Queste pagine saranno pieni di festival in queste settimane, in questa stagione estiva. Inevitabile. In Italia abbiamo preso a farne tanti e pure bene, a leggere le line up, a leggere l’entusiasmo e l’attenzione con cui vengono presentati. Il grande dubbio nasce paradossalmente proprio da un grandissimo amore verso tutte quelle persone che si sbattono tantissimo e prendono rischi enormi pur di regalarci (e regalarsi) un festival con una proposta musicale che sentiamo “nostra”, di quelle cioè che sanno guardare allo stile, al presente, alla contemporaneità ed all’innovazione, e lo fanno guardando un po’ verso l’elettronica, un po’ verso la club culture più sofisticata, un po’ verso l’avant pop, un po’ verso il riciclo atipico, un po’ verso la ricerca più coraggiosa, un po’ verso una blackness liberata dai luoghi comuni di trent’anni fa.
Il dubbio è: ma veramente l’Italia è in grado di reggere una quantità così nutrita di eventi “belli”, come in effetti inizia ad essercene? E soprattutto: è in grado di reggerli in questo 2024, annata in cui si sta scatenando una tempesta – di merda – perfetta in cui da un lato gli eventi/concerti/festival belli&brutti commerciali&alternativi si moltiplicano come se il mercato fosse in crescita infinita, mentre il pubblico – sia quello mainstream che quello meno – ha finito i risparmi accumulati durante i due anni di stop pandemico e dopo le scorpacciate 2022 e 2023 per recuperare il tempo perduto inizia ad avere la pancia piena e i portafogli vuoti?
Questa domanda va posta con forza. Ci dispiace farlo, lo ripetiamo, anche nei confronti di chi ha creato e creerà eventi che ci piacciono e piaceranno da morire – perché sembra un “guastare la festa”, un “remare contro”, quando invece ci sarebbe da supportare e stop. Ma va posta, sorry. Va ribadita.
…per quanto riguarda invece noi come pubblico, dobbiamo ricordarci del potere che abbiamo: stile “Grande Bellezza”, infatti, abbiamo il poter di far vincere ma anche di far fallire gli eventi della scena “nostra”: In ultima analisi sono le nostre scelte, le nostre presenze, i nostri consumi, il nostro supporto a stabilire chi merita di andare avanti e chi no.
Sulla base di questa responsabilità, abbiamo pensato fosse utile creare una piccola checklist. Qualcosa che veramente ci aiuti a capire se il festival a cui stiamo partecipando ci sta arricchendo davvero o lo stiamo facendo solo per inerzia, o per un tag sui social, o perché i festival vanno di moda (e si passa per sfigati nel dire che sì, tutto bello, ma un po’ ci stiamo annoiando, però non possiamo dire). E allora:
Il festival a cui sto partecipando mi ha messo in contatto con un mondo sonoro ed estetico o anche solo con artisti che non conoscevo? (i festival servono a questo, non a confermarci quello che sappiamo già: per quello ci sono le singole serate, i singoli concerti, i singoli eventi)
Il festival a cui sto partecipando mi ha permesso di capire meglio un luogo o un contesto diverso da quello in cui vivo di solito?
Il festival a cui sto partecipando tratta bene le persone che ci lavorano? (lo capirai perfettamente da come si pongono tecnici, collaboratori, volontari: se sono sorridenti, pronti allo scherzo e quando serve premurosi, stanno dando più del necessario al festival in questione, perché il festival in questione li tratta con rispetto, al di là dei soldi che gli allunga o meno)
Il festival a cui sto partecipando mi ha fatto sentire per un paio di giorni almeno in un’altra dimensione, facendomi “fluttuare” in una scansione atipica dei tempi e delle mie abitudini? (perché ormai c’è chi va ai festival come se stesse timbrando in ufficio, il punto non è divertirsi, sorprendersi e fare un’esperienza particolare, il punto è semplicemente “esserci”)
Il festival a cui sto partecipando mi ha ispirato nuove visioni, nuove prospettive, nuovi stimoli? (chi cerca solo conferme, va benissimo la top 50 di Spotify, va benissimo la programmazione delle radio FM italiane, va benissimo la messe di cuoricini su Instagram a fronte di poco o nulla, di vere e proprie banalità)
…fatevele, queste domande. A noi sono venute in mente dopo i giorni spesi ad Electropark, a Genova. Certo, per Genova abbiamo un debole, come detto più volte; ma ad Electropark non c’eravamo mai stati, pur seguendolo da molto tempo, e poteva piacerci e farci stare bene così come poteva essere un festival ok, ma di quelli che non lasciano più di tanto il segno. Invece nei giorni di presenza abbiamo scoperto location incredibili (la Terrazza del Galata, da cui si gode un panorama urbano con pochi uguali in Europa), location paradossalmente bizzarre (il Virgo Club da un lato sembra fermo agli anni ’80, dall’altro ti fa sentire ad Amsterdam); abbiamo vissuto esperienze molto particolari (la giornata Toy Tonics immersi nel mare col Boat Island Party è stata super, quando mai ricapita di ballare nel mare per ore?); abbiamo scoperto artisti che non conoscevamo o migliorato la conoscenza con artisti che meritano tutto il nostro supporto (Francesca Heart con la sua ambient “liquida” e Lowtopic col suo set solo calibratissimo, per stare giusto al primo giorno, o per andare al secondo il notevole, notevolissimo dj sudafricano Doulou); abbiamo parlato un sacco con parecchie persone che lavorano al festival, e abbiamo visto un notevole incrocio di grande professionalità e meravigliosa gentilezza e disponibilità, qualcosa di davvero raro.
(Momenti intensi, artisti felici; continua sotto)
Ha radunato folle oceaniche, Electropark? No. Deve ancora migliorare nella sua capacità di coinvolgere la città? Sì. La produzione è essenziale o stupisce con effetti speciali e momenti wow? È essenziale. Riesce ad essere un volano economico, culturale e turistico per il tessuto sociale da cui nasce? Non ancora (ma sta palesemente gettando i semi per farlo, se si ha uno sguardo un minimo attento lo si capisce). È un festival di cui vantarsi su Instagram? Per vari motivi, non ancora (…e in realtà se pensiamo al classico low profile liguere gli auguriamo in realtà di non diventarlo mai).
Eppure, lo abbiamo apprezzato tanto. Tantissimo. Ed è stato esattamente il tipo di esperienza che augureremmo a tutti voi che state leggendo queste righe, oh sì. Nota importante: non per forza bisogna scegliere e schierarsi rabbiosamente e partigianamente tra grande evento ed adunata boutique, tra giga headliner popolarissimi e guerrieri dell’underground – perché c’è tempo per tutto, c’è spazio per tutto. Quello su cui bisogna essere inflessibili è capire, semmai, quanto a fondo scava nel nostro cuore, nelle nostre conoscenze, nelle nostre emozioni un festival. E quante cose nuove ci regala: nozioni, sensazioni, amicizie.
Non siate schiavi dei numeri (…vale anche il contrario: se siete partigiani dell’underground, non dovete odiare a prescindere gli eventi che radunano decine di migliaia di persone). Siate schiavi delle emozioni, e del saperle vivere con felicità e consapevolezza.
…altrimenti ve li meritate, i concerti e festival che costano sempre di più e offrono sempre di meno. Però dai, no: non cadiamo in questa deriva. Non facciamoci abbindolare dalle grandi multinazionali dell’intrattenimento che ci vorrebbero sempre più remissivi, sempre più di bocca buona, sempre più pronti a spendere cifre progressivamente più grandi in cambio progressivamente di meno perché, appunto, ci basta “esserci”.
Grazie Electropark – e tutti i festival estivi “belli” che percorreranno l’Italia quest’estate, o già lo hanno fatto – per ricordarcelo. È importante. È molto importante.