Se cercate Ciao Fellini su Google non troverete granché. Grazie a YouTube invece vi imbatterete in un paio di loro esibizioni risalenti al 1986 al Festivalbar e Discoring, per poi passare alla cover de “La Mia Banda Suona Il Rock” al Festivalbar del 1988 e ad un video-collage riversato in digitale da VHS comprendente numerose altre apparizioni su Raidue (Il Piacere Dell’Estate, Chi C’è, C’è), Raiuno (a Domenica In e Via Teulada 66 intervistati rispettivamente da Roberto D’Agostino e Loretta Goggi), Canale 5 (ospiti di Mike Bongiorno a Telemike, al citato Festivalbar ’88 annunciati dal patron Vittorio Salvetti, a Superclassifica Show con Maurizio Seymandi, ad Odiens con Gianfranco D’Angelo, Ezio Greggio e Lorella Cuccarini), ed Italia 1 (ad 1, 2, 3 Jovanotti con Jovanotti per l’appunto). Insomma, tutto quello che ai tempi sancisce la massima esposizione mediatica nel nostro Paese per un musicista.
La loro musica, prima prodotta da Mauro Malavasi e poi da Celso Valli rispettivamente per la RCA e la DDD (La Drogueria Di Drugolo, quella che lancia Eros Ramazzotti), era un mix tra ritmi caraibici, pop ed italo disco, riverberata al massimo da una serie di cover in chiave ballabile di classici della canzone italiana a cui aggiungono pure una specie di rap come in “Four Fellini Go To Cinecittà” (contraddistinto da una copertina in cui i quattro vengono “paperizzati” da Elena D’Agostino) e in “Dalì”, remixato da Piero Fidelfatti e che nel 1990 tira il sipario sulla loro carriera. I Ciao Fellini abbandonano le scene ed inevitabilmente vengono bollati da qualcuno come la più classica delle “meteore”.
Riappaiono ora a distanza di ben 27 anni, grazie alla Pizzico Records che riesuma un paio di brani del loro repertorio per affidarli a DJ in grado di evidenziare certe caratteristiche ancora attuali. Per l’occasione incontriamo il carismatico leader della band modenese, Alessandro “Jumbo” Manfredini, che ai tempi sfoggiava un ciuffo che non poteva certamente passare inosservato, e che oggi racconta dettagliatamente la storia di questo progetto diventato un piccolo cult della scena musicale italiana degli anni Ottanta.
Come nascono i Ciao Fellini? C’è una ragione precisa dietro la scelta di un alias così curioso?
I Ciao Fellini nascono ufficialmente nel 1984, dopo precedenti esperienze. Prima gli S80, un gruppo post punk, post wave e pre dark, in seguito i Dobro Dobro, nome di derivazione jugoslava, immersi tra suoni esotici e dub. Poi pensammo che un gruppo dance chiamato così fosse già da subito indecifrabile, per cui stilammo un elenco di un centinaio di possibili nomi e alla fine emerse quello del Maestro Fellini anticipato da un bel “ciao”, comprensibile, alla portata di tutti e allo stesso tempo aperto a visioni di mondi surreali e metafisici, un po’ come la poesia del linguaggio in stile Tonino Guerra. Fu molto emozionante chiamare a casa Fellini e chiedere di firmarci una liberatoria per utilizzare il suo cognome. Rispose la Signora Masina ed io iniziai subito a sudare freddo, ma dopo aver motivato la chiamata lei mi passò il Maestro che fu gentile ed incuriosito dal progetto.
Il primo singolo fu “Rita !!!!”, prodotto nel 1984 da Mauro Malavasi per la RCA. A chi vi ispiravate?
“Rita !!!!” fu anche il nostro primo pezzo home made in assoluto. L’attrezzatura consisteva in un registratore Revox, una Roland TR-808, un eco a nastro, un basso, una chitarra ed una tastiera Casio. Il suono che volevamo ottenere era un innesto tra il caraibico (ascoltavamo di continuo Harry Belafonte e Kid Creole And The Coconuts) ed alcuni richiami alle nascenti esperienze di dance intelligente americana, tipo Arthur Russell e gli artisti della sua Sleeping Bag Records. Producemmo una cassetta che consegnai prontamente al mitico Paolino Pelloni che di giorno gestiva il negozio di dischi Peecker Sound di Modena e la sera era – ed è tuttora – uno dei DJ più rispettati in città e non solo. A lui piacque talmente tanto da farci parlare con Mauro Malavasi, per noi un vero mito della musica dance, che ci disse che il pezzo reggeva bene già così com’era e che c’era solo bisogno di tradurlo su un nastro master. E così fu: entrammo in Fonoprint e lì si aprì un mondo fatto di mille possibilità e sperimentazioni. Tra i suoni di “Rita !!!!”, ad esempio, c’è una bottiglia di vino suonata da una bacchetta e Malavasi volle a tutti i costi quella bottiglia e quella bacchetta di legno per ricreare lo stesso suono, per essere più fedele possibile all’originale. Arrivammo alla RCA per due motivi: il primo era quello più tangibile, ovvero che Mauro Malavasi era e rimane uno dei migliori produttori di musica italiana e sicuramente per una casa discografica questo era fonte di sicurezza (ovvero rappresentava un prodotto pop “ben confezionato”); il secondo motivo presumo fosse perché eravamo a nostro modo originali, sia come immagine che come proposta musicale.
Tornate dopo due anni sulla DDD, La Drogueria Di Drugolo. Come mai finì con la RCA? E come arrivaste all’etichetta del barone Lando Lanni Della Quara?
In quei due anni di assenza la prima formazione si sciolse. Andrea Barbieri e Daniele Di Racca pensarono che lo sviluppo del percorso non fosse nelle loro corde e dunque rimasi solo io. Iniziai a guardarmi intorno tra le persone che ammiravo e stimavo ed ecco arrivare la seconda formazione: Cristina Tazzioli, Alberto Bobbera, Giuseppe Panascì e il sottoscritto. A quel punto, dopo lo scarso successo di “Rita !!!!”, di comune accordo con Malavasi e la RCA scindemmo il contratto. Continuammo però a lavorare con Pelloni ed improvvisamente arrivò il beneplacito di Celso Valli, all’epoca arrangiatore di Eros Ramazzotti ma anche autore di una hit dance del 1979 come “Hills Of Katmandu” dei Tantra. Per lui il progetto Ciao Fellini aveva un potenziale. A quel punto arrivare alla DDD del barone, che in tutti quegli anni avremo incontrato al massimo due volte, fu molto facile, anche perché al comando della casa discografica c’era una delle persone più appassionate e burbere (ma buone) della discografia, il compianto Roberto Galanti. Ci accolse una vera famiglia, con tutte le sue sfumature e dinamiche. Fu davvero un’esperienza formativa e di grande professionalità. Da lì iniziò il nuovo percorso dei Ciao Fellini: cominciammo a lavorare su alcuni brani con l’obiettivo di creare una canzone dance pop di successo. “Noche A Bahia” ci fece capire che la fantomatica italo disco tirava di brutto, sia in Italia che all’estero.
Come andò in studio con Valli?
Lavorare con un artista del suo calibro fu estremamente meraviglioso quanto rischioso. Per intenderci e per fare un paragone calcistico, fu come se calciatori in erba (come i Ciao Fellini) fossero allenati da José Mourinho, un mostro sacro che ti forma e ti fa crescere per diventare una potenziale star. Perciò tutto quello che faceva e diceva Celso per noi rappresentava il Verbo. In studio, sempre alla Fonoprint di Bologna, era pazzesco vederlo lavorare. Il suo team era composto da musicisti di altissimo livello e da tecnici del suono che hanno creato il sound dei suoi dischi per decenni. Celso era ed è un vero pignolo e non transigeva su nulla, solo su un paio di argomenti era, diciamo, indulgente ovvero l’immagine della band e le performance dal vivo. Parafrasando un nostro slogan dell’epoca, abbiamo sempre cercato di essere “ironici ed irreverenti” perciò il look, che era quasi sempre curato da me e dai miei contatti col mondo dell’abbigliamento, era colorato e pieno di richiami agli ambienti che ci appassionavano, come il trash dei film di John Waters, l’immaginario onirico di Fellini o i look contemporanei di Jean Paul Gaultier e di Franco Moschino. Ebbene si, già nel lontano 1984 i Ciao Fellini vestivano Gaultier alla faccia di Madonna. Una delle cose che ci divertiva di più durante le interviste radiofoniche o televisive era portare su altri piani la conversazione. Non c’era mai nulla di preparato, era una specie di divertissement che a volte riusciva molto bene, vedi con Maurizio Seymandi oppure con la prima formazione quando andammo al Ciocco, nella sede di Videomusic, con l’intervista che fu fatta a noi tre coi nostri relativi papà.
Da punto di vista grafico invece, chi curava le copertine?
Alcune cover erano pensate e realizzate col Kennedy’s Studio di Modena, come quella di “Rita !!!!” e di “La Mia Banda Suona Il Rock”. Era stimolante lavorare con amici con cui condividevi anche il mestiere (svolgo tuttora l’attività di graphic designer e creative director) ed infatti nascevano sempre idee originali. Il mio lungo ciuffo ad esempio partiva da una strana passione per l’immaginario rockabilly e gli Stray Cats che vidi dal vivo a Londra nel 1980. Ammetto, senza alcun timore, che ci ispiravamo ed attingevamo a piene mani da tutto ciò che ci circondava e ci piaceva, anche da riviste come The Face e i-D che allora venivano distribuite in poche copie e a Modena si trovavano solo nell’edicola della stazione. Valli era il deux ex machina della parte musicale, Pelloni della parte manageriale e noi di quella spettacolare, e questo ci divertiva molto anche se spesso la mia anima “punk” prendeva il sopravvento in certe apparizioni televisive e ciò comportava pagare un oggetto da me letteralmente fracassato, come una tastiera o un’asta del microfono.
Nel 1988 la DDD pubblica il vostro primo (ed unico) album, “’70 Mi Da’ Tanto”, ancora prodotto da Valli (affiancato da Paolo Gianolio, nel team della Goody Music di Petrus-Malavasi qualche tempo prima) ed interamente basato su reinterpretazioni di classici della canzone italiana, da “Prisencolinensinainciusol” di Celentano a “Figli Delle Stelle” di Alan Sorrenti passando per “Il Veliero” di Lucio Battisti e “La Mia Banda Suona Il Rock” di Ivano Fossati. A cosa fu dovuta tale scelta?
La nostra formazione, pur essendo in qualche modo “alternativa”, ha sempre cercato di portare un po’ di pop italiano in veste cheesy o camp ma ballabile, tramite quello che a posteriori potremmo definire un processo di edutainment, ovvero far conoscere alcune hit del passato, canzoni che forse nessuno ricordava (come “Jesahel” o “Il Veliero”) in una chiave ballabile e divertente. Ammetto che imparare il testo di “Prisencolinensinainciusol” fu una vera impresa! Su Gianolio c’è poco da dire ma c’è stato molto da ascoltare ed imparare. Resta uno dei musicisti con più talento che abbia mai incontrato.
Quante copie di dischi vendevate, mediamente, negli anni Ottanta?
Era un periodo in cui non esisteva ancora la battaglia tra radio che investivano letteralmente sulla discografia, forse l’unica che aveva già questo modello di impresa era Radio DeeJay, ma per il resto quando una canzone funzionava tu ruotavi la manopola della radio a transistor e la sentivi su tutte le frequenze FM. Sulle quantità, sono onesto, non ricordo bene ma penso che il 45 giri de “La Mia Banda Suona il Rock” arrivò a vendere centomila copie.
C’è qualche aneddoto che ti piacerebbe raccontare?
Estate 1988, eravamo al Teatro Romano di Verona per il Festivalbar, durante il pomeriggio facevamo le prove televisive visto che ci si esibiva in un “autenticissimo” playback. Sul palco sfoggiammo una serie di trombette di plastica per mimare un tappeto di trombe in stile “Easy Lady” di Spagna che inserimmo, col benestare di Valli, sul finale de “La Mia Banda Suona il Rock”. Dopo la prova sentii chiamare l’artista successivo. Chi era? Ivano Fossati! Con la mia bella faccia tosta gli chiesi se avesse apprezzato la nostra cover e lui sorvolò con aria incazzata. Il giorno successivo Galanti ricevette una sua telefonata: esercitò tante pressioni e la DDD si vide costretta a ritirare le copie del 45 giri appena uscito per rimetterle sul mercato successivamente in una versione senza quelle famose trombe.
“Dalí” chiude la storia dei Ciao Fellini nel 1990. Perché non andaste avanti?
In un certo senso “Dalì” fu una canzone “ambiziosa”, voleva catturare sonorità legate al mondo iberico avvalendosi di un cantato alternato ad un rap, cosa che in Italia credo non avesse fatto ancora nessuno, almeno in ambito pop. Visto il testo in spagnolo che non aiutò di certo la fruibilità, il brano non fu un successo, anzi, ma personalmente lo ritengo un po’ il manifesto conclusivo di una bella esperienza che forse aveva una data di scadenza e che probabilmente non rappresentava ciò che noi tutti avremmo voluto fare da grandi. Ad ogni modo quello dei Ciao Fellini fu un iter formativo straordinario. Io avevo una mia teoria personale, ben captata da Malcolm McLaren e dal film-documentario “The Great Rock ‘n’ Roll Swindle”. Tuttavia questa mia “visione” non è stata il motore del progetto Ciao Fellini, anzi il contrario, tutto è terminato senza tragedie o spargimenti di sangue. Sembrò semplicemente che la cosa dovesse finire lì e basta.
Com’era l’industria discografica italiana degli anni Ottanta?
Come anticipato prima, la DDD era un’industria formato famiglia (forse anche la sede era pensata per quello) al contrario della RCA dove c’era un atteggiamento più “gigionesco” anche se molto professionale. Io poi ho continuato a lavorare nel music business per molti anni, sfornando in qualità di grafico copertine per la Pausini, Litfiba, Ramazzotti, Tozzi, Grandi, Baccini, Raf, Biondi, Festivalbar e molti altri, perciò la discografia anni Novanta l’ho vissuta da dietro le quinte e devo dire che le dinamiche erano ancora basate sull’aspetto amichevole e il reciproco rispetto. Non credo che questa attitudine sia cambiata molto, almeno lo spero.
Come è nata l’idea di riportare a nuova vita “Noche A Bahia” e “Dalì”?
Da anni c’era un rumore di fondo, impercettibile, ma che faceva così: “noche-noche a ba-hi-a!” e quando senti il richiamo alle radici non puoi sfuggire.
Chi e cosa vi ha portato alla Pizzico Records?
Modena è una città piccola dove però è sicuramente più facile fiutare i talenti e captare le good vibes che emanano. Perciò l’avvicinamento a Pizzico Records è stato “semplice” e “friendly”. Avere a che fare con Niccolò, il boss della label, è sempre piacevole, riesce ad unire l’atteggiamento giusto da entrepreneur ad un “pizzico” di approccio non convenzionale. Poi va detto che la discografia di Pizzico ha l’anima del nuovo millennio immerso in un passato recente, un mix che ha portato ad intraprendere questo progetto in tutta serenità.
Avete recuperato i master originali per estrarre dei sample?
Ecco un punto dolente del progetto: i master e gli stems. Ho contattato tutti quelli che potevo contattare, ma di master e parti neanche l’ombra e ciò ha rappresentato un problema per tutti. Con la fusione delle case discografiche molti master sono andati perduti se non addirittura rubati. Abbiamo dunque lavorato con la traccia “rippata” da vinile ma, nonostante questo modus operandi, devo dire che il risultato finale mi ha soddisfatto al cento per cento.
Conoscevi già i remixer che hanno reinterpretato il brano?
Conosco bene, anzi benissimo, tutti i coinvolti. Con Rocca ci frequentiamo dai tempi del Graffio e successivamente del Maffia, Dio solo sa quante volte ho ballato sul dancefloor “maffioso” la musica da lui proposta. Niccolò Bruni, manager di Pizzico ed ideatore del progetto The Caribbean House con parte dei Technogod e Disciplinatha, lo conosco invece dalla fine degli anni Novanta quando suonava coi Negroni Taste Department al Vox Up di Nonantola, serata che inaugurai insieme allo Studios alcuni anni prima, ma è da poco che abbiamo iniziato a collaborare e la cosa che amo di più è la sua inesauribile energia, la sua contagiosa simpatia ed anche la sua cultura, sia musicale che filmica. Con Alberto Bello alias Johnny Paguro siamo prima di tutto colleghi e poi è una delle (ormai quasi) giovani leve che ha sempre suscitato in me ammirazione e curiosità per un talento a 360 gradi. Con Severino Panzetta è stato amore a prima vista: l’ho conosciuto grazie a Fabio Carniel del Disco Inn di Modena, e con lui condivido tante cose compresa la passione per Ernestina Cerini (ma questa la può capire solo lui!).
Poco fa hai citato il Graffio: come lo ricordi?
Il Graffio è stata una discoteca che definirei “sui generis” aperta dai Ciao Fellini e da un folto gruppo di amici nel lontano 1984 negli spazi attigui a dove si provava con la band e che noi gestivamo più come un centro sociale che una vera disco. Penso che il Graffio sia stato il dancefloor dove si sono ballati i primi dischi house e rap in Italia, e tra i vari DJ che ne hanno calcato la consolle vanno sicuramente ricordati Maurizo Tangerini ed Achille Franceschini aka AkyTrax o AkyTune (ricordate la trasmissione “Labirinto” in onda su Italia Network?) che era l’ex DJ dell’Aleph, oltre ad essere fondatore del famoso negozio Disco D’Oro di Bologna di cui è tuttora manager. Sono stati anni indimenticabili e di grande fermento, sia per la mia città, Modena, che per la nazione intera.
Cosa pensi sul fenomeno ormai diffusissimo del revivalismo legato alla musica delle decadi passate? È un modo per andare avanti in un periodo in cui pare non si riesca ad inventare davvero nulla di autenticamente nuovo?
Cari millenials, siamo qui per dirvi che prima della vostra “cultura” bidimensionale da smartphone esistevano una storia, movimenti e sottoculture che, se ben trasmesse, possono far interpretare meglio quello che sta avvenendo oggi in tutti i campi creativi. Questo messaggio è anche frutto del mio lavoro di docente allo IED di Milano dove ho avuto la possibilità di lavorare con ragazzi molto giovani e a cui ho cercato di insegnare come utilizzare il passato per vivere il presente, perlomeno in campo artistico.
Hai a disposizione materiale mai pubblicato per pensare ad eventuali inediti?
Proprio pochi giorni fa nella nostra chat comune di Messenger ho lanciato la proposta di fare nuove produzioni come Ciao Fellini in collaborazione con Niccolò ed Alberto. Attendo una loro risposta. Nel frattempo stiamo pensando ad una eventuale seconda uscita su Pizzico Records con altri quattro DJ/producer italiani che si prendano la briga di remixare i brani dei Ciao Fellini. Di materiale ne abbiamo prodotto davvero tanto, chissà dove è andato a finire. Dovremmo rimetterci a scavare ma l’idea ci alletta.
Ci sono brani di dance/elettronica che ti hanno recentemente colpito?
Il progetto che negli ultimi anni mi ha convinto di più è Lord Of The Isles: alcune tracce sono un viaggio per il corpo e per la mente.
“Noche A Bahia” e “Dalì” raccontate dai DJ/produttori che le hanno remixate e dal grafico che ha curato la nuova copertina
A1: “Noche A Bahia” (Severino Horse Meat Disco Mix)
È stato molto bello ricevere la proposta della Pizzico Records (che ha sempre fatto cose interessanti) di remixare la band in cui Jumbo fu un personaggio chiave. Ci conosciamo da molti anni anche tramite il mitico Fabio del Disco Inn di Modena per cui facevo il corrispondente da Londra. Ho realizzato il mio remix usando la traccia originale visto che le parti separate non erano più reperibili. Ho creato una nuova base, più moderna, ed un’inedita linea di basso tendente all’electroclash. Il tutto campionando e filtrando un po’ il ritornello. Lo sto testando in varie discoteche del mondo e pare funzioni molto bene.
A2: “Noche A Bahia” (The Caribbean House Mix)
TCH (The Caribbean House) è un progetto con una forte connotazione localista, che non significa musicalmente xenofoba ma legata al territorio che la ha generata e consapevole della storia musicale indipendente, appunto, locale. Ero (Niccolò Bruni, nda) doppiamente eccitato all’idea di mettermi in gioco sia come etichetta discografica (Pizzico Records) che come progetto musicale (TCH) nel celebrare i modenesi Ciao Fellini che, tra ironie italo pop, direzioni artistiche e progetti futuristi, hanno letteralmente segnato un decennio cardine come quello tra il 1980 e il 1990. Nel nostro remix abbiamo giocato con la faciloneria disco della versione originale ed una nostra visione più spigolosa e dadaista, cercando di tramutare il ritornello estivo, effimero e giocoso, in una sorta di coro alpino. I synth sono freddi ma “scaldano” il background della voce, la ritmica è electro con un accenno di big beat, praticamente una citazione nella citazione. L’idea di remix per noi rimane quella che era venti anni fa: un misunderstanding voluto della visione originale.
B1: “Dalì” (DJ Rocca Mix)
Quando gli amici di lunga data Jumbo e Niccolò mi hanno chiesto di remixare Ciao Fellini sono stato immediatamente entusiasta. Al momento della scelta del brano la mia eccitazione è salita alle stelle perché ho scoperto la traccia “Dalì” che non conoscevo affatto, un fantastico italo spaghetti house coi controfiocchi da poter manipolare a mio completo piacimento. Non mi sono fatto pregare e mi sono catapultato sopra, cercando di mantenere il flavour originale ma omettendo le parti a mio parere meno contemporanee. Stiamo parlando di un brano che, con pochi accorgimenti ritmici e con sottolineature di stile, è ritornato a splendere nella sua attualità, dove il suono ambient house, o tropicalhouse-italico, si fa strada come un nuovo trend. Nota di colore: per mettere la mia impronta ancora più marcata ho fatto alcune note col flauto traverso in legno che avevo appena comprato in un mercatino di Pechino, ed ecco che il tropical sound italico dei fantastici Ciao Fellini si è arricchito con quel tocco shaolin in salsa Rocca.
B2: “Dalì” (Johnny Paguro Mix)
Quella tra me, Niccolò e Jumbo è da sempre un’amicizia basata su collaborazioni stimolanti ed esaltanti, insieme ad una esorbitante dose di ironia di cui, essendo il più giovane del trio, spesso pago le conseguenze. Ma si sa, a volersi immischiare coi più esperti si paga dazio ma a volte si ottiene l’inestimabile riconoscimento di poter prendere parte a progetti come questo. Quando ho sentito le versioni originali di “Dalì” sono rimasto incantato da alcuni cut vocali e dall’irresistibile “rap” di Bob. Ho rimescolato il giro di basso creando una bassline che richiamasse l’originale ma in maniera più incalzante. Il resto è più o meno venuto da sé, in un misto di rispetto per le sonorità originali ed una strizzata d’occhio al 4/4 più contemporaneo.
Artwork: Alberto Bello
Fin dall’inizio del mio coinvolgimento mi sono confrontato con Jumbo, art director di grande esperienza e genio creativo, con cui ho intrapreso l’idea di modificare la copertina originale come se un fan dell’epoca l’avesse in qualche modo fatta sua, con adesivi e scritte che sono un vero e proprio tributo alla Modena dei tempi (le spille del Graffio, l’adesivo Do It) ed altro ancora.