In mezzo a cose molto più gravi e serie – che purtroppo il mondo non ci sta risparmiando – un argomento da chiacchiericcio estivo si è fatto insospettabilmente largo negli ultimi giorni, fino a conquistare addirittura i siti dei principali organi di informazione: sì, quelli che di solito non ci si filano di striscio, noialtri interessati alle cose di dancefloor, se non per parlare (a caso) di rave, o (in modo superficiale e datato) di discoteche, o (in modo peloso) di notizie di cronaca nera e grigia. Cara grazia, eh?
Autore di questo miracolo è stato Bob Sinclar. Questo suo post è diventato infatti virale:
Una premessa. Da queste parti si parlava dell’infausta proliferazione dei telefoni ancora tempo fa: questo articolo ad esempio ha compiuto dieci anni, e accidenti se eravamo stati profetici, mentre qualcuno ci dava dei tromboni guastafeste (hey, you know who you are, anzi, who you were).
Quindi ecco, chi vi scrive non è sospettabile di grandi simpatie giovaniliste fuori tempo massimo per il mondo visto da uno smartphone. Proprio no. E se all’inizio il Berghain bollinava i cellulari in primis per proteggere la privacy dei propri frequentatori, col passare degli anni l’effetto/intenzione più importante ha avuto uno shift: ovvero diventare una vera e propria preservazione dell’atmosfera. Cosa ad esempio chiarissima, oggi, per fare un esempio qui alle nostre parti, a Cosmo: che recentemente ha fatto del tenere giù i cellulari durante il proprio live set una bandiera, con un risultato veramente ottimo sia lato artistico che lato atmosfera tra il pubblico (…ma tutto questo ha funzionato in primis perché il concerto in sé è veramente ma veramente bello: non è che se fate un live di merda e loffio potete salvarvi invocando il ban dei cellulari, pur di rifarvi una verginità e una nobiltà. Nope).
La reazione del pubblico generalista al post Instagram di Sinclar è stata a metà fra il divertito e l’indifferente – giusto la curiosità di vedere quello del fischietto di “Love Generation” e della Carrà fare la faccia triste in una story, e per qualcuno la conferma che le discoteche sono un posto di merda e i dj dei fannulloni viziati – mentre invece qua, qua su Soundwall, vorremmo spendere qualche parola in più sulle persone più consapevoli e su come hanno reagito o avrebbero potuto reagire, invitandole a fare un ragionamento che sinceramente in giro s’è visto invece poco.
La reazione di moltissimi, nei giri “nostri”, è infatti stata: “Ecco, ti sta bene, anni che vai in giro a suonare musica di merda e a fare il pagliaccio invece di suonare le cose fighe che sappiamo potresti suonare – è giusto che ti capita ‘sta roba, anzi, è ridicolo che te ne stia lamentando, l’hai proprio cercata tu, tu e quelli come te”. È chiaramente un virgolettato posticcio; ma pensiamo che riassuma abbastanza bene il comun sentire che abbiamo incrociato in decine se non centinaia di commenti sui social.
Ora, ci sono delle pezze d’appoggio serie per questa posizione, sia chiaro: Bob Sinclar ha fatto veramente una scelta di campo quando ha deciso di “virare” sul commerciale, lui che invece ha un pedigree nobilissimo (…e non certo solo per “Gym Tonic”, anzi, lì era già la svolta divertentista); e questa scelta l’ha fatta intenzionalmente, anche perché – come ci raccontava personalmente in una intervista fatta per Rolling Stone – il mondo underground era davvero avaro di riconoscimenti, traguardi, feedback materiali e soddisfazioni per lui. Quindi ok, per chi è rimasto nell’underground ci sta poter rinfacciare “Hai voluto scientemente il successo, ciccio? Hai voluto puntare sul giro commerciale? Mo’ ne prendi anche i lati negativi”. Altro virgolettato posticcio, ma non crediamo di essere stati scorretti nel dargli vita, nevvero?
Però, però, però. Dove però ci portano questi atteggiamenti? Quanto utili sono? Proviamo a chiedercelo. Perché sì: bisognerebbe iniziare a porsi queste domande. “Porsi queste domande” non significa rinnegare: significa, scusate la tautologia e la ripetizione, “porsi queste domande” e basta. L’esercizio di estrarne delle risposte potrebbe diventare un’attività infatti interessante. Ed utile. Utile per tutti.
Il punto è che se più dj come Sinclar, ovvero del circuito commerciale, iniziassero a (ri)mettere l’accento sulla musica e non sul “safari fotografico” forse davvero potremmo sperare in un mondo del clubbing complessivamente migliore, convincendo qualche persone in più che l’attenzione solo sull’istante e sulla foto da uno schermetto è una soddisfazione scarsa e friabile. Ad esempio, ci si è accaniti a battere e ribattere sul post originario, di Sinclar, ma pochi o nessuno è andato a recuperare il post immediatamente successivo, che per noi – ma non solo per noi: in primis per lui – è complementare al primo. Questo:
Sinclar ha individuato un problema e, nel post successivo, ha spiegato che esiste una soluzione, esiste cioè la possibilità di fare le cose più a modo. Questo è un fattore interessante. Perché criticare e basta è facile, essere costruttivi è invece il passo che manca invece quasi sempre. Anche nell’underground, non solo nel mainstream; anzi, soprattutto nell’underground danceflooriano, questo da anni, soprattutto da quando ha smesso di avere nuove idee e nuove forze propulsive come negli anni ’90, nel solco della massima andreottiana “Il successo logora chi non ce l’ha”. C’è chi molto serenamente sceglie di non inseguire i numeri e il successo, questa nicchia zen ed illuminata esiste, ma per lo più è questione di volpe e uva: tant’è che la stragrande maggioranza degli undergroundiani che iniziano a mietere numeri e guadagni ci mette poco davvero ad adeguarsi ai meccanismi capitalisti del mainstream, pur fingendosi sempre a parole il “…ghepardo alternativo de ‘na volta”.
Tra l’altro vuole il caso che proprio uno o due giorni dopo il post incriminato e tanto viralizzato, con Sinclar c’abbiamo proprio passato la serata, vedendolo all’opera in console alla Villa delle Rose di Riccione (strapiena): è entrato in console chiedendo subito a tutti di tirare giù i telefoni, ha messo come primo disco “Miura” dei Metro Area. Poi chiaro: è arrivato il momento delle paraculate, è arrivata la Carrà, è arrivato perfino “Sesso e samba” di Tony Effe e Gaia, è arrivata la canzone col fischietto. Non è che Sinclar di punto in bianco possa (ri)diventare un eroe della house più di classe e ricercata, e con ogni evidenza manco gli interessa. Ma nel momento in cui prova a mettere dei semi di buon gusto da un lato (con buoni dischi “da intenditori”) e di buona creanza dall’altro (con un richiamo a quanto i telefonini rendano vacua l’esperienza sul dancefloor), forse a noi che amiamo davvero questa faccenda la cosa dovrebbe fare un minimo piacere.
Invece, sembra quasi che sia più importante (continuare a) sblastare Bob Sinclar. Già. Come se questo risolvesse i problemi della club culture. Come se questo portasse più persone alle serate ad alta qualità musicale. Come se questo evitasse che in certe serate underground l’atmosfera sia spenta e quasi incarognita, con la gente che è presente più per posa che per reale gioia ed interesse culturale. Come se questo evitasse che anche nella scena alternativa si viva di abitudine consumate, di luoghi comuni, di forza d’inerzia sempre più anemica e priva dell’idealismo originario, esattamente come nei peggio contesti più superficiali e commerciali.
Ci lamentiamo che le situazioni di valore non sono quasi mai baciate in fronte dai numeri. Ed è vero. Forse, bisognerebbe iniziare a (ri)avere un atteggiamento più costruttivo, più entusiasta, più tollerante, più inclusivo.
E se Sinclar, che non è ovviamente più quello di The Mighty Bop e si è votato da anni al commerciale, dice una cosa giusta, beh, magari si può anche arrivare a dire “Oh, però ha detto una cosa giusta”. O anche: “Ecco, pure lui capisce che con la musica ‘vera’, l’atmosfera può essere più bella“.
Le persone che si accalcano attorno alla console con gli smartphone in mano, che vengono solo per sentire quel motivetto sentito alla radio o usato nei filmati di TikTok, che si fanno affascinare più dai profilo Instagram che dai mixati su Mixcloud, ecco, tutte queste persone si possono vedere in due modi: come nemici irrecuperabili, o come persone da convertire alla causa – la nostra. Quella di chi vuole che il dancefloor sia un’esperienza piena, consapevole, acculturata, oltre che ovviamente gioiosa ed euforica.
In questa fase storica, in cui la superficialità e la velocità hanno per mille motivi la meglio sull’approfondimento e la qualità, c’è più di un motivo per essere molto attenti su questo intreccio di opportunità e scelte, quando cioè un segnale “positivo” viene lanciato dal campo in teoria avverso. Molto, molto attenti. Naturalmente – molto attenti solo se quello che interessa davvero è cambiare le cose nel concreto, riequilibrando dinamiche, pratiche ed opportunità, invece che limitarsi a rassicurare se stessi e a predicare ai convertiti.
Da persona che non ha mai visto di buon occhio i concerti o i dj set vissuti troppo attraverso lo schermo del telefono, mi limito insomma a dire: beh, grazie Sinclar. Stavolta il problema non sei tu. Anzi: stavolta tu il problema l’hai proprio indicato, e ad una platea che di solito certe domande non se le pone, o se le pone molto male. Quindi, grazie.
E a chi usa questo tuo post solo per inveirti ulteriormente contro, diamo sommessamente ed educatamente un avvertimento: sta tenendo lo stesso atteggiamento del benpensante medio, quello che col dj, col deejaying, coi dancefloor, con la club culture ha un atteggiamento di disprezzo e di ostilità a prescindere. Ne vale la pena?