È stagione di festival, e noi cerchiamo di raccontarvi quelli a cui siamo stati.
Uno di quelli a cui non manchiamo mai, al punto che chi scrive ha già comprato il biglietto per l’edizione 2025, è il Sònar, appuntamento immancabile delle nostre estati.
Com’è stato quello di quest’anno? Prima di dirvelo, ci sono un paio di doverose premesse di cui sentiamo il bisogno.
La prima è quella che facciamo tutti gli anni, l’avevamo fatta anche l’anno scorso: in un festival di queste dimensioni, con cinque (e più) palchi nella parte diurna e quattro in quella notturna, è fisicamente impossibile vedere tutto, per cui il nostro racconto sarà per forza di cose parziale, mancheranno parti che magari per qualcun altro erano fondamentali e ce ne saranno che invece per altri potrebbero essere trascurabili.
La seconda è che più che parlare di com’è andato il Sònar, ci interessa parlare di quello che ci ha detto il Sònar, con le sue scelte di lineup e con le scelte dei suoi artisti, dello stato della musica nel 2024.
Iniziamo subito facendo il mero elenco della spesa di chi secondo noi ha vinto il lungo weekend, allora, per liberarci dalla domanda “allora, com’è stato?” e poi passare a considerazioni un po’ più ampie. In rigoroso ordine cronologico:
- Olof Dreijer ha proposto un set interessantissimo e molto “da giovedì pomeriggio del Sònar”, con un’idea balzana, il dj set con le percussioni suonate live, che avrebbe potuto essere una porcheria tipo Ninos du Brazil e che invece è stata uno splendido viaggio tra modi diversi di intendere la “musica con le percussioni che ti fa muovere il culo”, tra synthoni alla Oni Ayhun, baile funk, dembow e ogni altra declinazione della cassa spezzata e dei tamburi sbilenchi
- Sevdaliza ha delle tracce molto belle e il live super scarno, con poco o niente sul palco e tanto buio, le si addice molto
- Dj Gigola, a parte la sua hit orrenda, è una dj davvero degnissima ed è in grado di navigare molto bene tra diversi sottogeneri della techno, ha fatto un set molto ben costruito
- Laurent Garnier. Non serve dire altro.
- Jessie Ware ha ufficialmente fatto il salto da “la regazzina di Rinse che canta nella traccia dei Disclosure” a una popstar “grossa”, con un live “grosso” molto godibile
- I Mainline Magic Orchestra sono maestri della danza sulla soglia tra il cringe e il genio
- horsegiirL è brava davvero: non è solo il gimmick della maschera da cavallo, che pure interpreta meravigliosamente, con le slide che parlano dei cavalli e i fogli con le informazioni sui cavalli distribuiti tra il pubblico, ma è una signora dj, con diverse tracce devastanti e ha costruito un set veramente impeccabile che ha fatto arrampicare sui muri tutto il SonarVillage sabato pomeriggio
- Pigro in versione Gabber Eleganza, con il suo “The Hakke Show” ha non solo offerto un ottimo show, ma ha soprattutto presentato uno dei messaggi più importanti del weekend (ma ci torniamo dopo)
- Gli Octave One fanno sempre lo stesso live, ma è una spanna sopra tantissimi
- A Cinthie e a Marie Montexier B2B Mor Elian non avremmo dato un euro, e invece hanno offerto due set davvero gustosissimi
La lista degli act belli, come vedete, è piuttosto lunga, e non abbiamo menzionato quelli non necessariamente belli in senso canonico ma interessanti, stimolanti, di cui come al solito il Sònar è pieno, come il talk di Adam Smith e Marcus Lyall, meglio noti come “i due che fanno tutti i visual dei Chemical Brothers e si sono inventati, tra le altre cose, i due robottoni giganti”, che da solo valeva il prezzo del biglietto.
Tutto bellissimo, quindi?
Per niente.
Abbiamo visto diversi act dimenticabili e un paio davvero brutti, a testimonianza del fatto che l’hard techno che ha letteralmente dominato il festival è un genere molto difficile da interpretare correttamente: la linea tra “un bel set, vario, intelligente, con scelte non scontate” e “un’ora di dropponi come negli anni brutti dell’EDM, al massimo con due mossette come negli anni brutti dell’EDM e, se sei molto fortunato, un breve intermezzo con la cassa distorta perché va di moda l’hardcore” è sottile, molto.
La differenza, come sempre, la fa la reazione del pubblico: e se con horsegiirL il pubblico era coinvolto, partecipe e parte attiva e integrante dello show, che si è svolto tanto sul palco quanto sotto, al SonarClub, teoricamente il main stage del Sònar de noche, o almeno quello più grande, abbiamo visto in più occasioni un pubblico loffo, troppo intento a farsi i selfie o troppo in difficoltà a muovere le giunture per divertirsi, e soprattutto, non così numeroso.
Già, i numeri: com’è andato il Sònar, numericamente, considerato anche che non c’erano headliner da folle oceaniche come i Chemical Brothers, o l’innominabile dell’anno scorso?
A due marce, proprio come le due facce dei set hard techno di cui parlavamo prima: in più momenti del Sònar de dia, soprattutto il venerdì pomeriggio durante il set di Laurent Garnier, ci siamo ritrovati a pensare “oh, è veramente pieno, stai a vedere che iniziamo a non starci più neanche qui”, mentre al Sònar de noche si stava davvero davvero molto larghi, diciamo così.
Ok, non c’erano headliner né nomi particolarmente appetibili per il pubblico non così appassionato: nel 2024, Paul Kalkbrenner non è né l’innominabile né Peggy Gou, che l’anno scorso c’erano entrambi, ma più che quello, a nostro modo di vedere, il problema di fondo è stata una lineup davvero molto a senso unico.
È vero che molti dei nomi nuovi emersi nell’ultimo anno fanno parte della scena hard techno o giù di lì, ma a conti fatti, tolto Folamour e, in parte, Garnier che però gioca in un campionato a sè, (o Kerri Chandler in un orario francamente improponibile) al Sònar di quest’anno praticamente non si è sentito niente di vagamente houseggiante: molto inusuale, soprattutto per il Sònar de dia.
In generale, il mood musicale di tutto il weekend è stato davvero tanto, davvero forte, davvero massimalista, davvero “del doman non v’è certezza e allora vaffanculo spingiamo al massimo finchè possiamo”: d’altronde, il claim dell’intero Sònar di quest’anno, “welcome to the frequency of now”, rappresenta uno spostamento di punto di vista colossale per un festival che sempre ha fatto del futuro la propria ragion d’essere e per cui “now” era quello che facevano gli altri.
Forse, come dicevamo, il riassunto migliore del messaggio del festival l’ha dato Pigro durante il suo show:
E in quest’ottica, un Sònar così incazzato, così pessimista, così, per certi versi, estremo, si incastra molto bene nel solco dei due precedenti: se due anni fa eravamo ancora tutti frastornati dal postpandemia e il mood era “vale tutto, siamo insieme e ci divertiamo ed è bellissimo già così” e l’anno scorso era “ci piacerebbe poter dire che non è successo niente e ci aggrappiamo ad alcune solide certezze mentre ne cerchiamo di altre”, quest’anno quello che abbiamo percepito è stato “di certezze non ce ne sono, se non che un giorno moriremo tutti, e allora vaffanculo”
In sostanza, ci è sembrato come se il Sònar stesse elaborando il lutto del post pandemia e fosse nella seconda delle famose cinque fasi: l’anno scorso era la negazione a farla da protagonista, non è successo niente e possiamo tornare a fare i Sònar come prima, quest’anno è stata la rabbia per le condizioni in cui versa il mondo in generale e il mondo del clubbing in particolare, rabbia manifestata e sfogata in molti modi diversi.
Coi BPM esagerati e la cassa distorta, con l’ironia del Team Rolfes, con la danza (non solo l’hakken di Pigro ma anche la performance degli Asiandopeguys a base di pogo e contorsionismi) e più in generale riappropriandosi della dimensione fisica: abbiamo visto tante performances fare largo uso del corpo anche non solo come strumento per la danza, come quella di horsegiirL ma anche dei Mainline Magic Orchestra e quella, a metà tra un concerto e una piéce teatrale, dei Club Cringe.
In sostanza, come sempre, il bello del Sònar è stato lontano dagli headliner, lontano dagli slot principali e dai palchi più grossi, è stato nelle pieghe in cui si nascondono i messaggi più profondi: e per questo, anche se non sono sempre messaggi piacevoli, o confortanti (o forse proprio per questo), ci torniamo ogni anno e abbiamo già preso il biglietto per l’anno prossimo.