L’intervista è lunga. Molto lunga. E allora qua useremo lo stretto necessario di parole. In sintesi: Colle De Fomento. Uno dei gruppi hip hop italiani più importanti di tutti i tempi, punto. Uno dei gruppi che, senza tante major, video, in store, questo, quello, percorre su e giù l’Italia da vent’anni e passa, con un seguito fedelissimo e, in realtà, molto più trasversale rispetto alle apparenze. Uno dei gruppi che ad un certo punto c’ha fatto tutti impazzire: perché erano quasi dodici anni che aspettavamo un seguito, miliardi di volte annunciato e mai arrivato, ad “Anima e ghiaccio” (che a sua volta arrivava ben otto anni dopo il precedente “Scienza Doppia H”). Ora il seguito è arrivato, “Adversus”. Ed è bellissimo. Bene. Ora è il caso di lasciare lo spazio a due persone vere, persone di spessore; persone che, col tempo, sono cresciute e maturate tantissimo. L’antidoto migliore, contro la musica troppo usa-e-getta e buona solo per una stagione, rap o non rap che sia.
Beh, non ve lo nascondo: quando mi è stato detto “Ehi, stavolta il disco nuovo del Colle esce per davvero” sono scoppiato praticamente a ridere, senza peraltro togliermi davvero lo scetticismo e il pensiero che fosse l’ennesimo falso allarme… Anni e anni che veniva annunciato, dato per certo, per “finito” o “praticamente finito”, ma non è assolutamente mai stata la volta buona, alla fine cadeva sempre tutto nel silenzio. Stavolta invece, eccoci qua. Lo che è il modo più banale per cominciare, ma: perché tutto questo?
Danno: Per un sacco di motivi che, ormai, non ha nemmeno più troppo senso stare là a raccontare. Dovendo riassumere in una frase: ci abbiamo messo così tanto perché ecco, diciamo che ci siamo scontrati con la vita, sì.
Oh, finalmente qualcuno che lo dice. Qualcuno che non finge che la vita sia tutta una discesa, dove tutto è semplice e tutti sono felici, vincenti, efficienti.
Masito: Sai cosa: non trovavamo il nostro “spazio”. Non ci vedevamo, nell’ambiente che c’è ora, quindi ecco, per questo c’abbiamo messo un po’. Guardavamo bene cosa accadeva nei contesti musicali a noi più vicini – non stavamo lì a commentarlo, magari, ma lo guardavamo eccome. Non è che ci deludesse, occhio, non sto dicendo questo; è solo che non ci sembrava “vicino” a noi.
Danno: La realtà che non trovavamo nemmeno noi stessi. Fino a quando sono invece arrivati quei due, tre pezzi che sono riusciti a darci finalmente la quadra definitiva. Inizialmente l’idea era quella di lavorare con tanti produttori diversi; poi però ci siamo fermati, perché ci eravamo accorti che rischiavamo di rifare un altro “Anima e ghiaccio”. E non era quello che volevamo. Ma per capire cosa volessimo, abbiamo prima dovuto ritrovare noi stessi. E’ uscita una recensione molto bella su “Adversus” fatta dai Wu Ming: in sintesi, hanno detto una cosa tipo “Sembra che in questi anni i Colle, mentre tutti facevano e tutti si adoperavano per occupare la scena, se ne sono andati a fare un viaggio solitario in un deserto. In quel deserto cercavano qualcosa: e sono rimasti lì, fino a quando non l’hanno trovato. Solo allora hanno deciso che era il momento giusto per tornare”. E’ bella, come immagine. Credo sia corretta.
Masito: Ci sono stati, parlo per me personalmente, mesi per non dire anno in cui volevo proprio semplicemente tirarmi fuori da tutto, da quello che gira intorno. In alcuni featuring che ho fatto l’ho pure detto, “Tenetemi lontano dal vostro affare”: a ragione o a torto, non ci piaceva quello che vedevamo intorno. Ma nemmeno ci piaceva quello che facevamo noi, quello che ci stava venendo fuori, ci sembrava tutto troppo triste. Quei momenti in cui insomma ti chiedi: “Ma arriverà alle persone, quello che stiamo cercando di esprimere? Sarà comprensibile? O forse stiamo tirando fuori qualcosa di troppo pesante?”. Di sicuro, non volevamo fare un disco di sole mine, di mero boom bap… Né volevamo fare il disco che un po’ tutti si sarebbero aspettati da noi. Di fatto, alla fine “Adversus” è un disco notevolmente personale: perché se da un lato siamo noi, siamo riconoscibili, c’è sempre il nostro marchio, dall’altra stavolta c’abbiamo messo veramente tanta riflessione, tanto ragionamento. Quasi fino ad impazzirne, sì.
Danno: Vale anche per i beat, per le basi. All’inizio abbiamo chiamato Craim e gli abbiamo detto “Ok, fai una base”. Poi: “No dai, fanne due”. Fino ad arrivare a: “Ok, fai tutto il disco”. E poi, una volta che l’impostazione di base per i beat c’era, sono partiti i “Bello qua, ma perché non ci mettiamo anche dei musicisti? Perché lì non arrangiamo ancora di più?” Credo sia stato impegnativo anche per lui. Lui già aveva affrontato la sfida del fare “Coup De Grace” per Kaos, ma mi sa che noi siamo stati ancora più esigenti: non solo più tracce, ma diciamo anche che gli abbiamo rotto parecchio le palle. Come del resto le ha rotte lui a noi.
Masito: Craim è un fenomeno. Perché non è solo il producer che arriva lì e ti fa le basi: è uno che ci si mette in tutto e per tutto, sta lì con te, vuole riflettere sulle cose, è il primo a dirti “Sì, ok, ‘sto pezzo l’avete fatto con la base mia che v’ho dato, e va bene, ma guarda che io però ora non sono del tutto convinto quindi sai che c’è, già che c’ero ho provato di farne un’altra di base per quel pezzo lì…”. E’ uno che ascolta tantissimo quello che fanno i rapper, è quello che ti dice “In questo punto dovresti fare così” o “Qua dovresti modificare le cose in questo modo” e lo fa anche in funzione di quella che sarà la resa live, non solo la registrazione del disco. Poi è eclettico, è iper-preparato, ascolta tantissima musica. Insomma, lui per “Adversus” è stato veramente un grande valore aggiunto.
Danno: Uno dei primi beat costruiti per il disco è stato quello di “Cuore più cervello”, con ‘sto campionamento acid-punk, rumoroso. A me ricordava da una parte “Get Busy” dei Roots, per la pestata sulla batteria, dall’altra le sonorità un po’ acide e pazzoidi dei Beastie Boys di “Root Down”. Ecco, proprio lì gli abbiamo detto: “Perfetto, bravo, Roots e Beastie Boys, loro!”. Sono due gruppi appartenenti a contesti in parte diversi ma in qualche modo loro, meglio di tutti, sono riusciti a creare un suono che non solo è durato nel tempo ma è andato anche oltre il genere stesso, oltre i suoi cliché. Ed oltre le mode, quindi.
Masito: Figurati, ci sono amici nostri che dicono che i Beastie Boys non sono hip hop – e questo non per sminuirli, visto che in realtà sono fissati con loro! Comunque sì, ci piaceva l’idea di poter prendere una strada in qualche modo “parallela”, distante da tutto l’esistente, in cui poter fare il nostro su sonorità diverse, più veloci, più suonate, più musicali, più arrangiate. In passato ci è capitato più volte di fare un pezzo su un semplice loop, e stop: tracce che finivano così come erano iniziate, musicalmente parlando. In “Adversus” no, su questo abbiamo molto lavorato. Così come ci siamo ritrovati ad avere delle lunghezze decisamente fuori formato… Fuori formato ad esempio per i video: troppo lunghe, “Ragazzi, se il tutta dura così troppo nessuno arriverà sino in fondo alla riproduzione su YouTube, così non vi verrà conteggiata la view, non fate cazzate”. Beh, non ci è mai interessato. Non è su questo che vogliamo concentrarci. Vogliamo invece creare delle cose che obblighino all’ascolto, all’attenzione, all’interpretazione.
Quanto è alto però il rischio che i vostri fan vi vedano sempre come gli stessi di dieci, anzi, quindici o vent’anni fa?
Masito: In questi giorni mi hanno scritto sui social tante cose, tipo “State salvando l’hip hop”. Mah? Un po’ fa ridere, nel 2018, parlare di hip hop in questo modo. Noi non vogliamo far saltare la baracca: tra l’altro, anche se solo lo volessimo non potremmo, non abbiamo certo questo potere. L’hip hop va avanti, ed è giusto che sia così, è giusto che chi arriva oggi faccia le sue cose in rottura con il passato. Va bene così, va benissimo così. Quello che vogliamo fare noi è semplicemente mettere il nostro all’interno di questa gigantesca biblioteca, di questa library: vogliamo la nostra nicchia, col nostro suono. Non siamo né meglio né peggio di altri, ma sicuramente siamo diversi.
Mmmmh. Non è che mi stai dando una versione molto edulcorata? Perché ci sono dei chiari riferimenti disseminati per “Adversus” su quanto la scena attuale del rap sotto molti punti di vista vi convinca proprio poco…
Masito: Beh, sì, in parte è vero. Già se guardi il titolo in effetti, “Adversus”, pare una cosa un po’ imbruttita… Ci sono dei pezzi, come “Cuore più cervello” e “Nulla virtus”, che hanno qualche anno più degli altri, sono i primi che avevamo registrato: sono quindi più battaglieri, mettiamola così. E’ sempre stata una nostra caratteristica storica. Poi però ad un certo punto abbiamo iniziato a dirci “Inutile mettersi a fara la gara con una cosa che non è manco la nostra”.
Insomma, state quasi giocando ad un altro gioco.
Masito: Noi le ascoltiamo, le cose che escono in campo rap in Italia. Ci sono dei pregi, ci sono dei difetti. Come del resto vale per le cose nostre. Non volevamo insomma competere con nessuno. Volevamo semplicemente dire: “Ok, voi fate tutti bene, funzionate bene, molto bene; fatturate tantissimo, e oggi è questo è fondamentale visto che siamo nell’epoca dei numeri; però ecco, anche se non siamo come voi, noi ci siamo ancora”. E questa cosa nostra che facciamo, live dopo live, funziona, continua a piacere. E piace, attenzione, ad un pubblico nuovo. Ai nostri concerti, davanti al palco abbiamo gente giovane, gente di quindici anni, e quello che facciamo, beh, gli arriva. Quindi, vuol dire che in tutto questo gioco c’è spazio anche per noi. Quando abbiamo raggiunto questa consapevolezza, il lavoro sul disco ha iniziato a procedere spedito – è la cosa che ci ha sbloccato. Ci ha fatto capire che eravamo comunque nella direzione giusta.
Danno: Non è che volevamo scontrarci col suono del rap attuale, ma magari con la mentalità sì. Mi ricordo bene cosa ci passava per la testa quando abbiamo scritto i due, tre pezzi più battaglieri nei confronti della situazione attuale del rap: sai, quando noi abbiamo iniziato e in tutta la prima parte della nostra carriera eravamo in mezzo ad una generazione di appassionati d’hip hop tremendamente attaccapippe – noi per primi, eh! – ma era effettivamente un periodo in cui andava affermato e spiegato cos’era l’hip hop, c’erano un sacco di equivoci e false convinzioni in giro e quindi volevamo un po’ difendere l’identità più pura di questa faccenda. Il punto è che negli ultimi tempi però abbiamo iniziato a sentire un tipo di mentalità che, tra l’altro, trascende l’hip hop in sé, ed è una mentalità molto legata a quell’idea per cui “Basta fare i soldi, l’importante è fare i soldi, se fai i soldi allora va bene tutto”. Ecco: questo è un tipo discorso che non ci piace, e che non ci è mai piaciuto.
Che poi, siete stati fra i primi nella scena, e parlo di vent’anni fa, a parlarne, di soldi.
Danno: Non è che noi non li facciamo: nel nostro piccolo li facciamo, li abbiamo sempre fatti. Ma questa mentalità del “Faccio tutto, accetto tutto, mi metto la parrucca che vuoi in testa, basta che ci sono soldi…”: beh, noi siamo sempre stati contro le parrucche.
Masito: E’ una mentalità che attraversa qualsiasi cosa che facciamo. Io di mio non faccio solo il rap, faccio anche grafica e calligrafia: se mi chiama un determinato marchio, anche grosso ed importante, che però non mi piace o porta avanti cose che non mi rappresentano o mi chiede delle cose che non mi piacciono e che non stanno nelle mie regole, la mia riposta è “No”. Per le cose di rap? Stesso approccio. Non so, forse ci facciamo troppi problemi. Ma siamo contenti di farceli. Oggi, basta che c’hai una determinata età, un determinato look, un modo di fare un po’ sbruffone e oplà, le cose ti funzionano. E funziono per davvero, oh! Però, facile così. Dà molta più soddisfazione vedere invece che anche facendo le cose a modo nostro, i risultati arrivano comunque. E scopri che in realtà sono in tanti a pensarla come te.
Danno: Riescono rivedersi in quello che fai e quello che dici. Non è per forza che devono disprezzare il resto, né sono io che lo disprezzo. Semplicemente, non lo sento mio. E che molti possano sentire “loro” il Colle, è una cosa bellissima.
Masito: Mi fa davvero piacere sentirmi dire “Oh, le vostre cose sembrano proprio quelle che penso io, solo dette bene in rima”. E guarda, stanno arrivando veramente dei feedback splendidi, molto calorosi. Non sai quanto la cosa ci faccia piacere. Noi eravamo tesi, preoccupati; non è che siamo arrivati spavaldi dicendo “Aoh, ora arriviamo noi, e cambiamo tutto”, zero proprio.
Curioso: visto che la percezione che si ha di voi dall’esterno è, per usare un eufemismo, di gran spavalderia.
Danno: Ma no, ma no…
Masito: Nei live siamo risoluti, questo sì. Perché ci piace, ci diverte, e comunque un certo tipo di fierezza ha sempre fatto parte dell’hip hop.
Danno: Ma avrai notato che negli ultimi anni, visto anche che non avevamo nessun disco fuori, siamo rimasti abbastanza defilati come dichiarazioni, no? E’ un periodo, questo, in cui tutti hanno scritto tutto, sui social, in giro: a favore dell’hip hop, contro l’hip hop, l’hip hop è vivo, l’hip hop è morto… Noi? Noi, non abbiamo mai detto un cazzo. Noi, più che parlare, abbiamo fornito degli esempi: ad esempio il mio lavoro fatto con Welcome, che sostanzialmente era “Guardate, vi faccio ascoltare la roba che mi piace e che ascolto: se piace pure a voi bene, ma decidetelo pure voi”. Sì, lo sappiamo, potevamo prenderci un certo tipo di ruolo ed iniziare a bacchettare le persone; invece siamo stati molto in silenzio, a ragionare su cosa volevamo dire veramente. Forse proprio l’accusiamo, ‘sta cosa che oggi tutti possono e devono dire tutto: perché a me scatta il contrario, “Parlano tutti? E allora io sto zitto…”. Vogliamo far parlare quello che facciamo: vogliamo far parlare la musica. Vogliamo farlo con un disco che magari riesce a sopravvivere un po’ di più della presenza media nella timeline dei social, dove si sa che l’attenzione su una cosa dura un minuto e poi, to’, si è già spostata altrove. In questo periodo ho visto chiunque, dal più sconosciuto al più famoso, dire la sua sui social sull’argomento hip hop; anzi, su qualunque argomento. Noi invece sui nostri social scriviamo solo “Oggi suoniamo qui, dopodomani lì”. E basta.
Masito: Questo è un approccio controproducente, e lo sappiamo. Ma è l’approccio nostro. E noi abbiamo l’onestà di non fingere quello che non siamo o, altra possibilità, di far tenere i nostri social a qualcuno al posto nostro. Non è che non abbiamo cose da dire; non è che ci manchino gli argomenti, abbiamo mille cose su musica, politica e società che ci girano per la testa. Solo che vogliamo metterle nei nostri dischi, e farle stare in questo modo dentro qualcosa che duri nel tempo. Non vogliamo cadere nell’ansia di dover avere ogni secondo un’opinione su quello che è il fatto del giorno, fatto che cambia, appunto, ogni giorno.
Torno un attimo su un accenno di prima di Massimo: eravate quindi preoccupati che il disco non venisse filato più di tanto? L’attenzione – tanta – che sta ricevendo è un po’ una sorpresa per voi, se non addirittura un sollievo?
Danno: Assolutamente sì, se chiedi a me: stavamo belli imparanoiati, dopo tutti questi anni di silenzio discografico. Con che diritto potevi pensare di avere il “polso della situazione”? Fino a quando ci siamo detti “Che ne sappiamo: se qualcosa di buono deve arrivare, arriverà…”.
Masito: La sensazione, e qui parlo per me e non per il gruppo, è di essere proprio un pesce fuor d’acqua. Non sul palco, eh, sul palco mai; ma sui social, in giro…
Danno: …nel mondo…
…tipo i vari Hip Hop Awards dai grandi sponsor e dalle confezioni televisive…
Danno: Ma anche andando al di là dell’hip hop! Io cammino per strada e boh, a volte mi sento un alieno.
Masito: E per quanto riguarda l’hip hop, tutta ‘sta roba dei premi, di chi è il king: boh, non ci riguarda più. Ci fa piacere che ci facciano dei bei complimenti, quello sì, ma non ci interessa minimamente primeggiare a discapito di questo o quell’altro. Vogliamo attenzione su ciò che facciamo, stop. E riteniamo anche che alla nostra età, se ti occupi di musica, puoi fare quel qualcosa di più, in primis con la tua dignità. Se sei onesto e reale verso te stesso questa cosa prima o poi viene fuori, la gente capisce. Se mostri il fianco, se parli anche delle tue debolezze, come ha insegnato Eminem al tempo, se cioè non ti mostri sempre per forza un vincente e sicuro di sé ma parli anche dei tuoi dubbi, delle tue insicurezze e delle tue paure, puoi trovare un sacco di persone che si ritrovano in te, con cui si crea una vera sintonia.
Ok. E quindi ora che c’è stata questa grande reazione positiva verso “Adversus”, che si fa? Ci si ingolosisce un po’?
Danno: Si resta ancora più chiusi a riccio.
Masito: Siamo ancora più presi male: perché in questo modo ci sembra di avere sempre più cose da fare. Troppo, troppo lavoro! A noi pare già un lavorone fare un sacco di live, figurati… Non sarei pronto insomma a fare milioni di interviste, a farmi vedere attivo sui social… no, proprio non ce la farei. Oh: noi avevamo paura che non uscisse il disco, figurati, altro che pensare ai social e alle interviste. E sì: usiamola ‘sta parola, “paura”.
Danno: E al tempo stesso non siamo le persone che ora “Aoh, è piaciuto, dai, allora siamo proprio i mejo, dai che mo’ mandiamo tutti a casa”: zero, te lo giuro. E’ proprio un tipo di mentalità che non abbiamo più. Prima io ce l’avevo, eh, e lo sai: ero un rompicoglioni di quelli infiniti. Ma ora basta, è giusto così, l’ho passata ‘sta fase, e ho pure preso le mie batoste. Ad un certo punto ti dici “Eh, forse la vita non è proprio così bianco o nero”. Ogni giorno diventa buono per imparare, riconsiderare, ragionare, rifare i calcoli, aggiungere un pezzo di consapevolezza che ti amplia la prospettiva.
Oggi, basta che c’hai una determinata età, un determinato look, un modo di fare un po’ sbruffone e oplà, le cose ti funzionano. E funziono per davvero, oh! Però, facile così. Dà molta più soddisfazione vedere invece che anche facendo le cose a modo nostro, i risultati arrivano comunque
Masito: Anche nel giudicare gli altri. Prima magari era “Guarda che schifo questo, guarda che schifo quello”. Adesso abbiamo capito che le cose sono più complesse: se ti metti a giudicare in modo netto, magari ti sfuggono alcune cose interessanti. Parliamo dei rapper nuovi, per dire? Ok. Beh: hanno una capacità di sintesi notevole – spesso sprecata, va bene, ma intanto ce l’hanno – che ogni tanto porta a dei risultati molto interessanti. Arrivano dove devono arrivare, parlano a chi devono parlare, nei tempi giusti, col modo giusto; sono comprensibili, ecco, e lo sono per tutti e con tutti. Quello che invece facciamo noi, per dire, non ha certo il dono dell’immediatezza, della facile comprensibilità. E’ complicato venirci dietro, non è semplice capirci, dovresti stare dietro anche a citazioni un po’ oblique, riferimenti nascosti, rimandi a cose che valle tu a ritrovare, eccetera eccetera: no, non facciamo molto per farci capire con immediatezza. E comunque nel giudicare, nell’emettere giudizi il nostro approccio è proprio cambiato: abbiamo sempre le cose che ci piacciono e le cose che non ci piacciono, sia chiaro, ma non sentiamo più l’esigenza di ribadirlo ogni volta sul palco o andando in giro. Oggi abbiamo la fortuna che per il rap in Italia il bacino d’utenza è diventato enorme, i gruppi sono tantissimi, ogni giorno esce qualcosa di nuovo: va benissimo così. E’ giusto così. C’è spazio per tutto e tutti.
I gruppi sono tantissimi, vero; e c’è stato il rischio che oggi ce ne fosse uno di meno, ovvero che voi vi scioglieste e smetteste di fare musica?
(Insieme, all’unisono): Sì.
Danno: …sai quante volte c’ho pensato. E’ che… non so se fa parte della nostra natura, però ecco, poi ne parlo con Kaos, ne parlo anche con Rancore, due età completamente diverse, ma da entrambi arriva la stessa cosa, che poi è anche la nostra: madonna quanto si soffre, a fare musica. Finché non metti i piedi su un palco, tutto quello che ci sta dietro – la giornata, i viaggi, gli hotel, sconosciuti con cui dover passare del tempo, gente che vuole parlare con te e si comporta come se ti conoscesse bene da secoli – non è semplicissimo. E anche prima di salire sul palco: tutti a dire “Dai, famo ‘na foto, famo ‘na foto” quando tu in realtà sei già concentratissimo su quello che stai per fare, sul live, vuoi essere sicuro di fare le cose bene e di essere bello focalizzato. Poi, sali sul palco, e scompare tutto: ti dimentichi di tutte le parti negative. Ma è vero che più vai avanti, più certe cose iniziano a pesarti. Non sei più il ragazzino che “Da paura! Sto per uscire da casa per andare a cantare su un palco!”…
Masito: Anche i complimenti: impari a prenderli sempre più con le molle. Ma una cosa è sicura, facciamo questa cosa da ventiquattro anni però proviamo sempre la stessa emozione quando parte il primo beat. E’ un’emozione forte, bella. Perché fare quello che facciamo noi da una parte è un mestiere, perché devi farlo bene e farlo da professionista, dall’altra però è una passione.
Danno: E in questo caso finisci col voler andare oltre il mero professionismo, perché fare le cose bene diventa una sfida con stesso, visto che c’è una componente emotiva come la passione di mezzo.
Quanto si scontrano tra loro, passione e professionismo?
Danno: Dipende come te la vivi. Puoi benissimo farle convivere, se sai gestire la componente della professionalità – visto che ci sono vari gradi di essa. Dipende da te capire quanto puoi dare il massimo senza però finire in un tritacarne più grosso di te. Noi, di quel tritacarne, probabilmente abbiamo avuto paura. In “Noodles” dico una cosa molto particolare, che in realtà è riferita a qualcosa di moltissimi anni fa ma mantiene sempre il senso: “Se ho lasciato / è stato solo per salvarci”.
Masito: Invece oggi c’è la mentalità contraria, per cui non puoi assolutamente mollare il colpo perché molli il colpo perché il pubblico, perdi l’attenzione, perdi i numeri. Ogni giorno devi fare qualcosa, ogni giorno devi dire qualcosa, ogni giorno sui tuoi social devi tenere vivi gli spazi facendo domande tipo “Vi piace questo?”, “Vi piace quello?”… Noi per fortuna abbiamo costruito negli anni un rapporto tale col pubblico per cui non abbiamo o comunque non sentiamo questa necessità. E in questo è importante dire che il nostro pubblico, negli anni, è comunque cambiato. Quelli che c’erano alle origine facile che oggi abbiano tre figli, un lavoro, degli obblighi, e se non vengono ai live nostri li capisco. Non ci mollano, attenzione: perché in qualche modo, anche se più di rado, anche se solo via web, ci seguono ancora. Ma vedere che il nostro pubblico live ha saputo vivere diversi ricambi generazionali negli anni, è un aspetto che ci piace proprio tanto.
Ad un certo punto ti dici “Eh, forse la vita non è proprio così bianco o nero”. Ogni giorno diventa buono per imparare, riconsiderare, ragionare, rifare i calcoli, aggiungere un pezzo di consapevolezza che ti amplia la prospettiva
Comunque, non è un pubblico di ragazzini.
Masito: C’è di tutto. Che poi, anche i sedicenni, dai: non è che sono tutti uguali. Ci sono sedicenni che hanno già vissuto dei traumi che manco un sessantenne, con grossi problemi a casa. E noi, pare quasi banale dirlo, questo disco l’abbiamo fatto prima di tutto per i più deboli. Per quelli che, esattamente come noi, trovano della sofferenza anche nelle cose belle, o comunque la trovano nella quotidianità. Guardami: il disco è uscito, è stato accolto in maniera grandiosa, dovrei essere felicissimo. No? Ma non è detto che lo sia. Non so. Magari prendo tutto con troppa serietà.
Danno: E’ un senso di responsabilità che a volte ti schiaccia. A me, ogni complimento è un peso in più che mi viene messo addosso. “M’hai detto che sono bravo, eh? Accidenti. Ora non ti devo deludere“. Ecco, eccone un altro che non devo deludere… A volte, sai, vorrei avere la leggerezza di quello che fa il primo disco della sua vita e lo fa proprio come cazzo je pare.
Masito: Ecco, ai nuovi rapper invidio questo. Almeno dall’esterno, quello che si percepisce è uno scialo totale. La spensieratezza, ecco. Non si pongono problemi. Fanno quello che gli va. Io pure, a vent’anni come i loro, facevo il rap, ma tiravo fuori cose come “Quello che ti do”, “Cinque a uno”, robe abbastanza pese per essere un ventenne…
Danno: Però dai, eravamo anche scialati.
Masito: Sotto il palco magari lo eravamo sì, ma quando facevamo i pezzi…
Danno: C’erano anche cose molto caciarone come “Non ci sto con la testa”. Sì, eravamo più caciaroni, su, non solo sotto il palco ma anche sopra.
Masito: Beh, ma in quegli anni non c’era una lira, non c’era uno sponsor, era tutto un po’ così… non è strutturato come oggi.
Ma non dobbiamo rimpiangere quegli anni…
(Insieme, all’unisono): No!
Danno: Noi ora stiamo bene. Ok, c’è tutto il discorso della sofferenza, ma quello lasciarlo perdere, è una cosa che ci porteremmo dietro sempre e comunque. E’ qualcosa che hai se tieni veramente alle cose che fai.
Masito: Che poi ‘sta tensione, ‘sta paranoia se non ti affossa del tutto ti porta comunque a tirare fuori delle cose, dei risultati da te stesso che manco tu t’aspetteresti. Ci sono alcuni pezzi su “Adversus”, come “Polvere” o “Nostargia”, che abbiamo pienamente compreso solo un mese dopo averli scritti, non prima. E l’abbiamo compreso davvero quando abbiamo visto le reazioni degli amici nostri, “Mi avete fatto piangere, qui mi sono commosso”. Gli amici nostri, la mia ragazza: si sono sentiti rappresentati, da un pezzo come “Polvere”. Che poi questo è anche una spiegazione del perché noi nostri pezzi stiamo attenti a non dipendere solo ed esclusivamente dalla realtà contingente, cerchiamo sempre di essere un po’ generici, universali: abbiamo notato tra l’altro che questa è una caratteristica che hanno i cantautori italiani che ci piacciono di più. Un Vasco Rossi, scrive delle cose che varranno e saranno rilevanti per le persone anche fra centocinquant’anni. E questo ci piace molto.
Invece, parlando appunto di universale e particolare, c’è sempre meno Roma nei vostri pezzi…
Danno: Vero.
E’ colpa di Roma, o siete voi che state cambiando?
Masito: Tutt’e due le cose. Noi siamo cresciuti; e Roma, adesso, beh, forse è meglio non raccontarla. Proprio perché l’amiamo.
E’ proprio messa così male?
Masito: Sì, è messa molto male. Io abito in un quartiere che non è nella “vetrina” del centro città e, insomma, è massacrato. C’è un degrado totale. Ma anche in centro, guarda… E non ti sto parlando di cose stupide come la spazzatura per strada, non è quello il punto: sono proprio le persone che si sono incattivite, quello è. ‘Ste serie tv come “Suburra” o “Romanzo Criminale” mi fanno schifo: non perché siano brutte, perché non lo sono, tutt’altro, ma perché hanno avuto un bruttissimo effetto sulla società, sulla città. La gente a Roma si è iniziata a vestire in quella maniera, a parlare in quella maniera. E’ diventato così un quotidiano molto pesante, fatto di scontro continuo. Rome invece era bella per la simpatia e il calore delle persone: era popolare, accogliente. Poi, ad un certo punto, ha iniziato a credersi una metropoli ma no, non lo è; non lo era, non lo è mai stata, non lo sarà mai. Quindi si è persa, come città. Ecco perché abbiamo deciso di non raccontarla stavolta. Anche se comunque dei rimandi ci sono, vedi ad esempio in “Nostargia”. E poi comunque ci sembrava banale fare di nuovo un pezzo su Roma, se l’aspettavano un po’ tutti…
Danno: Il mio rapporto con Roma è un po’ fermo a “RM Confidential”: è la mia città, ma la sento sempre più meno mia. I posti, poi, non sono più quelli: molti hanno chiuso. E non è che al loro posto abbia aperto dell’altro, o se proprio qualcosa ha aperto, beh, sono luoghi molto diversi. Ci sembra che, a livello culturale, sia una città molto in silenzio.
Masito: Sì. Abbiamo invida per Milano, Torino, Bologna: città dove ci sono cose nuove, città che si sono rinnovate, con tante idee, connessioni. Roma, quel poco che rimane, crolla. O, nel migliore dei casi, è sempre uguale a se stesso.
Ok. La chiacchierata si sta avvicinando verso la fine. Insomma, dovremo aspettare altri dodici anni, prima di rifare un’intervista che parli di un vostro nuovo album?
Masito: No.
Danno: Ce lo chiedono tutti. Chi vivrà, vedrà.
Masito: Dopo un disco così pesante come “Adversus”, ci tocca farne uno un po’ più leggero, un po’ più agile e sportivo. Per forza.
In primis per voi, eh.
Danno: Madonna, sì…
Masito: Da non dormirci la notte.
Danno: Ci siamo messi una pressione addosso che… Davvero, proprio da dirsi “Ma no, ma lascia stare, molla tutto, chi te lo fa fare”.
Se foste obbligati ad inserire dei featuring nel prossimo album, chi chiamereste?
Masito: Ma dici in campo rap o in generale?
Spaziate pure.
Danno: Nel rap, mi piacerebbe sicuramente fare un pezzo con Rancore. Perché è uno con un mondo “suo”. E a me piacciono gli artisti in grado di inventarsi un modo a se stante e di costruirselo, abitarselo.
Un mondo in primis interiore.
Danno: E poi siamo molto amici. In più, fare con lui è davvero una bella sfida: ha una scrittura molto diversa dalla nostra, ma comunque è uno dedica tantissimo tempo a ciò che compone, ci mette anima e corpo. Sicuramente fra di noi potrebbe nascere un punto d’incontro molto interessante.
Masito: A me, sinceramente, piacciono parecchie cose ma non so quanto starebbero bene con quello che faccio io, con quello che facciamo noi, non sempre almeno. Di sicuro, io un pezzo con Salmo lo farei.
Danno: Avoja!
Masito: Nel senso che ha un modo molto estremo e netto di fare le cose, molto preciso. Lui è uno che se gli dici un argomento, te lo coglie subito appieno, nella sfumature più importanti. E noi, se proprio dobbiamo cercare dei featuring, vogliamo farlo non con chi butta lì qualche rima giusto per riempire una casella. Quindi sì, lui mi piacerebbe parecchio. Allo stesso tempo, ci piacerebbe fare qualcosa che rimetta in circolo la canzone romana del passato, in chiave contemporanea. Quanto fatto da Ardecore o Muro Del Canto secondo me è interessantissimo. Sarebbe bello trovare un punto d’incontro tra folk e rap.
L’hanno fatto Noyz e Night Skinny con “Sinnò me moro”.
Danno: Sì, ma quello era un campionamento. Noi vorremmo proprio chiamare un cantante o una cantante folk. Romano, o non solo romano: farei volentieri un pezzo con Mannarino, con un ritornello pensato e cantato da lui, con lui ci siamo anche conosciuti, ma avendo carta bianca assoluta mi piacerebbe fare qualcosa con Vinicio Capossela.
Masito: Comunque i featuring oggi come oggi ce li chiedono i gruppi più underground. Non è che noi abbiamo mai rifiutato proposte da qualcuno di quelli che oggi va per la maggiore, semplicemente non ce li chiedono. Forse hanno paura di noi? “Quelli sono degli stronzi, criticano sempre tutto…”.
Danno: Sì, magari siamo ancora visti come quelli che “Mo’ arrivano questi a rompere di nuovo li cojoni, che palle”.
La cosa bella è che se avessimo fatto questa intervista dieci, quindici anni fa avremmo passato il tempo a parlare di cose è l’hip hop, cosa rappresenta, cosa fa la scena, cosa dovrebbe fare… Forse si sta meglio ora, no?
Masito: Sì.
Danno: Dai, in fondo si stava bene anche prima.
Masito: Sì stava bene anche prima, ma sinceramente dopo un po’ era diventata una “pesantata”. Studia! Il knowledge! …noi per primi, eh. Invece, la figata vera del rap è che si tratta di una cosa che possono fare tutti. E oggi, sta succedendo esattamente questo. Di negativo c’è che poi magari fai le cose senza conoscere nulla, senza avere delle vere basi; ma non dell’hip hop, proprio della vita. Quindi fai e metti in circolazione delle robe un po’ così, a cazzo.
Danno: Però oh, in quel periodo, parlo di quindici anni fa e passa, era bello sentirsi appartenenti a qualcosa che ancora conservava un alone di magia, almeno per noi che la vivevamo in Italia con un certo tipo di ignoranza – sì, eravamo ignoranti, permettimi di dirlo. Prendiamoci le nostre colpe, su questo. Ci ho messo anni, sai, a capire veramente cosa ci siamo ascoltati per anni con così tanto entusiasmo. In tempi recenti, tante volte ce lo siamo detti: “Sai che se avessimo sentito questo gruppo rappare in italiano, gli avremmo bruciato il disco?”.
Masito: Vero, verissimo. Solo che loro erano americani, e allora nel segreto di casa tua te li potevi ascoltare e goderne pure; mentre fossero stati italiani… guai. E questo è un limite.
Danno: Parlavo con Mezzosangue, non molto tempo fa, e ce lo siamo proprio detti. Mi fa: “Te posso fa’ ‘na domanda?”, e io “Vai”. “Ma perché a me sta bene se un negrone di Brooklyn dice tutto il tempo che vuole fare i soldi e vivere nel lusso, ma se invece lo fa un coatto italiano fondamentalmente mi sta un po’ sul cazzo?”. La mia risposta è stata: “Frate’, non chiedermelo, ho lo stesso problema tuo…”. Non pretendere ora da me spiegazione; ma, sicuramente, è una roba su cui riflettere…
(Foto di Luca Salticchioli; qui sotto, “Adversus” dalla prima all’ultima traccia, un ascolto fondamentale)