Se ci si volta indietro, la strada percorsa fa veramente impressione. Fa impressione, e piace: perché se si ha uno sguardo critico e non solo numerico, quanto percorso in questi anni dalla musica elettronica è qualcosa pieno di curve, di saliscendi, di colpi di scena, di declini apparentemente irreversibili che diventano araba fenice, di trionfi apparentemente inarrestabili che mostrano, all’improvviso, esitazioni e debolezze strutturali. Questo è un insegnamento molto importante: significa da un lato che non bisogna fermarsi mai, avere sempre le antenne dritte e i riflessi pronti, dall’altro che l’investimento migliore sul lungo termine resta sempre quello – seguire la strada che si sente più “propria”, al di là delle richieste momentanee di mercato.
Ma il mercato non è il diavolo. E l’Amsterdam Dance Event è, semplicemente, il posto migliore al mondo per capirlo. Certo: potete usarlo come festival, potete usarlo come sabba incredibile per cui, per una settimana, Amsterdam tutta diventa la venue del più incredibile festival di musica elettronica del pianeta, perché ci sono tutti, anzi TUTTI. Ci sono quelli mainstream, ci sono quelli underground ma che macinano utili da multinazionale, ci sono gli Aleksi Perälä, ci sono tutte le sottoscene e subculture che potete immaginare, ci sono quelli che si mettono un po’ a metà del guado, per capire dove possono galleggiare più confortevolmente.
Tutti quanto sono stati attratti da un grande motore aristotelico: il mercato. Perché con gli olandesi è così. Si bada al sodo. Ma si bada al sodo con le idee: e quando la BUMA – che ricordiamolo, è la Siae di lì – ha deciso di investire in modo convinto e sul lungo termine su un evento di questo tipo che ha per centro la musica elettronica, quella che qui la classe politica e buona parte della classe imprenditoriale o non vede o disprezza, non c’era nessun tipo di certezza. Non si poteva essere certi che sarebbe diventato uno degli eventi musicali più grandi del pianeta. Non si poteva dare per scontato che sarebbe diventato un attrattore mondiale. Anzi: non si poteva dare per scontato che qualcuno se lo sarebbe filato, a parte tre, quattro fissati.
E invece.
…invece, ha funzionato. Ha funzionato in modo pazzesco, è sotto gli occhi di tutti, ed ogni ediizone – quella del 2019 non fa certo un’eccezione – strappa un “Ooooooh” di incredula meraviglia. Fatevi un giro nella sezione artisti, se è quello che vi interessa: c’è da piangere di gioia, per quantità e qualità. Diventa perfino inutile fare un elenco, è meglio piuttosto che ciascuno di voi si vada a cercare le cose che lo interessano (o potrebbero interessare).
(Immagini di un workshop Pioneer di due anni fa; continua sotto)
Ma la chiave oggi più che mai è il mercato. E non nel senso “La chiave è fare soldi”, occhio. Zero. Non è questo il punto, o meglio, se lo si considera l’unico punto fondamentale si vede solo una parte del “bigger picture” (cosa in cui noi italiani siamo specializzati, vedere solo una parte del tutto, quella rapida&immediata, siamo i teorici del meglio sgraffignare un uovo oggi che nutrire una sana gallina per un duraturo domani… un po’ per scelta, un po’ per necessità); il punto è che, e la crescita impetuosa e strariptante dell’ADE negli anni lo dimostra, il mercato è diventato una componente fondamentale nelle dinamiche della musica elettronica oggi, piaccia o non piaccia. Sono finiti i tempi pionieristici, sono finiti i tempi in cui c’erano solo ed unicamente i visionari, i puri, i cavalieri nobili. Visionari, puri e cavalieri nobili non sono scomparsi, ma la questione è che oggi devono operare in un contesto dove le dinamiche di mercato sono un fattore ineludibile.
Ora: hai due modi per affrontarle, queste dinamiche. Uno è fare finta che non esistano, o direttamente disprezzarle. L’altro è osservarle, capirle, comprendere come usarle al meglio e,, ancora meglio, come non farsene usare. Come darsi i mezzi per andare avanti in decente autonomia senza doversi per forza svendere o, se non è nelle proprie corde, senza dover per forza andare a cercare il filone aureo del momento.
Oggi più che mai la chiave è il mercato. Ma non per forza nel senso di “Fare soldi”
Filone aureo del momento che è, e l’ADE parla chiaro, il mercato cinese e in generale quello asiatico. Tanto da convocare Armin Von Buuren, un monumento, a raccontare “My China”, o da creare workshop tipo “How To Make An Asian Pop Hit”. Oppure, altro snodo mercatile: i social. La BUMA in prima persona organizza un workshop su “…come fare i soldi coi social”. Andare a vedere questi incontri, invece di ciondolare in giro sperando di smazzare qualche flyer per il proprio party locale pur di “farsi vedere”, può essere realmente interessante e decisivo, anche solo per capire cosa fare o non fare, fino a che punto vale la pena seguire dinamiche di questo tipo o meno.
Ecco. Lo spunto principale per quest’anno ci sembra davvero questo. Detto ciò, dal 16 al 20 ottobre Amsterdam, grazie all’ADE, diventa uno dei posti più incredibili della terra. Continua ad essere tale. Perché ogni anno si rinnova, ogni anno è curioso, ogni anno opera in modo “laico” preoccupandosi di fornire servizi, informazioni, workshop, showcase, ogni anno si fida dei migliori operatori sparsi in giro per il mondo e gli offre spazio e platee. Insomma: hai detto nulla. Non ragiona “a tesi”. Che è anche il motivo per cui la profezia per cui sarebbe solo ed unicamente diventato una grande celebrazione della invitta ed inarrestabile cavalcata dell’EDM si è rivelata per quello che è: una cavolata superficiale. Perché l’EDM, e lo dicevamo in tempi non sospetti, inarrestabile ed invitta non era, perché l’ADE ha veramente mille sfaccettature, come la musica elettronica.