Alessio Armeni è uno dei fondatori incontrastati del movimento techno capitolino fin dai primi anni ’90, esordendo con il programma radiofonico “Virus” e partecipando ai migliori festival del momento, come l’Energy di Zurigo. La caratteristica che lo rende uno dei djs più talentuosi e “immortali” è il fatto di sapersi divertire illimitatamente e andare a ricercare i veri artisti. L’importante non è fare soldi e commercializzare la scena musicale, come sta sfortunatamente accadendo, ma di riuscire a carpire il vero senso della techno music semplicemente praticando molto “ear training”, ricercando suoni e dare libero sfogo alla sperimentazione. Non avete ancora capito di chi stiamo parlando? E se vi dico che il suo alias è Freddy K? E lo saiz!
I primi rave a Roma risalgono agli anni ’80. In realtà erano feste legali: interi capannoni affittati per le serate, tutto in regola, dove si ballava l’house e poi si continuò con i rave commerciali. Di eventi illegali si inizia a parlare intorno al ’93. Come hai vissuto questi periodi e cosa si respirava nell’aria?
Gli ultimi anni ’80 rappresentano forse il più importante periodo di quello che stiamo vivendo ancora oggi: l’avvento dell’acid-house sulla scia della hip-house, poi la new beat e poi il nascere della techno. I primi rave a Roma, o grandi parties techno, erano un qualcosa di unico e irripetibile in quanto legati sicuramente al periodo sociale in cui si viveva. Si veniva da una cultura di clubs dove la musica era bellissima ma c’era una politica alla porta molto tradizionale e bigotta che sicuramente non ti aiutava a sentirti completamente libero. Mi ricordo clubs dove per entrare dovevi avere la cosiddetta “giacca” altrimenti non ti calcolavano nemmeno e magari dentro suonavano la più sfrenata acid-house (musica che a me personalmente ha cambiato la vita dandomi quella sensazione di perdizione che mi faceva sentire libero e me stesso fino in fondo). Con l’avvento dei primi parties techno (o rave) era tutto diverso. Finalmente potevi andare vestito come volevi, potevi perderti per ore dietro la musica “ripetitiva” (che io amo) e non avevi problemi di volume, quindi per Roma si usciva da un periodo di omologazione per passare ad un periodo di completa libertà di espressione. Era bellissimo ascoltare la radio all’epoca (Mad Show di Luca Cucchetti su Radio Centro Suono) che annunciava spesso solo il fine settimana dove si faceva l’evento (a volte il sabato notte lo spostavano in diretta) e solitamente fuori Roma dove magari andavi in macchina per ore per arrivare poi nel paradiso (o inferno!). Location affittate per l’occasione, capannoni o vecchie ed enormi balere con tutti i djs della scena di allora con ospiti da Detroit, Belgio… Laser, sound system veramente da 30.000 watt, ma soprattutto sentirti libero di ballare insieme ad altre 5-6.000 persone solo con il tuo viaggio ma insieme a tanta altra gente che condivideva lo stesso momento. Cosa importante, che spesso si vuole scordare, era l’avvento della prima ecstasy. Poi verso il ’93-’94 la stessa scena era gestita ormai malissimo: era assolutamente in declino, djs inesistenti annunciati sui flyers, orari non rispettati, prezzi di ingresso altissimi e spesso era scadente anche il pubblico.. Insomma, era diventato un business senza più amore della musica ma solo sfruttamento di chi faceva uso di droghe per divertirsi! Parallelamente in questi anni si creò (anche in contrapposizione al suddetto “scempio”) una forte scena di rave illegali, una scena di free parties che si rifaceva a una cultura fondamentale che ha dato vita a nuove generazioni e movimenti, sto parlando degli Spiral Tribe, passati proprio a Roma in quel periodo. Ma qui ne dovrebbe parlare chi di dovere. E’ un’altra cultura che io rispetto tantissimo e non mi sento il più adatto a parlarne e c’è chi ne sa molto più di me. Di ogni cultura ne dovrebbe sempre parlare chi ne fa parte e non chi per “sentito dire”.
Techno e rave non furono mai visti di buon occhio anche perché, oltre alla difficile “gestione” delle masse che animavano ogni festa, c’era anche la delicata questione della droga. Era tutto davvero così diverso da quello che possiamo osservare e vivere nei club di mezza Europa?
Beh come detto sopra ci fu uno sfruttamento di tutta la scena di allora basato alla fine sui soldi. Questa è una cultura che ancora predomina nella scena attuale romana e spesso italiana, ma soprattutto non si fa mai cultura di una scena musicale. Intendo dire questa è una delle più grosse differenze che posso vedere con le scene europee (oltre logicamente alla diversa educazione sociale): di una qualsiasi scena musicale spesso se ne fa cultura e si cerca di farla gestire a chi ne fa parte, mentre da noi è tutto una moda passeggera e spesso gestita da chi non viene da questo stile e che comunque se oggi va di moda questo, facciamo questo e se domani va quest’altro, facciamo quest’altro. Mentalità “localara”, cioè solo fine al cassetto e la sopravvivenza del locale senza capire mai che se magari crei e alimenti una tendenza, rimarrai nel tempo, guadagnerai di meno, ma sempre e poi avrai sempre dalla tua l’aspetto culturale della musica e sociale, non solo “gente sballata che ascolta un tunz tunz” (come il sistema spesso addita i clubs e che in parte, vedendo certi gestori di club, non hanno totalmente torto).
L’eccitazione più grande sarà sicuramente stata la sperimentazione di nuovi stili, attrezzature, location e organizzazioni. Si può dire che tutto ciò è partito da lì, lanciando una grande moda?
Ecco questo è l’esempio! Non è una moda! Almeno per me non lo è mai stata. E’ un modo di vivere, una cultura che ha una storia e delle origini che hanno dato vita ad un orientamento che sia sociale, che sia discografico, che sia tecnologico.
“Virus – Il suono di Roma” resta il vero marchio della capitale da almeno vent’anni. Si è trattato di feste epiche tanto che, parlandone con chi le ha vissute in primissima persona, si può ancora intravedere una certa luce nei loro occhi. Quanto di ciò che sei oggi è prossimo a ciò che rappresenti e hai rappresentato per migliaia di giovani?
Il “Virus” per me era e rimane la cosa più importante e bella della mia vita (anche se chiamarla “cosa” è riduttivo per me). E come tutte le cose belle è giusto che se sono finite non ritornino per creare una brutta copia. Ci sono periodi, momenti sociali e culturali in cui ogni cosa nasce e levarli da questi contesti originali non ha senso. Come si dice “nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”. Quindi io sono sempre lo stesso, con più anni, con più esperienze e con più vita vissuta, ma il gusto musicale è sempre quello. Proprio perché è un modo di vivere. Il “Virus” non erano solo feste, era molto di più, un vero movimento con denominatore comune l’amore per la musica techno e i suoi derivati. Da un programma radio in onda tutta la settimana per 4 ore al giorno era diventato un modo di vivere un’esperienza e un fenomeno mai più visto a Roma e in Italia, forse. Era tutto diverso, la gente ascoltava la radio, oggi c’è internet. La gente ascoltava le cassette oggi ci sono i files. La gente comprava i dischi e avevano tutti un giradischi.
La vera differenza secondo me che c’è tra i clubbers che animano i club oggi e quelli che tu stesso hai “cresciuto” sta nel fatto che questi ultimi venivano alle feste per divertimento puro e per passione, stanchi del resto. Oggi, tra i diversi difetti di un sistema un po’ “marcio”, non si provano delle vere e proprie emozioni, piuttosto dei surrogati del passato, una sorta di remake riuscito male. Cosa bisognerebbe fare per rivivere certe vibrazioni? Cosa manca alla club culture di oggi? Cosa manca particolarmente a quella italiana?
Per prima cosa i clubbers sono il risultato di quello che la tendenza dei clubs crea. Loro hanno il media, la comunicazione, la possibilità. Purtroppo, come dicevo prima, vedo che sono sempre gestiti da chi non ha cultura musicale ma solo cultura del locale e quindi cavalcano solo mode senza mai creare. Il clubber è aperto a tutto e lì paga per il suo divertimento e va rispettato per questo. Lui deve sentirsi libero e in un ambiente sicuro, quindi spetta spesso ai clubs e ai loro certi “sistemi” di creare cultura e far sentire importante e libero il clubber. Bisogna tornare o far ritrovare se’ stessi. E quando tu conosci te stesso e puoi viverlo non c’è bisogno di esternarlo in altri modi, spesso fuori luogo.
“Quando il virus diventa malattia voi ne pagate le conseguenze”; “Questo è il posto dove il passato incontra il presente. Dove attraverso delle note avrete il privilegio di viaggiare nel tempo. Ed accorgervi che il futuro l’avete già vissuto”. Questi sono alcuni degli slogan lanciati durante i periodi d’oro: semplice retorica o c’è qualcos’altro? Qual è il vero significato di “e lo saiz” o “virusaiz”?
Non era retorica, era l’evasione dalla realtà non come resa, ma come scelta: il perdersi per ore, il poter vivere te stesso è sempre un uscire dalla realtà che hai intorno, ma spesso quando trovi te stesso vivi meglio la realtà che hai intorno. La mia filosofia di vita. “E lo saiz” ahahahah! In realtà lo sentii dire da una persona che già era da tempo negli ambienti dei rave, Ady House. Lui diceva “E lo sai o non lo sai” ed era divertente perché significava tutto e niente… La mia versione era un pò un codice di riconoscimento, ma allo stesso tempo niente, tipo le frasi “Mistero Della Fede”. La “Z” finale in ogni cosa era divertente perché distingueva il modo di parlare ed era come un rafforzativo di ogni cosa. Prova a dire “Virus” e a dire “Viruzz”!
ACV (inizialmente ACV Sound) venne fondata da Tony Verde, successivamente gestita da Robert Armani e Leo Annibaldi, e racchiudeva molte sublabel tra cui Sound Of Rome, Undercontrol, Acid Tribe Records e Hippy Vibe. Oltre agli stessi fondatori, hanno rilasciato su di essa artisti del calibro di Stefano Noferini, Steve Poindexter, Paul Johnson e Dave Clarke. Se non sbagliamo è stata in attività fino al ’98, pubblicando tonnellate di musica. E poi? Perché mollare quando si trattava di fare l’ultimo passo ed entrare da protagonista nella nuova era della musica da ballo?
L’ACV a mio parere è stata la più grossa realtà discografica italiana nel mondo, per la techno e per quello che aveva creato prima di tutti. I due fratelli Verde erano micidiali. In realtà ci sono tante cose dietro ad ogni azienda che spesso non si vengono a sapere all’esterno e sicuramente sono d’accordo che oggi sarebbe stata… Mah, non vedo paragoni per cosa oggi potrebbe essere. Qualcosa sicuramente di storico. Ma questa è l’Italia… Nel bene e nel male… O forse Roma?
Hai collaborato con i migliori produttori e djs diventando leggenda. Avete scritto l’ABC della techno, tu stesso sei parte della storia: cos’è cambiato in te e in tutti i vecchi pionieri? Chi è rimasto più fedele, tra tutti, allo spirito che vi ha mossi originariamente?
Ma ti ringrazio per le belle parole e sono contento che un sito importante come voi ricordi queste cose! Spesso si è troppo esterofili, ma è sempre stato un grosso difetto nostrano di non essere mai uniti e quindi distruggere tutto ciò spesso che rimane poi solo nei ricordi. Tanti artisti romani sono ancora attivi e la loro scuola ha creato altre nuove generazioni. Basti vedere Marco Passarani, Lory D, Leo Anibaldi, come dopo la generazione di Donato Dozzy, Giorgio Gigli, Dino Sabatini fino a quella odierna di Max_M, Conrad Van Orton, Fabrizio Lapiana e altri ancora. Il solito peccato è che spesso non hanno la visibilità che dovrebbero avere a casa loro. Sono cambiate le gestioni dei locali e degli organizzatori che cavalcano solo mode e come si dice “l’erba del vicino è sempre meglio”, non da fumare! Parlando in generale, tutti gli artisti internazionali suonano e supportano proprio gli artisti romani con una considerazione assurda, spesso non riscontrata a casa propria.
Dove nasce l’alias Freddy K?
Io sono sempre stato amante dei film horror. Nascevo artisticamente in un periodo in cui spesso i nomi erano composti da un nome e una lettera, quindi avevo la mano tagliente quando suonavo (anche perché all’inizio non ero tecnicamente un genio) e quindi Freddy Krueger! Anche se il mio idolo è Michael Myers di Halloween!
Nel 2008 fondi K1971 a Roma, spostandola nel 2011 a Berlino. Com’è cresciuto questo progetto e come mai questo spostamento? Lo spostarti ha giovato? Roma e il suo ambiente non ti manca nemmeno un po’?
In quel periodo non mi bastava più l’avventura e l’esperienza del negozio di dischi (vedi Virus Records, vedi REMIX con Sandro Nasonte), non mi dava più quella soddisfazione creativa, essendo cambiate tante cose. Volevo mettere a frutto tutta la mia esperienza nel campo e dare la possibilità a nuove etichette e nuovi artisti di non rimanere chiusi nelle dinamiche del metro-quadro portandoli magari a smettere di produrre (vedi Roma e le sue poche possibilità per i nuovi artisti). Sarebbero stati per me talenti sprecati e idee buttate al vento, o comunque senza mai la prova per poterne capire il valore. Piattaforme come la M_Rec Ltd (ormai realtà mondiale) del mio amico di sempre Max_M sarebbe rimasta un progetto nel cassetto senza K1971 e ringrazio tutte le etichette che hanno creduto sin dall’inizio, magari subendo anche qualche incomprensione iniziale. Oggi K1971 ha labels italiane, spagnole, tedesche, etc… Ho scelto Berlino, beh, perché da sempre per me, anche nel passato, è stata una città che ho amato. In genere ho sempre amato il Nord Europa ma Berlino è stata, ed è, mai come in questo momento, il network principale per la musica techno. Pensa che quando avevo il negozio di dischi Virus Records il giorno della Love Parade mettevo in diretta sui video l’evento da internet! La mia scelta non è la solita retorica, io sono andato a Berlino per viverci, per ritrovare me stesso, cosa che ultimamente non era più così a Roma. Mi stava stretta, mi sentivo vecchio e quasi incompreso e quando esprimevo le mie teorie mi guardavano spesso come un visionario (ed io posso considerarmi fortunato). Qui ho avuto la conferma che erano gli altri ad essere fermi nel tempo e in certi schemi obsoleti e retorici, spesso dovuti al fatto di non avere il tempo per conoscere se stessi e dare il valore non a immagini e tradizione, ma a quello che veramente conta e ti piace. Ritrovarmi nel mio mondo a 41 anni a ballare per 20 ore nella massima libertà e serenità non ha prezzo, almeno per la mia vita. Con i miei amici artisti della stessa mia età Adam, Alan, etc… Ascoltando la musica dei djs che suonano con gli impianti come devono essere e senza nessuno che ti giudica, spesso djs internazionali ormai amici e supporter di K1971. Potrei scrivere un libro sulle sensazioni personali che provo. C’è chi ha scelto la famiglia e il lavoro sicuro, io ho scelto questa vita e non c’è altro posto come Berlino per me. God save Berlin! Ma attenzione, Berlino è una città da vivere e non da usare, io sono completamente contrario a queste ondate di gente che pensa di “svoltare”, viene e cerca di prendere solamente senza dare niente. Il lavoro è lavoro ovunque e le cose stanno cambiando anche qui.
Comunque non ti sei fermato neanche con la produzione. Abbiamo ascoltato l’EP rilasciato con Ken Karter e devo dire che sei ancora uno dei migliori! Ora cosa progetterai per il futuro? Altri colpi di scena?
Ehhhh grazie! Non sono mai stato un produttore forte, ma ho sempre mantenuto il mio gusto. Ho ripreso molto a suonare come dj e la mia label personale KEY Vinyl quest’anno ne presenterà delle belle, come VSK, Annulled User, PVS, Max_M e l’album di Conrad Van Orton: logicamente tutto in vinile. Preferisco costruire qualcosa piuttosto che arrampicarmi sulla spalle degli altri e forse questo è un mio difetto.
A proposito: faccia il vinile chi supporta il vinile. Altrimenti “no-sense”.