Vero, la Carrà. Vero, la pubblicità in mutande. Vero, suonare ovunque facendo le cose facilone per far divertire il pubblico più dozzinale, allontanando quello che più sgamato ed esperto (…e sdegnato, di fronte ai brani col motivetto fischito nel ritornello). Vero. La risposta però alla domanda di cui sopra resta: sì, ne abbiamo bisogno. Ne abbiamo bisogno soprattutto se viene messo nella cornice giusta: come accadrà il prossimo 11 marzo a Milano, ai Magazzini Generali.
Hall Of Fame, questo il nome della serie di appuntamenti costruito dall’esperta e rodatissima crew di Club Nation assieme a FPWS Artist Hub, è un concept che – nell’apparente semplicità – vuole fare una cosa abbastanza impegnativa, ambizioso: rimettere in qualche modo le cose al posto giusto. Ecco: noi crediamo – nella nostra prospettiva di cui andiamo orgogliosi – che il “posto giusto” di Sinclar non sia da Mara Venier, ma sia nel dividere la console coi Pastaboys, gente che esattamente come lui ha iniziato masticando la house più pura e di qualità e l’ha fatto ancora negli anni ’90, prendendo il testimone in Europa dai grandi maestri americani e dando la proprio interpretazione – una interpretazione rispettosa ma fortunatamente, profondamente personale.
Sinclar, Dino Angioletti, Rame e Uovo hanno le stesse radici. Spiegarlo, è importante. Dopodiché il dj/producer francese ad un certo punto ha portato all’estremo la componente “entertainment” della sua musica, scegliendo il glamour e la popolarità, il pop e la semplicità, vero, verissimo: cosa che invece i tre bolognesi non hanno minimamente fatto, restando fedeli a se stessi. Ma loro radice è esattamente la stessa, hanno la stessa “stanza” nella Hall Of Fame house, e pensiamo sia stata veramente una scelta interessante quella di Club Nation di “costruire” una serata che tutto questo possa potenzialmente ribadirlo o, se necessario, (ri)spiegarlo.
Non è una occasione per “colpevolizzare” Sinclar per il percorso che ha fatto da un certo punto in avanti. No. Ogni artista è libero di scegliere, ed ogni artista è un essere umano; e se l’uomo Christophe Le Friant ad un certo punto si è sentito più a suo agio a dare una svolta molto mainstream alla sua carriera, sarà ben suo diritto, no? Bisogna odiarlo per questo? L’odio, nella musica, non deve avere cittadinanza. La critica sì, ma l’odio no. Troppo spesso ce ne dimentichiamo, soprattutto in tempi tranquilli in cui ti sembra che il “tradimento” di un artista rispetto all’underground sia un peccato mortale. Oggi che i tempi tranquilli non sono, con tutto quello che sta succedendo geopoliticamente, è più facile vedere l’assurdità di questo sentimento.
Le gemme che Sinclar / Le Friant ha tirato fuori ad inizio carriera sono spettacolari. Con la sua Yellow Productions, col progetto da lui fondato The Mighty Bop, o col nome Chris “The French Kiss”, ha scritto pagine di una bellezza strabiliante; ed anche il suo approccio alla house quando si è tuffato sulla cassa in quattro a fine decennio, prima di virare verso la “facilità” con l’inoltrarsi del 2000, aveva un twist molto interessante, debitore da un lato degli insegnamenti dei maestri del genere ma, come dicevamo, con l’aggiunta di spezie molto particolari, che “respiravano” parecchio il periodo d’oro del French Touch. French Touch che era soprattutto un update stilosissimo e in filigrana inquietante della house da dancefloor classica, sotto l’apparente facilità/felicità da sciampagnino (inquietante, sì: non si sottolinea mai abbastanza questo particolare, questo colore, nemmeno nel ricordare “Homework” di cui recentemente cadeva il venticinquennale; e invece andrebbe fatto). Ha una classe in sé, Sinclar, che lo ha portato ad essere importante nella prima parte della sua carriera tanto quanto Etienne De Crecy, tanto quanto Philippe Zdar, tanto quanto Alex Gopher, tanto quanto i Daft Punk; e rispetto a loro lui ci metteva un carico di fisicità, di sensualità davvero intrigante, il suo tocco c’era, lo sentivi.
Cosa vogliamo fare di tutto questo? Lo vogliamo buttare a mare, perché nel frattempo Sinclar si è buttato sulle allegre canzonette? Davvero? Possiamo fare un’altra cosa invece, e l’intenzione di Hall Of Fame pare proprio questa: possiamo metterlo piuttosto nel contesto giusto. Possiamo metterlo in line up con compagni d’avventura e d’amore house che, al contrario suo, hanno sempre scelto una linea sì di festa, ma anche e soprattutto di rigore e mai di facile popolarità, e dirgli: “Sei a casa, Christophe. Puoi tirare tranquillamente fuori i momenti più belli e più puri dei tuoi inizi. Senza la necessità della hit, e senza che nessuno ti giudichi”. Perché questo accade, quando l’intenzione è stare bene in un dancefloor: stare bene, non giudicare da un trono. Ma nel creare queste condizioni hai appunto bisogno dei Pastaboys. Oh sì: è la loro presenza far capire che non è solo l’ennesima serata in cui Sinclar viene a raccogliere foto e fatturazioni. Li hai mai visti in situazioni del genere, i tre bolognesi? …ecco.
E’ una serata preziosa, è un concept prezioso Hall Of Fame, se portato avanti a modo. Ora più che mai, dopo due anni di stop che per certi versi sono una tabula rasa (e per molti hanno portato alla disabitudine all’uscire…), è necessario dare la ripartenza in mano a chi veramente conosce le cose, a chi veramente padroneggia il mestiere e padroneggia la cultura. Non è una questione anagrafica: lo si può fare anche a vent’anni esattamente come a cinquanta, di padroneggiare il mestiere e la cultura. E’ questione di attitudine, piuttosto. E’ questione di conoscenza. Chiedetela, a Le Friant: se interpellato e stimolato, lui ce l’ha. Non crediamo proprio possa averla persa. E se la ritrova, cazzo, è uno spettacolo.