomma. Leggetevi con attenzione la loro comunicazione ufficiale (girate le slide per arrivare dal francese all’inglese, in caso):
La risposta del management di I Hate Models è stata, come dire, un po’ scoraggiante. Perché danno l’idea di non avere capito quale è il punto della questione, per il festival marsigliese. E di puntare, e pensare, solo ai soldi. In sintesi la linea di difesa, come riportato da Resident Advisor, è che: al festival non è mai stato chiesto di contribuire alle spese di queste viaggio in jet privato; il medesimo viaggio è stato organizzato in pieno dal management; il viaggio era da farsi necessariamente in jet privato perché nello stesso giorno l’artista avrebbe avuto un’altra data a migliaia di chilometri di distanza quindi ecco, alternative non ce n’erano; perla finale, il management si diceva pronto a “ricomprare” come compensazione le quote di CO2 consumate coll’inquinante viaggio in aereo.
Tutto questo è scoraggiante.
Il messaggio del Bon Air parla infatti chiaro: ne fanno una questione di principio ambientale, non altro. Soprattutto: non di soldi. Poi uno può essere d’accordo o meno, ma a sentire loro – ed è strano che mentano – negli stessi contratti con gli artisti è indicato che il mezzo di trasporto per arrivare al festival deve essere concordato e/o approvato dal festival stesso. Mette anche il dito sulla piaga dei double bill, il Bon Air, e anche qua siamo dalla sua: davvero un dj ha davvero tanto bisogno di farsi due date nello stesso giorno, a migliaia di chilometri di distanza? È davvero una necessità così vitale ed inderogabile, o solo una voglia di guadagno, di guadagnare il più possibile nel minor tempo possibile?
Il modo in cui il management di I Hate Models ha cercato di risolvere questione – ovvero: paghiamo, paghiamo tutto quello che serve, così si risolve tutto – fa capire che forse davvero qua c’è chi ha perso la bussola, e pensa che i soldi possono comprare tutto. Anche le questioni di principio, condivisibili o meno che siano, sensate o meno che siano. L’insistenza sul “Ma il jet lo abbiamo pagato noi” e poi anche quel “E comunque se proprio volevate compravamo noi la compensazione di CO2” davvero prefigura un modo di pensare dove ogni questione pratica e di principio è meno significativa di un bonifico pronto uso, con la cascata di euri (o dollari, o quello che volete voi) che appiana qualsiasi controversia.
A prima vista, a leggere il titolo, l’impressione era che un festival avesse mandato affanculo I Hate Models perché voleva arrivare con un jet privato un po’ per capriccio da star, facendo così aumentare a dismisura le spese di produzione. Facile abbiate pensato questo, no? In realtà la questione è più sottile. E, sempre in realtà, ancora più grave.
L’arroganza del denaro è qualcosa che non c’entra, o in teoria non dovrebbe c’entrare nulla, con l’arte, lo spettacolo, il senso di comunità che si crea ballando. Dovrebbe essere una faccenda a parte, fuori diciamo da quel “quadro” o comunque con un ruolo non così prominente.
…sappiamo bene che le cose stanno abbastanza in altro modo. Non siamo ingenui. Né siamo contro chi fa dell’intrattenimento un’impresa, anzi, addirittura un’industria. Ma che per una volta il porsi con un arrogante e sbrigativo “Pago io, quindi che problema c’è?” venga rispedito al mittente, è una notizia che siamo contenti di segnalare. E che speriamo faccia riflettere almeno qualcuno.