“Ascoltali, ascoltali, questi sono bravi davvero…”: tutti noi abbiamo degli amici di cui fidarsi, o dovremmo averli, perché nell’accelerazione insensata che ha avuto il numero di uscite discografiche da qualche anno a questa parte – Ek gongola, ma non solo lui – è molto facile perdersi dei pezzi, dei pezzi buoni. Un tempo ti fidavi delle testate specializzate di musica, oggi non è più di moda farlo e non è più cool, non è più un merito farsi dare da loro la bussola, e va bene. Ma quando la gente è in gamba, è in gamba. E i Queen Of Saba sono in gamba davvero. Ecco: rischiavamo di perderceli. Rischiavamo di perderceli, perché la prima roba che arrivava da loro, prima ancora della musica, era il loro deciso schierarsi su tematiche peraltro sacrosante (la visibilità e l’agibilità per le scelte non-binary, le istanze LGBTQIA+): nel “chiacchiericcio che gira intorno” che li riguardava questo emergeva in prima battuta, questo e non altro. Se non avevi sentito la musica, ad un certo punto il cinismo ti portava a dire: ma non saranno mica degli approfittatori? Non è che sono gli ennesimi si stanno buttando sul pinkwashing strategico ed arrivista, come stanno facendo in tanti, in troppi? Quando stai a Milano per nascita o per lavoro, e quando vedi che per qualche anno il Pride milanese è una parata di sponsor e multinazionali, anche se sei al 100% d’accordo con le istanze (e ci mancherebbe: se sei appassionato di clubbing e sei omofobo, sei oggettivamente un imbecille) maturi un po’ di cinismo e sospetto, sul tema. E allora, grazie a chi ci ha suggerito “Ascoltali, questi sono bravi davvero”. Li abbiamo ascoltati, li abbiamo visti dal vivo più volte, e ve lo possiamo dire: Queen Of Saba sono una delle cose più interessanti emerse negli ultimi anni in quell’incrocio tra pop, black ed elettronica che oggi in tanti, tantissimi percorrono, ma in pochi lo fanno con vera profondità e competenza. In più, la loro scelta concretamente perseguita di essere e restare indipendenti da un lato li penalizza, perché difficilmente li vedrete a Sanremo o nei “salotti buoni” del pop, dall’altro è una conferma della serietà delle loro intenzioni. Niente -washing di nessun tipo: Sara Santi e Lorenzo Battistel sono due persone amichevoli, tranquille, per nulla snob e sostenute, a occhio anche molto trasparenti e sincere, di sicuro autoironiche il giusto: non ricadono insomma in alcun modo nel gruppo sociale che usa le battaglie di sacrosanta civiltà per fare, ehm, strategico self branding e per insufflarsi fatturati e conti in banca, facendo finta di non farlo. In più, sono pure bravi. L’uscita in questi giorni di “CIRCOMEDUSA”, una saporita e non scontata raccolta di remix di alcuni pezzi del loro ottimo “Medusa”, è l’occasione giusta per farsi una chiacchierata. Se il nuovo pop italiano fosse popolato da più persone come Sara e Lorenzo, con questo talento, con questa attitudine, potremmo scoprire che esiste vita – e pure bella – oltre alla trap dei (wannabe) lestofanti e all’indie luciobattisti. In più, vedere il modo meraviglioso in cui interagiscono con te intervistatore e soprattutto fra di loro, ad ormai sette, otto anni di distanza dall’inizio del loro sodalizio artistico, è una gioia. Dispone bene. Come la cura che mettono nella loro musica.
Allora, inizio chiedendovi che effetto vi ha fatto risentire “CIRCOMEDUSA” tutto di filato…
L: Sai che forse io non l’ho mai sentito tutto di filato…?
S: Ma come? Ma cosa stai dicendo, Lorenzo?
L: Guarda, sì. Perché se è vero che sono stati gli altri artisti a fare i remix, comunque master e mixing alla fine li ho chiusi io…
S: E allora sì che hai sentito tutto il disco!
L: Certo, ma non di filato, dall’inizio alla fine! Avevo affrontato i pezzi uno per uno, e alla fine no, non volevo sentirli messi insieme uno dietro l’altro… Questo perché un po’ mi piace l’effetto sorpresa. Il che qualche volta è uno sbaglio, eh, lo ammetto io per primo. Perché ad esempio volevo fare così anche con “Medusa”, ad un certo punto però mi sono detto “Ma no dai, sentiamolo com’è, seguendo la tracklist…”: e meno male che l’ho fatto, perché mi sono accorto che avevamo proprio sbagliato l’ordine in cui mettere le canzoni! Aggiustando la tracklist il disco ha acquistato molto. Stavolta però no. Stavolta tuttavia mi sono appunto affidato all’effetto sorpresa.
S: Io invece non solo me lo sono ascoltato tutto intero ma l’avevo già fatto sentire ai miei amici, prima che uscisse, perché le cose non riesco a tenermele per me – col risultato che poi i miei amici manco ascoltano le cose nostre su Spotify, “Eh ma tanto ce l’hai già fatto sentire mille volte!”… (risate, ndi)
Dagli torto! (altre risate, ndi)
S: “CIRCOMEDUSA” è un po’ come le montagne russe: un insieme di sensazioni e dinamiche contrastanti. Parte fortissimo, coi primi due remix che sono di una cattiveria, ma davvero di una cattiveria… E poi però passi subito dopo alla disco elegante e sorridente, col remix di Saturnino e Aladyn, mentre invece con “Lingua in fiamme” ci si sposta un po’ in una atmosfera da club privé, di quelli dove ti vedono ma non vuoi che ti vedano… Insomma, un’altalena di emozioni e di dinamiche, fin dall’inizio. Ad esempio il remix di “Come mi vuoi tu” per me ogni volta è scioccante da ascoltare: perché se nella versione originale io avevo fatto un po’ un sovvertimento ironico, ovvero una canzone che dice cose terribili nascoste però in un pezzo apparentemente spensierato, che vuole far ballare, nel remix che ha fatto HÅN va lì, va dritto al punto, va esattamente lì dove bisogna andare, ed è un impatto davvero forte. O ancora, scorrendo la tracklist: il remix di “Piccola inutile” – che è perfetto – mi spezza, mi spezza davvero, ed è incredibile pensare che sia stato fatto da una persona al suo esordio assoluto, che ad oggi non aveva mai pubblicato nulla, e che quindi si è in qualche modo “esposta”, si è “esposta” proprio per noi, senza paura della vulnerabilità, facendo quindi lo stesso che avevamo in testa noi quando abbiamo creato la versione originale di questa canzone.
(Eccolo, “CIRCOMEDUSA”; continua sotto)
Beh, qua appunto arrivo al perché vi ho fatto la domanda di cui sopra: sentire le proprie canzoni rivoltate e in qualche caso stravolte, una dietro l’altra, poteva anche essere un’esperienza non del tutto semplice.
S: Vero. Questa paura un po’ c’era. Il fatto magari di restare un po’ straniti, almeno al primo ascolto.
Ecco.
S: Invece ti dobbiamo dire che fin dal primo momento siamo stati felici, anzi, felicissimi del risultato complessivo: ci gasa proprio tanto. Sì, siamo affezionati alla musica che facciamo, al modo in cui lo facciamo, a come la facciamo venire fuori noi; ma ciò che conta più di tutto è l’emozione che provoca – quella che provoca in noi, ma anche quella che provoca nelle altre persone. E allora il fatto che dei nostri amici e colleghi abbiano preso la nostra musica e l’abbiano reinterpretata mettendoci del loro, mettendoci anche delle cose che in quelle tracce noi non pensavamo ci fossero, ci commuove. Vuol dire che la nostra musica può “parlare” in varie lingue, può essere trasformata, sfilacciata, tirata. Non è monodimensionale.
L: Figurati: pensa che in qualche caso dopo questi remix non riuscirò più ad ascoltare le nostre versioni originali nella stessa maniera in cui le ascoltavo e percepivo prima.
La bellezza del nostro percorso, e del poterlo attraversare crescendo passo dopo passo, è notare come ci siano sempre meno muri e gradini che ci separano da altre persone che stimiamo. Questo è bellissimo, è un privilegio
Bello, tutto molto bello. Ora però vi faccio una domanda forse stupida, forse scomoda: fino a che punto il progetto Queen Of Saba vuole crescere? Crescere dal punto di vista dei numeri, della rilevanza nel mercato discografico…
L: Un giorno stavamo collaborando con un altro artista, e lui ad un certo punto ci dice: “Ma voi, quali sono veramente i vostri obiettivi?”.
Precisamente quello che intendevo.
L: Quella domanda non ce l’eravamo mai posta prima. E lì per lì ci ha spiazzato. Ma abbiamo fatto in fretta a capire che era una domanda davvero utile, davvero importante. La risposta a questa domanda è: dare dignità al nostro essere musicisti, dare dignità a tutta quella fatica che stavamo portando avanti. Sai, questo che ti sto raccontando è successo nel 2020, e noi erano già due, tre anni che stavamo provando a fare musica…
S: Il 2020 è stato proprio l’anno della svolta, in cui abbiamo preso un minimo di consapevolezza su quello che stavamo facendo e su dove volevamo andare davvero.
L: Volevamo e vogliamo crescere, sì, ma non solo nel senso numerico, anzi, non tanto in quello, non è certo quella la priorità.
Quindi, qual è?
L: La priorità è ampliare la nostra rete di conoscenze e di incroci umani. Ti faccio un esempio concreto: poter dire di avere Saturnino e Aladyn che fanno dei remix per te non è solo e non è tanto poter dire che abbiamo due musicisti enormi e di esperienza incredibile che lavorano per te, gente che è nel mainstream ad altissimi livelli da anni; no, è prima di tutto ed essenzialmente la soddisfazione di essere entrati davvero in contatto con loro, di aver accresciuto il nostro patrimonio culturale ed umano grazie a loro. Perché vedi, loro due sono nel music business da quando i dischi si vendevano, e tanto, e ci sono rimasti anche quando i dischi hanno smesso di essere venduti, per essere comunque ai massimi livelli anche ora che è l’era dello streaming: capisci quanto possiamo imparare da loro? La bellezza del nostro percorso, e del poterlo attraversare crescendo passo dopo passo, è notare come ci siano sempre meno muri e gradini che ci separano da altre persone che stimiamo. Questo è bellissimo, è un privilegio. L’altro privilegio è quando puoi iniziare a dire “Sì, faccio il musicista di mestiere”: questo comunque è già un traguardo fondamentale.
S: E noi ora lo possiamo dire.
(Queen Of Saba, reimmaginati da Le Scapigliate; continua sotto)
![](https://www.soundwall.it/app/uploads/2025/02/Queen-of-Saba_2-Le-Scapigliate-819x1024.jpg)
Lo potete dire voi, lo possono dire in tanti altri. Molti più di prima, da quando attorno alla musica – in primis italiana – hanno ripreso a girare soldi, interesse, numeri, attenzione. E appunto, per questo vi chiedevo fino a dove volete crescere: perché ad esempio crescere di più, a livello di numeri, non solo vi può dare più certezze personali a livello economico ma ad esempio vi può dare la soddisfazione di dare un lavoro ad altre persone, di rendere sostenibile un team che vi possa accompagnare e di cui fidarvi al cento per cento, “ricompensando” magari così chi vi segue dagli inizi… È una bella tentazione, no? Non è solo questione di essere avidi e voler diventare ricchi. Il fatto poi che ci sia stato un incredibile ricambio generazionale nella musica italiana dell’ultimo decennio, in cui un sacco di realtà dal background 100% indie sono improvvisamente entrate nel mainstream e nei “salotti buoni” del pop, non fa che rendere più “possibile” questo traguardo. Ma magari a voi non interessa; o magari proprio non ci volete arrivare, anzi, lo volete evitare.
L: In effetti già ora il team di lavoro attorno a Queen Of Saba si è allargato parecchio: ormai siamo in tanti a lavorare attorno a questo progetto. È una cosa indubbiamente bella, perché come notavi anche tu è prima di tutto una questione di “restituire”. Sul fatto di crescere, crescere tanto, crescere sempre di più: beh, è indubbiamente una tentazione, ma devi sempre essere in grado di confrontarti con te stesso.
Ovvero?
L: Ad esempio, metti che cresci, cresci tanto, e ad un certo punto arriva un brand con un sacco di soldi che ti chiede di fare una collaborazione, peccato però che tu questo brand non lo stimi per niente: ecco, non vorremo trovarci in una situazione di questo tipo. O meglio, ci va benissimo ritrovarci in una situazione del genere, a patto che ci resti sempre la libertà di scegliere, la libertà cioè di dire di no qualora lo ritenessimo opportuno. Quando parliamo di “dignità da dare al mestiere di musicista”, significa dare dignità alla cosa in sé, non invece alla possibilità di diventare da musicisti ad influencer – capisci la differenza?
Chiarissimo.
S: Non è questione di fare i duri e puri solo per il gusto di farlo. Puoi fare tutti i discorsi che vuoi sulla coerenza, ed è giusto farli, ma resta che oggi l’unico modo per guadagnarsi da vivere è farlo stando comunque alle regole del capitalismo. Ne siamo consapevoli. Questo però non significa che non puoi lanciare dei messaggi ben precisi: niente ti impedisce di farlo, ed è giusto farlo. Dal canto mio posso dire che già essere sereni è un grossissimo traguardo.
Vero.
S: Io da un anno a questa parte lo sono, ma prima nemmeno sapevo se sarei riuscita a pagarmi l’affitto. L’indipendenza economica è un fattore fondamentale: ti permette di vivere anche le scelte più difficili e personali con più tranquillità. Ma la tranquillità ce l’hai davvero solo se le scelte che fai rispecchiano in profondità le tue convinzioni, i tuoi principi. Lo so, lo so benissimo – non sai quante volte ci è stato detto – che “Eh, ora è facile parlare così, ma vedrete poi quando arriverete davvero in alto, lì sì che dovrete dare addio a tutto questo idealismo”, ma quello che ti possiamo dire è che ad oggi non siamo mai, mai, mai stati obbligati a fare qualcosa che non volessimo, o di cui comunque non fossimo convinti al cento per cento. Guardaci: sono passati sei anni, c’è stato effettivamente un certo tipo di crescita, eppure continuiamo ad essere felicemente indipendenti, quando in molti ci dicevano che non sarebbe stato possibile continuare ad esserlo, “Eh, bello così all’inizio, ma tempo due anni e vedrete che avrete bisogno di un’etichetta di un certo tipo”. E invece.
Perfetto.
S: Andiamo avanti per la nostra strada, insomma. Imparando nel tragitto e mantenendo comunque chiari certi paletti. Si sbaglia ogni tanto, certo, ma se non sbagli non impari. Ci è capitato di fidarci di persone di cui non ci dovevamo fidare, ma amen, è successo, ora siamo più esperti e smaliziati anche grazie ad esperienze di questo tipo, quindi va benissimo così. Non credo ci sentirai mai dire “Eh, entro cinque anni voglio arrivare qui”, “Entro tre anni voglio aver raggiunto questo e quello”: perché non ragioniamo in questo modo. Al tempo stesso, non abbiamo chiusure preconcette. Siamo curiosi. E siamo pronti a fare dei continui check su noi stessi, per capire se la direzione che stiamo percorrendo è quello che ci soddisfa davvero, quella che realmente vogliamo per noi.
Quando parliamo di “dignità da dare al mestiere di musicista”, significa dare dignità alla cosa in sé, non invece alla possibilità di diventare da musicisti ad influencer – capisci la differenza?
Ecco, a proposito di quello che vi soddisfa davvero e di quello che volete per voi: fatemi fare un’altra domanda scomoda. Ovvero, quando si parla di Queen Of Saba arriva sempre in primo piano – spesso prima di tutto il resto – il vostro esservi schierati su un certo tipo di tematiche, il vostro sostegno alla possibilità di rispecchiarsi anche in identità di genere non binarie. Almeno per me è stato così. E va benissimo, perché sono battaglie che voi portate effettivamente avanti, con convinzione, convinzione evidentemente sincera, ed anche nei fatti. Ho però l’impressione che in questo modo la musica, il vostro essere musicisti e pure bravi, venga messa in secondo piano. Accade spesso, direi. Anzi: direi troppo spesso, parere personale. È come se Queen Of Saba fosse un progetto importante soprattutto per il messaggio che porta, non per la musica che fa: e questo per me è uno spreco, anche perché in quello che fate musicalmente sento una cura ed un’attenzione – e mi viene da dire anche un talento – non comuni. Il lavoro sulle voci, ad esempio, sugli arrangiamenti… Poi però nelle interviste, e in generale in tutto quello che viene scritto su di voi, tutto questo passa molto sotto silenzio, o comunque ha meno rilevanza del vostro schierarvi su tematiche politiche e sociali di un certo tipo.
L: Sai cosa? Ti posso dire che tutta questa dinamica non nasce da noi. Non è una nostra scelta. Sì, ci piacerebbe ci fosse più attenzione sulla parte più strettamente musicale di quello che facciamo. Tempo fa leggevamo un’intervista a Rosalia per “Motomami”, intervista però fatta non con un giornalista ma con un musicista, e lei che commentava “Oh, finalmente una chiacchierata in cui si parla di musica, di processi creativi e di produzione, e non di tutto quello che ci gira attorno”: nel nostro piccolo ci siamo rivisti tantissimo in questo. Un po’ è colpa vostra, di voi giornalisti: che vi spostate sempre sul contorno, non sulla musica in sé. Non offenderti se te lo dico…
Ah, ma io sono d’accordissimo con te!
L: …un po’ magari è anche il fatto che sui social siamo molto forti su Instragram, e Instagram è una piattaforma molto poco musicale.
S: Qui alzo la mano, e mi chiamo direttamente in causa, perché sono io a curare la nostra pagina Instagram. Il fatto è che Instagram è anche una piattaforma con cui entrare in contatto con persone e realtà che senti vicino: ti viene quindi naturale fare anche attivismo, è un processo quasi spontaneo. E a noi “fare comunità” piace tantissimo. Però è vero, il media che usi per veicolare il tuo messaggio alla fine influenza il messaggio medesimo, o quello che arriva di esso. Quindi se quando siamo a casa con gli amici si fa un po’ di tutto, si ride, si cazzeggia, si parla di politica, di attivismo ma anche molto di musica scendendo anche in questioni molto tecniche e precise, nel discorso pubblico questa complessità si perde, alla fine hanno la meglio quasi sempre solo i messaggi e le questioni più vicine a un certo tipo di “attenzione collettiva”, e su questo lo sfidare i tabù e i pregiudizi o comunque discuterli avrà sempre un ruolo predominante. Però poi vedo che ai nostri concerti viene comunque tanta gente, anzi, ne viene sempre di più: il che mi fa pensare che non siamo solo una creatura virtuale, “da social”, da discussione sui social network. La gente esce di casa per venire a vederci; e poi quando ci vede racconta agli amici quanto è stato divertente sentirci suonare, di modo che la volta dopo – nello stesso posto, nella stessa città – sono molti di più quelli che ci vengono a vedere. Sta accadendo un po’ questo. Ed è una ricchezza incredibile, perché è qualcosa che va molto al di là dei numeri sui social e negli streaming. Poi chiaro, per qualcuno il colpo di fulmine scatta prima per il messaggio che per un arrangiamento o una armonizzazione vocale; ma ci sta, perché poi dal vivo, quando ci vedi in carne ed ossa su un palco, ti arriva comunque tutto. Se di questo tutto ti piace solo una parte, beh, dopo un po’ ti stufi.
Suonare dal vivo è la cartina di tornasole, insomma.
(all’unisono): Sì, esatto!