Avevamo già scritto di Kompakt, provando a raccontarne la storia o almeno una storia personalizzata e un pochino romanzata. Mancava un unico tassello: intervistare chi Kompakt, insieme ad un gruppo di amici, l’ha fondata e fatta crescere. In occasione dell’uscita del suo nuovo EP, abbiamo finalmente parlato con Michael Mayer e chiuso così un cerchio per definire la storia di una delle label più importanti degli ultimi vent’anni
Se Torni con la mente al Delirium Shop di di un po’ di anni fa ti saresti aspettato tutto questo?
Torniamo indietro di parecchi anni, così! Devi pensare che in quel periodo aprire il Delirium Shop, per noi, è stata la cosa più naturale da fare: eravamo tutti innamorati della musica, aprire un negozio di dischi ci è sembrata la cosa più naturale e la giusta soluzione per continuare a circondarci di musica e continuare a rimanere connessi con i nostri amici di sempre. È stato divertente: se ci ripenso, non posso che ricordarlo come un momento di enorme divertimento. Ti svegliavi tardi, aprivi il negozio, bevevi una birra, fumavi qualcosa e poi tornavi nel pomeriggio… davvero divertente! Non pensavo sarebbe durato tanto: di solito quelli musicali sono loop che durano una decina di anni, dopo dieci anni la musica cambia e di conseguenza cambiano anche le cose che si fanno. Kompakt è qualcosa che è andata avanti per molto più tempo (e ancora va avanti!). Ricordo bene che nei primissimi momenti, quando magari stavamo anche due settimane senza avere un disco da far uscire, ci chiedevamo cosa sarebbe successo, quando cioè sarebbe finita la moda della techno… Non è andata così; e davvero di questo sono contento.
Ricordo di aver letto tempo fa un articolo in cui Wolfgang Voigt dichiarava che Kompakt era una label pop sotto l’ egida della techno. E’ ancora così?
Non credo sia cambiato tanto. Quando ascolti i nostri Speacher su Kompakt Extra, senti ancora qualcosa di molto techno. Però credo ci sia sempre qualcosa di pop nelle nostre tracce: lo trovi sempre, sono piccoli particolari, piccole “attenzioni” che caratterizzano da sempre i nostri pezzi.
Ho ascoltato un po’ la tua nuova release “Higher” e la prima cosa che ho pensato è che si tratta dello stesso suono Kompakt che ascolto da vent’anni. Occhio, non è una cosa negativa: è un qualcosa che rende così riconoscibile ogni traccia Kompakt per cui, se ami questa label, una canzone sua la riconosci subito…
È bello che tu te ne sia accorto: perché proprio per questo EP ho cercato di mettere giù in musica tutti gli anni in cui sono stato un dj, e tutte le cose che ho suonato da dj durante il periodo Kompakt. Credo sia un EP che racconta molte storie: dagli inizi degli anni ’90 all’house di Chicago, fino a quella di New York in cui erano così importanti i vocal sample e in cui avevi un problema se non avevi un buon vocal sample. Può sembrarti strano se ci pensi, perché non è proprio roba Kompakt in effetti, ma sono suoni che hanno avuto molta influenza su di me. Con l’arrivo della minimal techno e con l’evoluzione del suono di Colonia, tutto si è fatto molto più astratto e i vocal sample non sono stati più necessari, vero, ma sono stati comunque molto importanti nella mia evoluzione. Questo EP è una congiunzione tra il mio passato e il suono Kompakt, mi fa piacere tu ci abbia comunque sentito il suono Kompakt.
Ricordo comunque tuoi pezzi con qualcosa di vocale tipo “Lovefood”: quanto sei in effetti cambiato rispetto a quel pezzo?
Non credo di essere cambiato poi molto; o almeno, spero di non essere cambiato poi molto. Credo poi di essere migliorato tecnicamente, e in effetti spero di essere migliorato tecnicamente. Sono una persona davvero molto impegnata: sempre in giro per qualche show, oppure in ufficio, oppure sto seguendo la label, per cui il tempo che posso dedicare alla produzione è sempre molto, molto ridotto. Il martedì notte è il giorno dedicato alla produzione, il giorno in cui riesco a stare in studio magari fino anche alle 4 del mattino: forse è questo il motivo, anche per riallacciarci alla tua domanda precedente, per cui il mio suono non è mai cambiato più di tanto. Produco dal ’94, eppure alla fin fine non ho una discografia così grande.
Non mi sembra tu abbia comunque buttato via il tuo tempo, con Kompakt siete riusciti quasi sempre a mantenere livelli altissimi. Ho intervistato in due periodi diversi Kölsch e Kasper Bjiorke, ed entrambi mi hanno ripetuto che la vostra l’unica regola è quella di aver sempre prodotto unicamente ciò che vi piaceva, fregandovene in tutto e per tutto di logiche di mercato e sopratutto di business? E’ questo il trucco?
E’ così! Voglio dire, qual è lo scopo di gestire una label? Abbiamo scelto di essere indipendenti, o per lo meno di esserlo il più possibile. I primi tempi ricordo bene quanto fosse difficile interfacciarci con i vari distributori o con le varie altre label, e ricordo bene i loro “Non è techno”, “Questa è troppo pop”: c’era sempre qualcosa che non era “abbastanza” per qualcun altro. La nostra risposta è sempre stata la stessa: “Questa è la nostra musica e questa è la nostra espressione” e soprattutto “Questo è quello che vogliamo fare e che vogliamo suonare“, se qualcuno non è interessato a ciò che facciamo non importa, lo faremo solo per noi. Per noi Kompakt è come un’azienda agricola in cui coltiviamo le nostre patate e poi le rivendiamo senza dover discutere con nessun altro. E’ questa la motivazione principale dietro la nascita e poi la crescita della nostra impresa. Il mercato musicale è in continua evoluzione e cambia di continuo a seconda delle mode: un giorno è techno l’altro è trance, altre va dietro al suono dei Tale of Us, sopratutto in Italia. Ora io mi chiedo: perché dovremmo andare dietro a questo filone? Non è roba per noi, non è il nostro genere, non è ciò che ci piace fare. Non abbiamo mai avuto voglia, e nemmeno l’abbiamo ora, di saltare su quel carro solo perché oggi alla gente piace un certo genere di musica. La nostra vera regola è sempre stata quella di fornire alternative, suggerimenti, è una cosa tipo “Ehi, c’è anche questo, vuoi ascoltare?“. Perché continuare a pagare per ottenere la stessa cosa?
Ricordo che ad un certo punto i dj hanno dovuto cambiare anche il loro modo di suonare: eravamo in piena bolla minimal techno (diventata all’improvviso un genere decisamente glamour) e non era facile passare da un pezzo di Matt John a “Baby’s on Fire” di Superpitcher. Hai mai sentito il peso del “rapporto dialettico” (problematico o fecondo) tra la scena berlinese e quella di Colonia, tra il Berlin Sound e il Köln Sound?
Era tanto tempo fa, questo periodo storico… Sicuramente c’era per noi una connessione con parte della scena di Berlino, se pensiamo a label come la Bpitch Control ci sono forti similitudini; in fondo eravamo guidati da idee simili, tan’è che io suonavo dischi di Bpitch e loro facevano lo stesso con alcuni dischi di Kompakt. Questa connessione era davvero forte, e io non mi sento di dire che si trattasse di due scene completamente diverse. Se invece ti riferisci proprio alla pura minimal techno berlinese di allora, sì, forse quella non era esattamente la nostra comfort zone. Noi cercavamo qualcosa di più “colorato”, avevamo totalmente un approccio differente.
C’era in quegli anni questa cosa divertente, qui in Italia, per cui se suonavi un pezzo Kompakt non potevi suonare un pezzo Poker Flat, e viceversa…
Questa è bella! Beh, io ho sempre suonato un sacco di pezzi Poker Flat. I primi tempi ho suonato tantissimo sia Poker Flat che Bpitch Control: sono miei amici, mossi dalla mia stessa idea, che era quella di non copiare per forza di cose il suono di Chicago ma di darne la nostra propria visione.
Sai che non posso non farti delle domande molto inerenti alla storia Kompakt me le tengo da quasi quindici anni…
(ride, NdI) Sono prontissimo vai!
Ok, preparati! Mi dici qual’è stato il tuo primo impatto quando hai ascoltato per la prima volta “Prototype” di Rex The Dog?
Mi ricordo molto bene quando ho ricevuto il demo. Non ricordo se fosse una cassetta o un cd, ma credo un cd. La copertina di “Prototype” era esattamente quella che c’era sul demo. Quando l’ho ascoltato ho detto: “Wow questo è figo“. L’ho fatta ascoltare agli altri e loro han detto “Sì, è figo” ma anche “…non è però tanto un disco Kompakt“. Il suono di Rex the Dog era totalmente differente da tutto ciò che stavamo facendo. Aveva questo suono così anni ’80, con tutte quelle influenze con cui sono cresciuto… Ero affascinato, mi piaceva tantissimo, ma davvero non sapevo cosa farne. Il cd è rimasto sulla mia scrivania per mesi, ogni tanto lo ascoltavo e pensavo “Questo è davvero figo” finché un giorno, ma era passato davvero un po’ di tempo, ho mandato una mail a Rex the dog spiegandogli le mie insicurezze ma dicendogli “‘Fanculo, facciamolo!”.
Ne ho un altra: mi racconti la storia della “Kompakt Total 13” e del perché non uscì? Era davvero superstizione?
Considera che avrebbe dovuto uscire nello stesso periodo delle release previste per i vent’anni di Kompakt. Però dai, il tredici è davvero un numero di merda… Non è una cosa proprio di superstizione però ok, dovevamo scegliere se fare la numero tredici o celebrare i nostri vent’anni facendo una compilation con la musica dei nostri primi vent’anni. Come ben sai, abbiamo optato per la compilation dei vent’anni. E senza nemmeno pensarci troppo.
E’ cambiata Kompakt da quel episodio? Subito dopo ci fu l’arrivo di Kölsch con “Der Alte”, che secondo me cambiò molto le cose lì da voi…
Hai ragione! Di fatto si sono aperte nuove porte. Ricordo bene il nostro primo contatto, quando ho ascoltato i suoi primi demo ho pensato che sarebbe stato perfetto per i nostri Speicher. Quando ho scoperto che si faceva chiamare Kölsch, ricordo molto bene di avergli detto “Con quel nome puoi davvero fare quello che ti pare“. Di fatto per noi è stata una ventata di aria fresca, un suono leggermente diverso e per nulla banale. Vedi, Kölsch ha questa capacità di mettere tranquillamente insieme emozioni e melodie cheesy senza mai suonare stupido e se ci pensi può essere leggermente differente da quello che sei abituato a sentire su Kompakt.
C’è qualcosa che non avresti rifatto?
No, non credo di aver rimpianti. Abbiamo sempre fatto quello che abbiamo voluto, anche quando un disco non aveva alcuna possibilità di successo, beh, se per noi era meraviglioso quel disco usciva, fuori da ogni logica se vuoi, ma usciva perché per noi era una nostra rappresentazione, un nostro statement. A volte abbiamo avuto conferme al contrario: sai quanti dischi su cui non avremmo puntato un cent si sono rivelati successi clamorosi? Non puoi mai sapere cosa succederà.
Forse perché la cultura non sempre ha bisogno di successo. Ti faccio una rivelazione: non ho mai amato “Supermayer”, anzi, credo di non averlo mai sopportato…
Davvero? Secondo me non era un brutto album, dai…
Non so se lo sai ma qui in Italia “Domino” ha un importanza quasi mitologica, è un inno generazionale per i nostri clubber. Come per Rex The Dog, ti chiedo: quale fu la tua prima impressione sentendolo?
E’ una storia divertente quella! Erano ormai otto anni che esisteva Kompakt e fino a lì, ma anche dopo, anzi, direi sempre, abbiamo sempre preso le nostre decisioni insieme. Quando ci è arrivata la demo di “Domino”, Wolfgang (Voigt, NdI) era davvero super entusiasta ed era strano, perché come per Rex The Dog anche qui parliamo di un pezzo che non era proprio nelle nostre corde: “Domino” non era proprio il nostro genere, davvero. Non ero convinto di quel pezzo al tempo, ma Wolfgang ricordo fu irremovibile nel dirmi: “Questa traccia diventerà una hit, deve uscire assolutamente“. Ricordo di avergli risposto “No dai, ti prego…“: non ero davvero favorevole all’uscita del pezzo, mi sembrava una roba troppo anni novanta; una roba, boh, mezza trance? Ti ricordi quella trance sempliciotta che andava in quel periodo? Ecco. Ci furono discussioni infinite su quella release. Ricordo di aver ceduto piuttosto di malumore dicendo a Wolfgang “Ok, facciamolo uscire, ma vedrai che la gente odierà quel pezzo dicendo che è una merda“. Naturalmente è diventato il disco Kompakt più venduto di sempre (ride NdI)! Ancora oggi Wolfgang ogni tanto viene da me a dirmi “Te l’avevo detto, te l’avevo detto“…
Come è cambiato il vostro approccio alla vendita dei dischi in questi venticinque anni?
E’ cambiato, e non so quanto posso essere contento di questo. Credo intorno all’uscita numero 100, mi pare intorno al 2008, avevamo preso la decisione di ristampare i dischi, nel momento in cui questi fossero andati sold out. Sai, non ci è mai interessata la mitologia del disco sold out, lo status symbol del disco che va esaurito. Ci sono stati dei fattori che successivamente ci hanno fatto cambiare idea, però. Ricordi? Eravamo in piena crisi economica, la pirateria alle stelle, i dj che sostanzialmente cominciavano a suonare in digitale… Ci siamo detti che non valeva più la pena tenere la posizione avuta finora. Da quel momento abbiamo deciso che non avremmo effettuato ristampe dei dischi andati sold out.
Se dovessi scegliere una sola traccia per descrivere Kompakt, anzi, più facile, Kompakt Extra…?
Brutta storia… Credo che la risposta più semplice sia scegliere lo “Speicher 2”. Avevamo appena iniziato con la label, c’erano queste due tracce mie e di Voigt con un altra visione rispetto al modo di fare techno che c’era al tempo. Noi volevamo fare qualcosa di differente e di subito riconoscibile per cui sì, credo che lo “Speicher 2” descriva molto bene quello che è poi diventato il suono Kompakt.
Non posso non terminare chiedendoti del futuro di Kompakt, a cosa state guardando adesso.
E’ difficile guardare al futuro adesso in questo periodo di merda, ma siamo persone molto forti: siamo sopravvissuti ad una crisi economica e a mille altre mazzate, per cui abbiamo fiducia di sopravvivere anche a questo. Credo potremmo accontentarci di fare quello che abbiamo sempre fatto, con questo gruppo di amici. E’ l’auspicio migliore.
Credi ci sarà una rivoluzione nella scena clubbing?
In parte credo stesse già cambiando nell’ultimo periodo, questo perché l’evoluzione di questa cultura tutta incentrata verso la superstar dj non poteva reggere più. Prima di questa emergenza ho speso molte parole rispetto al fatto che la direzione che stava prendendo questa scena era completamente sbagliata. Esempio: immagina un club di Milano, che basa la sua reputazione solo ed unicamente sul fatto che ogni weekend abbia il nome più importante, quello che attira più gente. Quindi, se fai suonare Solomun il primo del mese poi sei obbligato a replicare, replicare, replicare, in un meccanismo completamente senza senso. L’ecosistema della techno è completamente sbagliato, è un sistema dove si produce ormai solo per soldi e in cui i dj afferrano tutto. Non può più essere sostenibile un sistema così.
Forse si potrebbe ripartire dalle piccole scene locali senza eccessive ambizioni…
Io credo sia proprio questo il punto: io credo ci si debba focalizzare sulle scene locali per farle crescere e per creare un sistema sostenibile. C’è un’unica soluzione ed è smettere di invitare le superstar dj ogni weekend. Questo ti permette di sviluppare e di far crescere la scena locale, così come di far crescere e coltivare potenziali promesse e nuovi suoni. Ci sono nuove scene già strutturate, già particolari, con un suono nuovo, già importanti: basta farle crescere.