…no, “all’improvviso” per un cazzo, in realtà: chi conosce direttamente Marco Passarani e ci è contatto in più o meno costantemente sa che lui non ha mai smesso di lavorare, nemmeno durante il lockdown, e anzi si sarà appuntato le varie release, l’album “W.O.W.”, la nascita di Unrelatable con qualche release mica male. Ma la verità è che per molti Passarani è da un lato un “grande nome di un’altra era” per l’elettronica italiana, quando era uno dei pochi, pochissimi ad avere spessore internazionale, ad uscire per una label allora fortissima quanto possono essere forti Domino o XL oggi (la Peacefrog), quando ancora a comandare c’era l’onda lunga dell’electro retro-futurista in grado di immergersi nelle malinconie sci-fi detroitiane per salpare all’esplorazione dell’ignoto, dell’”altro”; dall’altro, nella fase successiva, quando il “medioevo minimal” aveva seppellito tutta l’elettronica da dancefloor con un’anima melodica ed armonica, Passarani è la metà del progetto Tiger&Woods.
A Tiger&Woods il pregio principale che diamo è aver (ri)portato Marco – e il bravissimo socio Delphi – nel “giro giusto”, quello che ti permette di fare decine su decine di date all’estero. Ma sinceramente, sarà che ne sappiamo un po’ la genesi, ci è sempre sembrato più che altro un “inside joke” temporaneo diventato – per caso e per sbaglio – un affare serio. Ad un certo punto ci dava pure fastidio, Tiger&Woods, sì, proprio fastidio: perché evidentemente stava tenendo lontano Marco da “Marco Passarani”, dalle atmosfere Final Frontier, dal sogno, dal progresso, dalle emozioni ampie, per incastonarlo invece in un eterno revival attualizzato & pronto-uso irrorato di “Gin Nation” (“Gin Nation” ha rischiato, e rischia, di essere ciò che “Miura” è stato per i Metro Area: e chi deve capire, capisce. Sia chiaro, parliamo di due tracce che sono nel loro piccolo dei gioielli).
Il primo Passarani non è mai stato celebrato abbastanza in Italia (eravamo ancora una scena piccola, fragile e disarticolata, molto più di adesso, molto più divisa in tronconi fra chi faceva i gran soldi con le doppie e triple in discoteca e chi invece cercava la cultura “alta” ed altera), ma anche all’estero come dicevamo è stato presto spazzato via nel momento in cui si era instaurata la dittatura minimal prima – che non fa per Marco – e il tremendismo berghainiano poi (manco quello nel registro passariniano). Figuriamoci poi la terza via per trionfare nel mercato mondiale: quella del pierrismo, del network di amicizie, del “giro giusto”, del farsi le seratone coi frequentatori da Circoloco o da BPM. Oggi la modalità più in voga. Non che abbia nulla da contestare in assoluto a ‘sto andazzo (al contrario di quel che si pensa, Passarani sembra sì uno molto “criticoso”, e lo è, ma in realtà ha ben chiaro in testa che ognuno è felicemente libero di far quel che vuole), ma manco questo fa per lui. Questa terza via è diventata tra l’altro egemone nel momento in cui Tiger&Woods era ancora sulla ruota giusta dell’estrazione del lotto, ma alla fine Marco e Valerio non sono entrati comunque nella “compagnia di giro” vincente, nonostante qualche isolata e felice apparizione. Forse la loro musica non era adatta, forse non era adatta la loro persona. Forse è solo il caso invece, la (s)fortuna. Chissà.
Sta di fatto che la situazione era che per forza d’inerzia e di inevitabile convenienza, Tiger&Woods aveva un po’ “cancellato” Marco Passarani; e nel momento però in cui Tiger&Woods non era più quella novità che va-troppo-bene-per-fermarla, il rischio era che Marco Passarani che torna Marco Passarani non fosse più rilevante per nessuno, se non per tutte le persone che si sono trovate fianco a fianco a lui, ad esempio nella lunga avventura Red Bull Music Academy. Ma l’Academy solo negli ultimi anni (i meno belli…) era diventato un hub di famosi&potenti; prima invece era fieramente un feudo dei veri amanti della musica, che poi sono quelli che di solito nello scacchiere del mercato partono senza alfieri, senza torri, qualche volta proprio senza regina. Quindi ecco: più di tanto d’aiuto non poteva essere, il “network da Red Bull Music Academy”, per entrare nel “giro giusto”.
Ecco. Tutto questo vi spiega questo “all’improvviso” che abbiamo messo nel titolo, e con cui abbiamo iniziato questa recensione/orazione. Ci si è messo un po’ lo stesso Marco: che appunto un po’ si è dedicato (troppo) a Tiger&Woods, un po’ non ha battuto il ferro finché era caldo, per assenza di cazzimma o di cinismo; quindi il fatto che lui sembrasse quasi scomparso, o che sembrasse nel 2020 e rotti una delle tante mezze figure non particolarmente rilevanti, è in piccola parte colpa sua, ma in grande parte conseguenza di tutto quanto vi abbiamo raccontato fin qui con le nostre parole.
Ma ristabilendo un attimo le cose, e tornando finalmente a far parlare la musica, Passarani Marco è semplicemente uno dei più grandi, solidi, maturi producer di musica elettronica che abbiamo in Italia, all time; e ora questo “The Wildlife Of The Quieter Ones” lo dimostra chiaramente, come lo dimostrò nel lontano 2005 “Sullen Look”. SI ristabiliscono le gerarchie, sì, davvero.
(A voi l’ascolto; continua sotto)
Certo, bisogna avere un determinato tipo di orecchio. Questo album infatti evita accuratamente di essere “attuale”: per qualcuno una debolezza (e spesso l’essere inattuale è in effetti il risultato del non riuscire ad essere attuali, non esserne più all’altezza), ma in questo caso è solo l’inevitabile conseguenza di una qualità di tocco che è, semplicemente, senza tempo. E’ e sarà difficile datare questo disco, più ancora di “Sullen Look” (già senza tempo di suo): è del 2005? E’ del 2022? E’ del 2036? E’ una scheggia aliena riemersa mostruosamente dagli anni ’90, ma col suono di adesso?
Non è un disco retromaniaco, attenzione. Nemmeno per un attimo hai l’impressione di avere davanti uno Zomby (nicchia), un Burial (culto) o un Jamie XX (mainstream) che ravanano negli anni ’90 per trovare (ancora) la magia nel nuovo millennio: non è lì che va questo disco. Non c’è nessuna toccatina di gomito, nessun rimando in filigrana, nessuna citazionismo colto mascherato. Contrariamente alle sofisticate e modaiole abitudini odierne, viene fatto tutto alla luce del sole, candidamente. Usare electro, acid, pad detroitiani, immersioni drexciyane non sono qua strizzate d’occhio e giochi colti semi-nascosti, ma semplicemente ferri del mestiere utilizzati con enorme competenza, rispetto, onestà, chiarezza. Non cita, “The Wildlife Of The Quieter Ones”: fa. Usa. Utilizza.
Questo, a te ascoltatore, dà una bellissima sensazione: improvvisamente ti rendi conto che puoi ascoltare le tracce per quello che sono. Certo, ti diverti a cogliere tutti i rimandi e le citazioni (che goduria il rimando a Prince in “Never Ending Scroll”, per chi lo coglie), chiaro, ma non con quell’ansia di capire se sono la cosa giusta per il 2022 o meno, se è il rimando giusto al momento giusto. Hai davanti a te solo la felicità d’ascolto e il fatto di trovarti “a casa”, se dell’elettronica non sei un turista ma un ascoltatore attento ed ossequioso verso i suoi snodi più importanti dagli anni ’80 ad oggi. Eppure all’inizio manco diresti che questo album sia così maestoso: i primi tre quarti della traccia d’apertura, “Theme From FFOM” sono un po’ un compitino, diciamolo. “Ecco, Marco ha fatto di nuovo un passo a metà”. Ma poi si cresce. Si cresce nella stessa traccia, con una parte finale che addensa i layer e colpisce nel segno; si cresce e si trionfa già con “Dial 101”, bellissima, anche lei in grado di “espandersi” in modo appropriatissimo nella sua parte finale, e con “Revelation”, che nell’intensità della parte atmosferica iniziale riporta per quanto ci riguarda addirittura al David Sylvian di “Gone To Earth” ed è, in generale, un perfetto statement di quanto Passarani sia davvero un compositore “neo-classico”, per quanto riguarda l’elettronica. E’ il Canova dell’electro, dell’acid house. lui: li rende senza tempo, li rende attuali ed avvolgenti nel presente.
L’unica altra traccia non convincente, proseguendo con la tracklist, è “Gravitational Lane”. Interlocutoria. Ma con “Serenity Alley” si arriva dritti al vertice assoluto, musica bellissima in grado di ricreare una palette di sensazioni dolce-amara e di scavare nelle emozioni… così tanto che manco più stai lì a pensare quanto ci sia di electro, quanto ci sia di techno anni’80, quanto questo, quanto quello: è bella musica che colpisce al cuore, e stop. Ancora meglio la successiva “Equation”; idem, la drexciyana “Storm 90”.
Già con questo carniere di brani si potrebbe parlare di grandissimo disco, ma poi ci sono ancora “Rays Of Thunder”, la già citata “Never Ending Scrolling”. Detto in poche parole: “The Wildlife Of The Quieter Ones” è pure meglio di “Sullen Look”, forse addirittura molto meglio. E spazza via qualsiasi cosa sia stata fatta da Tiger&Woods, che pure resta un progetto fatto bene e caruccio assai, così come sopravanza di molto le recenti release a nome Passarani. Il fatto che tutto questo esce per una label a quattro quarti di nobiltà come la Aus fondata da Will Saul e Fink, ci dà la speranza che non sia solo una sparuta nicchia di aficionados ed amigos ad accorgersi della bellezza di questo disco. Un disco che non ha tempo, non è di moda, non è attuale, non è retromaniaco, non è questo, non è quello. E’, semplicemente, bello. Molto, molto, molto bello. E, nel suo essere così semplice e così onesto, riesce ad essere – nel suo piccolo – un capolavoro. Bentornato, Marco. Anche se sappiamo bene che non eri certo andato via.