Anche a curare un magazine in fondo relativamente settoriale come Soundwall, tra newletter e segnalazioni degli uffici stampa la quantità di mail che arrivano al giorno oscilla tra le duecento e le trecento. Sì, avete letto bene: tra le duecento e le trecento, e al giorno. Provate ad immaginarle nella vostra casella personale di posta. Una quantità semplicemente senza senso, ma al tempo stesso è giusto – ed anche bello – che ci siano talmente tante persone che provano a fare qualcosa con la musica, incidendo dischi, organizzando eventi, creando situazioni. Meglio questo, delle “barriere all’ingresso” per cui soltanto i ricchi o i potenti o gli ammanicati riescono a fare cose. Però sì: è un “rumore di fondo” veramente altissimo. In cui è difficile farsi notare.
…è difficile farsi notare anche perché, detto senza offendere nessuno, ciò che regna è la “medietà”. La consapevolezza tecnica ed artistica oggi è molto più diffusa, è difficile ti arrivano proposte di brani letteralmente orribili, comunicati stampa sgrammaticati (…che invece fino agli anni ’90 e primi 2000 imperavano!), eventi del tutto senza senso. Quindi? In questa maniera noti tutto, e noti niente. Picconi così la possibilità di intercettare cose valide davvero, che meriterebbero il tuo tempo, la tua attenzione, il tuo supporto.
Qualche volta però succede. Qualche volta succede che realtà di cui ti fidi parecchio – Costello’s è una di queste, per fortuna ce ne sono – e a cui quindi dai sempre un minimo più di attenzione, compatibilmente con le umane possibilità, ti mandi qualcosa che ti faccia esclamare: “EHI”.
(Giulia Impache, fotografata da Fabiana Amato; continua sotto)
È stato così con Giulia Impache. Non un nome già particolarmente noto, non un curriculum già forte (anche se sicuramente solido, di persone che ne sa, che ha studiato, che prende la musica molto seriamente e che prende altrettanto seriamente la necessità dell’essere liberi, creativi, accurati). Ma quando senti la sua “(I’m) Looking (For) Life”, che abbiamo l’enorme soddisfazione di presentare in anteprima, non puoi che dire: “EHI”. Perché accidenti se ti colpisce. Eccola qui, ma poi ad ascolto avvenuto fateci aggiungere qualcos’altro:
La prima cosa che si fa, dopo aver sentito un brano che ha catturato così tanto il tuo interesse, è andare a ritroso: andare cioè a cercare altre produzioni della Impache, che ovviamente ti erano sfuggite, e capire che sì, il talento c’era già. Però è anche vero che adesso si è fatto molto più affilato rispetto al passato. Più incisivo, più coraggioso, più consistente nel suono. Una simile accoppiata di canzone melodicamente ed armonicamente interessante + arrangiamento frastagliato, di pop + sperimentazione, ci ha riportato indietro ai tempi dei Lamb, una delle vere gemme degli anni ’90, band attiva ancora adesso e che soprattutto ancora adesso, se si riascoltano le sue produzioni degli anni d’oro, pare arrivare dal futuro senza però perdere nulla in comunicatività ed immediatezza del bello.
“(I’m) Looking (For) Life” è una traccia preziosa non solo perché è molto bella di per sé, ma perché finalmente prende la materia pop e la (ri)porta verso il futuro, verso il coraggio, verso il tentativo di fare qualcosa di diverso e complesso, non solo l’ennesima riproposizione battistiana in bella calligrafia col testo intimista-piacione-colloquiale in italiano. Non è una caso che la Impache tiri fuori come riferimenti David Lynch e Robert Wyatt, un musicista/regista lisergico ed un musicista/compositore affascinante e complesso, nomi oggi ad appeal quasi zero per quanto riguarda i moltiplicatori di hype e di loro, in generale, molto cerebrali ed articolati come visione artistica.
Davvero, era un bel po’ che non sentivamo un brano italiano che, già al primo ascolto, ci facesse dire: “EHI”. Speriamo lo faccia dire anche a voi. Speriamo anche voi non siate sopraffatti dal “rumore di fondo” (…ma fosse così, vi capiremmo).