La storia di Eternal Love è un affascinante viaggio musicale nato da un “flirt” sui social e approdato alla ribalta internazionale. Un percorso artistico e umano segnato da evoluzioni inattese e un impegno costante. Insieme a Edo e Fede (e diverse bottiglie di bianco) abbiamo provato a rimettere in ordine il loro percorso, con emozioni molteplici: intrecciando inevitabili sacrifici e inattese soddisfazioni, inseguendo obiettivi che si sono trasformati col tempo, sempre guidati da una forte voglia di scoprire cosa ci fosse dietro al prossimo ostacolo.
Eternal Love non è solo musica, ma un progetto artistico a tutto tondo, con un focus su suoni, estetiche e grafiche. Un progetto subordinato a una componente umana importante, talvolta leggera e scanzonata, ma non per questo meno intrigante.
Il debutto, questo venerdì a Magnolia, sotto lo stesso cielo dove tutto è iniziato, del loro nuovo LIVE con band al seguito – che coincide con l’uscita del loro primo singolo, La Pantera, con grafiche di Altan, padre de La Pimpa e grande vignettista – rappresenta una pietra miliare emotiva, un momento di condivisione con amici, familiari e sostenitori che hanno accompagnato ogni passo del loro viaggio. L’esibizione sarà un’occasione per celebrare il cammino percorso, un momento di riflessione e di gratitudine a cui molti di noi saranno fieri di prendere parte.
In preparazione dell’evento, siamo molto felici di potervi offrire questa bellissima e intensa chiacchierata.
Riportiamo un attimo le lancette indietro: siamo attorno al 2019, due ragazzi “flirtano” sui social per fare cose di musica assieme, si passa su Whatsapp (sintomo inequivocabile che la cosa si fa seria) e decidono di aprire un canale Youtube di musica dove consigliare dischi per gente con le mani impolverate dal digging. Qualche anno dopo, si è suonato stabilmente in diversi continenti, si è fatto uscire un EP, Altar, su un’etichetta di tutto rispetto come Planet Trip, è in arrivo un singolo, La Pantera, con le grafiche di uno dei più grandi fumettisti italiani come Altan e questo venerdì debuttate con un LIVE strumentale nella splendida cornice di Magnolia, sotto lo stesso cielo dove tutto è iniziato. Un nuovo capitolo è alle porte, insomma. Quando pensate a tutti i piccoli passettini, alle vittorie, le sconfitte, il dolore, la gioia che hanno caratterizzato questo percorso, che sensazioni provate?
Edo: Penso che il primo pensiero sia l’enorme quantità di sacrifici che entrambi abbiamo dovuto affrontare. Magari diversi l’uno dall’altro, ma inevitabili. Di buono c’è che quando ti fai il culo in questo modo, è più facile che si creino le condizioni per intrecci fortunati e botte – per l’appunto – di culo, che poi ti aiutano a fare quei famosi passetti in avanti.
Siete un po’ come Harvey Dent: ve la create la fortuna.
Fede: Premesso che parliamo di un progetto che ha poco più di quattro anni ma ne sembrano passati venti per tutte le cose che sono successe, già all’inizio ci eravamo premessi di non fare mai cose che poi invece abbiamo fatto e stiamo facendo, qualcosa che dice molto della nostra incoerenza. Non da un punto di vista musicale, ma di ciò che riteniamo alla nostra portata. Siamo partiti facendo qualcosa che conoscevamo, ad esempio diggare, e poi via via abbiamo cercato di adattare le nostre capacità a ciò che il momento ci ispirava a sperimentare: mettere i dischi e poi produrli, fino ad andare in studio con dei veri musicisti e poi portare i pezzi in giro con una band. Tutte cose impensabili agli albori del progetto.
Ci sono stati momenti in cui le vostre visioni su cosa fosse e dove dovesse andare Eternal Love si sono disallineate?
Edo: Paradossalmente la direzione del progetto è forse stato l’unico aspetto su cui siamo sempre stati sulla stessa lunghezza d’onda, pur essendo due persone super diverse. Musicalmente ci siamo disallineati tante volte in base al mood, al gusto, a mille fattori del momento. Ma credo sia anche un punto di forza in un duo musicale.
Alla fine, la musica è solo una parte, seppur centrale, del percorso. No?
Fede: Esatto. Abbiamo sempre investito e creduto in un progetto che non fosse solo musica, già dai tempi del canale Youtube. C’è sempre stato un focus artistico a tutto tondo: dalla ricerca dei suoni a quella delle estetiche. Se non ci fosse stata questa comunione d’intenti fin dall’inizio, difficilmente saremmo stati in grado di portare un certo tipo di figate che oggi sembrano, anzi sono, a portata di mano. La nostra linea è sempre stata chiara: tanta musica, tanta arte, tanta grafica. Sembra un po’ una sviolinata, ma è davvero così.
Lungo il percorso ci sono stati dei momenti in cui avete pensato “Siamo nella direzione giusta. Cavalchiamo questa cosa, qualsiasi cosa sia.”?
Fede: I primi feedback dei miei amici. Ma, paradossalmente, non quelli che seguono la musica, gli altri. Quelli che all’inizio venivano controvoglia a sentirci per farmi un favore e che mi dicevano: “Ma sai che forse ‘sta roba è davvero la vostra?”.
Edo: 100% d’accordo. Mi ricordo quando facevamo le prime situazioni totalmente improvvisate al Lido Liquor Bar – dove c’era la succursale milanese di Rocket Radio, per cui curavamo uno show – e avevamo invitato DJ molto di nicchia come Vincent Privat di Dizonord (negozio di dischi molto noto a Parigi, ndr) per cinquanta scappati di casa che non sapevano neanche chi fosse. La cosa sorprendente era quanta gente venisse poi a dire quanto si fossero super divertiti pur non cogliendo certe sfumature per cui magari noi avevamo scelto quell’artista o certi dischi.
Semplicemente captavano l’energia del momento e volevano starci dentro senza doversi dare una motivazione: è figo e tanto basta.
Edo: Proprio così.
Quando vi arrivavano questi feedback qual era la vostra reazione? Vi veniva naturale smorzare gli entusiasmi oppure cavalcavate la cosa?
Edo: In questo siamo totalmente diversi. Personalmente tendo a sminuire tutto quello che faccio. Ma roba che se domani diventassi Presidente del Consiglio direi: “Sì vabbè, sto facendo ‘sta roba, nulla di che.”
Fede: Quello che per me era importante era essere in pace con ciò che stavo facendo e trovare la mia strada, singolarmente prima ancora che come progetto di gruppo. Quando sono arrivati certi feedback, e ripensando a tutti i sacrifici, i fallimenti, il tempo e i soldi spesi per progetti che non avevano portato a niente, mi sono detto che forse tutta quella fatica fosse stata necessaria per saper distinguere qualcosa di giusto e meritevole come poi è stato questo progetto. Ricordo di aver pensato: “OK, questa potrebbe essere la mia ultima occasione di portare avanti qualcosa come voglio io, proviamoci”.
Pensi che l’aver trovato un partner diverso da te caratterialmente, ma che magari completava certe tue lacune, sia stata la chiave di volta rispetto ai fallimenti precedenti?
Fede: Ci sono tante persone con cui ho condiviso progetti a cui ho dedicato costanza e passione: c’era entusiasmo, mi brillavano gli occhi a parlarne. Però poi il tutto tendeva sempre a scemare col tempo, a disperdersi. Probabilmente anche per colpa mia, non lo nego. Avevo un lavoro che portava via tempo e non riuscivo a dedicare il 100% delle mie energie alla musica. Oggi, dopo oltre quattro anni, non ho problemi a dire che Eternal Love sia ancora la mia vita, il centro di tutto. La prima cosa a cui penso quando mi sveglio la mattina. Forse proprio perché, a un certo punto, ho voluto che diventasse il fulcro delle mie attenzioni, il mio unico focus. E probabilmente quel salto è stato il pezzo mancante per completare il puzzle. Sfiga vuole che mi sia toccato dividere questa cosa meravigliosa con Edo (ridono, ndr).
Edo: Ovviamente questo vale anche per me, per il discorso che ti facevo dello sminuirmi costantemente: se non ci fosse stato Fede questo progetto non sarei mai stato in grado di portarlo avanti da solo. La nostra forza risiede proprio nell’aver scoperto, anche durante il percorso, come sfruttare a nostro favore il modo completamente diverso di vivere e reagire a certe situazioni.
A proposito di questo: recentemente ho chiesto ai miei genitori, che stanno assieme da sessant’anni, quale fosse il segreto per stare bene in coppia per così tanto tempo. Mia madre, lapidaria come una sentenza di Cassazione, mi ha detto: “Non rompersi i coglioni a vicenda per le cose che non lo meritano”. Come riuscite a bilanciare il vostro essere così diversi in un progetto che, immagino, porta un sacco di pressioni e stress?
Fede: Penso che la vita mi abbia dato una grandissima fortuna: avere accanto persone – nello specifico Edo e la mia ragazza – dotate di grandissima pazienza, e che mi rispettano al punto da concedermi di comportarmi talvolta in una maniera inopportuna e a supportarmi, nonostante ciò, al 100% in quello che faccio. Perché sanno che dietro a questa scorza dura c’è una totale e genuina spinta propositiva, un valore che ritengo sia importante in qualsiasi ambito.
È così, Edo?
Edo: Certamente, credo sia naturale stimarsi e volervi bene in nome di tutto quello che abbiamo vissuto assieme a prescindere da quanto diversi si possa essere, sfruttando i pregi senza costantemente scontrarsi sulle divergenze. Non nego che ci siano state volte in cui mi sono comunque incazzato, perché io sono uno che lascia passare, come dicevi tu, in nome del non rompersi le palle per ogni piccola cosa. Poi però ci sono momenti in cui arrivo al culmine e si deve discuterne per forza. La cosa positiva è che entrambi sappiamo fare un passo indietro quando capiamo di aver sbagliato e, come diceva Fede, se alla base c’è una precisa volontà di fare il bene nostro e del progetto non ci sono problemi e finisce lì.
C’è però qualcosa di voi che avete dovuto sacrificare per il bene di Eternal Love?
Fede: Assolutamente sì. Il modo di approcciare il DJing, inteso proprio come performance dal vivo. Personalmente ero sempre stato uno che, quando si suonava in back-to-back, diceva: “Io faccio il mio, tu fai il tuo”. Oggi non è più così, per forza di cose. Ricordo una volta in Brasile in cui Edo mi ha toccato il CDJ durante un passaggio e sono saltato per aria, un’ora e mezza di scenata. Col tempo ho dovuto scendere a patti col fatto che essere un duo voglia dire anche mettere in conto una sorta di “invasione” della propria comfort zone da parte dell’altro. E anche tutte le piccole sbavature conseguenti.
Edo: Sai quante volte vedo la traccia che Fede sta per mettere e mi viene da dirgli: “Ma no cazzo, non c’entra niente ‘sta roba!”. Però poi ti rendi conto che quel disco fa il panico in pista e cominci a riconsiderare le cose da una prospettiva differente, a fidarti anche del giudizio dell’altro senza per forza far sempre prevalere il tuo.
Immagino ci siano stati però momenti – in primis tra di voi, e poi di riflesso con la pista – in cui avete sentito che ci fosse una totale sintonia emotiva e musicale.
Fede: Certo. E sai qual è la cosa folle? Nel 99% dei casi erano situazioni dove non era permesso filmare oppure, qualora lo fosse, eravamo comunque tutti talmente presi bene nel momento che non ci veniva in mente di tirare fuori il telefono, banalmente per tenersi un ricordo, ma anche per poi trasmettere quel mood sui social, qualcosa che oggi risulta inevitabile per raggiungere una certa esposizione. Ci rendiamo conto di non essere molto bravi a gestire questo aspetto, ma in un certo senso quella spontaneità, la volontà di viverla un po’ come viene, credo sia anche la nostra forza.
Come riuscite a mediare fra questo tipo di attitudine e il fatto di essere dentro a un percorso dove ci si deve considerare a tutti gli effetti un prodotto che ha bisogno di essere valorizzato in maniera professionale?
Edo: Credo si debba tornare al discorso di porsi degli obbiettivi e lavorare seriamente per raggiungerli. Poi ci saranno sempre dei momenti in cui ripenseremo a cosa si sarebbe potuto fare meglio, alle mille opportunità perse senza neanche rendersene conto. Però, tutto sommato, ci sembra di aver trovato il giusto equilibrio fra le due cose.
C’è stato qualcosa, durante il vostro percorso di crescita, che non vi aspettavate fosse così complicato? Faccio un esempio banale: la vita costantemente on the road.
Fede: Personalmente, l’unica cosa che davvero ho dovuto mettere in conto è stato far capire alle persone che mi stavano attorno che questo era il mio lavoro, e che certe cose sarebbero state diverse. Ad esempio, come dicevi tu, il fatto di non esserci quasi mai. Specialmente nei weekend dove magari ci sarebbe stato un tempo più tempo per stare assieme ai propri cari. Quindi, per forza di cose, le persone devono imparare a rispettare questo cambio di paradigma. Ricordandosi che non si tratta solo di un divertimento o di un lavoro, ma banalmente di un’espressione artistica necessaria.
Edo: 100% d’accordo. Aggiungo che per me c’è anche la questione della motivazione: quando ho cominciato a fare questo lavoro, comprare e suonare dischi era solo una passione, non un lavoro. C’erano giorni in cui avevo la nausea al pensiero di farlo e semplicemente facevo altro. Non mi aveva mai toccato il pensiero di doverlo fare a prescindere dal mio umore. Ora, necessariamente, ho dovuto imparare a farlo nonostante tutto, perché è a tutti gli effetti il nostro lavoro e ci sono delle aspettative nei nostri confronti.
Fede: Anche perché ci sono delle persone che si sono fatte il culo per mettere in piedi una situazione di festa, ci sono altre persone che hanno pagato e sono uscite di casa per sentire proprio noi. È il nostro lavoro farli stare bene, e alla fine poi di riflesso stiamo bene anche noi, pure in quei giorni lì.
Facciamo un salto in avanti: come vi è venuta l’idea di produrre musica invece che trovarla e suonarla?
Fede: È nato tutto durante il COVID. Parlando con Ferrari (DJ/Producer della nuova scena milanese, ndr) che aveva già una certa competenza coi software di produzione, gli ho accennato che ci sarebbe piaciuto provare a buttare giù qualcosa. Lui è stato da subito molto convinto che si potesse fare venire fuori qualcosa di solido; quindi, abbiamo cominciato a lavorarci insieme e il risultato è stato Altar, l’EP uscito su Planet Trip grazie alla lungimiranza del suo fondatore Mike Who che ha creduto in noi nonostante avessimo zero competenze in materia. Poi, il passo davvero fondamentale, è stato affidarsi a Gioele (in arte Marquis, ndr) che ad oggi probabilmente è l’elemento cruciale del nostro progetto musicale, perché è in grado di mettere a terra le nostre idee in modo perfetto. Stiamo lavorando con lui da circa un anno e, rimbalzandoci demo e feedback costantemente, stiamo mettendo le basi per quello che, forse, fra uno o due anni (ride, ndr) sarà un album fatto e finito.
Questa diversa espressione artistica ha toccato delle corde diverse dentro di voi rispetto a mettere i dischi?
Edo: quando capisci che sei in grado di esprimerti anche in questo modo, ti cambia proprio il modo di concepire tutto il rapporto con la musica. Tanti pensano che produrre sia un “male necessario” per mettersi sulla mappa come DJ. Per noi è stato un processo in cui ci siamo resi conto che, piuttosto rapidamente, venivano fuori delle figate che non pensavamo di poter realizzare. E allora inizi ad essere più motivato ad andare in studio, perché la senti come un’evoluzione del tuo essere uno che prova a creare qualcosa che lo rappresenti. Un nuovo, diverso modo di esprimersi artisticamente.
Come riuscite a conciliare la vita on the road come DJ con quella in studio?
Edo: Torniamo al discorso della motivazione: ci siamo resi conto che affittare uno studio a una determinata ora di un determinato giorno non funzionava, perché magari andavamo ma non eravamo ispirati e finivamo per cazzeggiare senza combinare nulla. Preferiamo quindi sfruttare l’influenza delle cose a cui siamo esposti in giro per trovare ispirazione che poi riversiamo in studio una volta tornati.
Fede: Ad esempio, nel disco avremo un pezzo con Dea Barandana che abbiamo conosciuto mentre eravamo in tour in Indonesia grazie a Nicolas Bucci (tra i fondatori di Kiosk Radio, ndr). Questa secondo me è la figata di stare in giro: trovare persone e situazioni – magari anche non legate all’ecosistema in cui lavoriamo – che poi vanno a comporre l’immaginario di un prodotto artistico, a livello musicale tanto quanto estetico. Non hai idea di quanta ispirazione possa dare passare dodici ore dentro a un Flixbus!
Invece la scelta di portare il progetto sul palco con dei musicisti, con una proposta che è molto diversa, molto più complessa rispetto a quella in studio, è nata da voi o dal consiglio di qualcuno?
Fede: 101% da noi. Magari potessimo dare la colpa a qualcuno, invece ci tocca prendercene la responsabilità (ridono, ndr). È stato un processo molto più complicato di quanto ci aspettassimo, perché entrano in gioco dinamiche completamente nuove, con professionisti che artisticamente parlano un’altra lingua. Ricordo che le prime volte ci guardavano come se fossimo marziani. E quindi è stato necessario rallentare i ritmi, prendersi il tempo per trovare un linguaggio comune, e fare i famosi passettini di cui si parlava prima. Questo grazie al fatto che ci siamo circondati di persone che hanno preferito abbassare i giri piuttosto che farci finire il disco in tre mesi e mandarci inevitabilmente a sbattere sul palco. Infatti, presenteremo un LIVE nei cui confini riusciamo a muoverci, ora sì, in maniera più agile. Si tratta di un percorso di crescita che durerà almeno fino all’uscita dell’album.
Che gusto ha presentare questo ennesimo passo in avanti proprio a Milano, casa vostra?
Edo: Da una parte è un “safe place” in cui tutto sommato ti senti tranquillo, però allo stesso modo ti stai mettendo a nudo davanti a persone che ti conoscono, che hanno una rilevanza per te. Ti esponi inevitabilmente anche a delle critiche – magari anche costruttive – che però contano tanto, perché arrivano da persone della tua stessa cerchia. Tutta gente che ti conosce bene.
Quali sono le opinioni di cui avete più paura rispetto a questo LIVE?
Fede: Credo quelle di chi ci accompagnerà sul palco. E poi Loris Giroletti, la persona che ci sta accompagnando dall’inizio del progetto discografico.
Edo: Concordo, anche perché è tutta gente che bazzica quel mondo da tempo e vogliamo essere sicuri di dare il meglio e far fare bella figura anche a loro.
Ci sono state delle opinioni, buone o cattive, che negli anni vi hanno toccato più di altre?
Fede: Ricordo soprattutto le critiche di alcuni amici DJ che ci hanno sentiti in situazioni dove hanno ritenuto che ci fossimo snaturati eccessivamente e ce l’hanno voluto far notare. “Non siete voi, vi state conformando a quello che pensate sia il suono giusto”. E come loro tanti altri che ci hanno seguito e supportato durante tutto il nostro percorso, e che quindi hanno a cuore che le cose proseguano al meglio. Era un periodo dove stavamo ancora cercando di trovare una direzione, e alla fine il parere che ti serve per capire se stai facendo le scelte giuste è quello di chi ti ha supportato quando certi problemi neanche si ponevano. Sono opinioni che ti toccano cento volte di più rispetto al feedback, magari anche positivo, di uno che ti ha sentito a una serata random.
Edo: Credo che tante volte il feedback positivo sia anche sottinteso, per esempio quando ti rendi conto che certi locali che hai sempre stimato ti danno uno slot importante – vedi le sette ore da Giant Steps a Londra. Quello inevitabilmente denota una stima, anche senza bisogno di sentirselo dire apertamente.
Fede: Poi ci sarebbe da aprire un discorso anche sull’altra faccia della medaglia: tutte le volte che avremmo voluto dire a qualcuno a cui vogliamo bene che stava andando forte e non l’abbiamo fatto, magari per vergogna o qualsiasi altra cosa. Potrei fare molti esempi di gente a cui avrei voluto dire: “Sei un king, hai spaccato!” e mi sono pentito di non averlo fatto. Perché tante volte la scena se la prendono gli headliner, quando invece ci sono tanti nomi della nostra cerchia che meriterebbero più supporto, perché sai che la musica la vivono e la fanno come te.
A proposito di opinioni determinanti: venendo entrambi da famiglie molto appassionate di musica, che reazione hanno avuto i vostri genitori al percorso di Eternal Love?
Fede: È un’opinione che varia in base al momento, come una montagna russa: quando ci vedono felici e “seri”, è più facile che vedano Eternal Love come qualcosa di meritevole. Personalmente, i miei hanno cambiato, e di molto, la loro opinione sul valore di questo percorso una volta capito che ci si poteva davvero vivere. Prima consideravano la mia aderenza a questo mondo come qualcosa di accessorio, un passatempo che portava via tempo ed energie alle cose serie. Si aspettavano che a un certo punto trovassi un lavoro “vero”. Il solo fatto che da qualche tempo sia in grado di mantenermi facendo questo mestiere è in primis una grande soddisfazione per me, ma credo abbia anche aiutato loro a vivere meglio il rapporto con questa parte importante della mia vita.
Ti emoziona l’idea di averli di fronte al Magnolia?
Fede: Sinceramente sì, è una delle cose che mi emoziona di più. Allo stesso modo mi emoziona l’idea di avere davanti tutti gli amici che ci hanno accompagnato dagli inizi, che hanno dedicato soldi e tempo per starci dietro, che magari hanno fatto cose di cui non gli fregava nulla pur di supportarci. E non saranno lì perché sono obbligati a farlo, ma perché sono contenti di aver fatto parte di questo percorso, di esserci stati quando non c’era nessuno così come quando c’era il pienone. E ti dico: ancora oggi quando non vedo quelle 3-4 persone che per me sono tutto, ci rimango male. Se però ci sono, mi sento a casa.
Credo sia un’ottima chiosa per la nostra chiacchierata guardarci di nuovo indietro, proprio come abbiamo fatto all’inizio, e notare che forse questa esibizione possa proprio fungere come una sorta di Pietra Miliare. Un punto nel percorso in cui tutti – voi e chi vi ha accompagnato – potrete assaporare meglio il tempo, l’energia e gli sbattimenti che ci sono voluti per arrivare dove siete oggi, e condividere questa sensazione. Pensate sia la cosa che vi toccherà maggiormente una volta saliti sul palco?
Edo: Al 200%. Suonare musica che abbiamo fatto noi, dopo essere partiti mettendo i dischi negli scantinati dei bar, e pensare di trovarci davanti quelle stesse persone che c’erano allora come oggi, le nostre famiglie. Impossibile non emozionarsi.
Fede: Senza dimenticare anche tutte le persone che magari non c’erano il primo giorno, ma che hanno creduto al progetto durante la sua crescita. Basti pensare alle realtà che ci sono dietro a questo evento, alle tante persone che ci hanno supportato e che ci hanno spronato a continuare a fare questa cosa, anche e soprattutto quando era più difficile farlo. Questo evento è per tutti loro.