Non capita spesso; ma per fortuna capita, capita ancora. Capita cioè che ti innamori di un disco e di un artista a prima vista, senza che te l’aspettassi. Capita che arrivi sulla scena un talento che ti sorprende, e ti spiazza anche: perché non assomiglia a nient’altro ci sia in giro, almeno qui dalle nostre parti. Ora: Coca Puma volendo la si può infilare sotto il cappello del nu-soul. Per l’eleganza, per il gusto nelle armonizzazioni, per il modo di cantare. Ok. Ma volendo rientra anche nel campo del cantautorato indipendente (stavamo per scrivere “indie”, ma è diventata una definizione pericolosamente inflazionata e svuotata di senso). Per la personalità, e la voglia di non adagiarsi sui modelli dominanti. Sia come sia, è uno dei debutti che più ci ha colpito da tempo a questa parte. Il suo debutto sulla lunga distanza “Panorama Olivia” esce oggi e noi, oltre a consigliarvene caldamente l’ascolto, vi presentiamo anche una chiacchierata tutt’altro che banale con lei. Apparentemente timida. Ancora poco a suo agio con le interviste, dice. Poi però la fai parlare, e viene fuori una personalità spiccata. E sui generis. Accidenti se ne abbiamo bisogno, di artisti così.
Beh, insomma, esce il disco, arrivano le prime interviste per parlarne: sei pronta ad affrontare tutto questo, la magica routine promozionale attorno ad un album che esce?
Eh. Non lo so. Decisamente, è tutto molto strano. Prende del tempo, ecco, questa cosa della promozione. Non credevo. Poi, io continuo a fare quello che devo fare. Ma questa cosa della promozione è proprio un lavoro a parte… Non credevo! E questo un po’ mi preoccupa!
A cosa ti sta rubando del tempo?
Ora c’è un film a cui sto lavorando per quanto riguarda la colonna sonora e anche questa è una cosa enorme, una cosa che non ho mai fatto prima. Nel cinema poi è sempre tutto di corsa, è sempre tutto un’emergenza. Ma lo sto affrontando con piacere. In fondo, si tratta sempre di fare musica. Mentre le interviste…
Dai, non è così terribile farle.
Dici?
Dico. Poi oh, se stai lavorando nel mondo del cinema, dove le personalità in ballo sono sempre molto forti, mi sa che hai un carattere forte pure tu…
Eh, ci proviamo. Come dicevo, sono alla prima esperienza nel mondo del cinema: bisogna farsi rispettare. Ma nel farsi rispettare…
Sì?
…a volte si rischia di essere antipatici. Diventa insomma una lotta tra il farsi rispettare e il non farsi odiare…
Eh.
Sì, purtroppo a volte per farsi rispettare bisogna alzare la voce: e questa è una cosa che io non amo fare.
No?
Non credo nemmeno mi riesca troppo bene, a dirla tutta. (sorride, ndi)
Ma uscendo dal mondo del cinema, e rientrando invece al cento per cento in quello della musica: tu che tipo di band leader sei?
Dipende. Mi è capitato di lavorare con persone con cui non andavo d’accordo, con persone che si impuntano, che pensano di avere ragione.
E?
Se alla fine tutti abbiamo ragione e nessuno si smuove dalle proprio posizioni, che facciamo? Come si fa ad andare avanti? Non credo di essere una troppo severa e rigida, però è molto difficile che faccia qualcosa di cui non sono particolarmente convinta. Poi ovviamente se le proposte che arrivano da altri sono fantastiche io sono la persone più felice del mondo! Mi piace la contaminazione di idee! Solo che, insomma, non sempre funziona. E non sempre chi lavora con te è pronto a ricevere un “No”.
(Costanza Puma, in arte Coca Puma, cantante e polistrumentista; continua sotto)
La gente invece sarà pronta a ricevere il tuo album d’esordio, “Panorama Olivia”? Che tipo di reazione ti aspetti?
Sinceramente?
Sinceramente.
Nessuna.
Nessuna?
Perché già quello che è successo finora è allucinante… Vedi, già quando stavo al liceo ero abbastanza chiusa in un mondo musicale mio: era difficile che qualcuno si appassionasse a ciò che piaceva a me, a ciò che facevo o anche solo ascoltavo. La risposta che è arrivata dalla persone già finora, a disco non ancora uscito e solo dopo qualche brano, è invece… incredibile. Incredibile. Per me, già una cosa enorme. Chiaro, uno fa sempre musica con l’idea di essere ascoltato da più persone possibile… Ma già il fatto che qualcuno mi ascolti, e in qualche modo mi capisca, beh, è una vittoria eccezionale.
Considerami fra questi. Io il disco l’ho sentito in anteprima, e mi è piaciuto proprio tanto.
Oh. Grazie!
Ma grazie a te che l’hai fatto. Mi ha molto colpito il grande equilibrio negli arrangiamenti: è il segno per me che hai le idee chiare. Mi pare insomma che tu abbia lavorato molto per sottrazione: cosa che – soprattutto agli esordi – è spesso indice di grande personalità…
È curioso che tu lo dica. Tanti invece mi hanno rimproverato: “È complicato”, “Ci sono troppe idee, troppe cose”… Io, sinceramente, ho provato a fare qualcosa di abbastanza minimal, essenziale, nelle mie intenzioni.
(Eccolo, “Panorama Olivia”; continua sotto)
Vale anche per la scrittura melodica e armonica, non solo per gli arrangiamenti. Perché di solito in questa sfera da soul sofisticato si cade spesso nella gara a fare più cambi armonici possibile, penso ad esempio a Hiatus Kaiyote. Che, per carità, sono bravissimi: loro magari se lo possono permettere. Altri che magari si mettono ad imitarli, meno.
Considera che “Choosing Weapon” è uno dei miei dischi preferiti: quando uscii, persi letteralmente la testa… Nai Palm è un genio! Un genio vero. Ho veramente tanta stima di quello che fa. Per questo mio primo album ho cercato in effetti di tenere le cose abbastanza semplici. Questo per parlare a più persone possibile. Sai cosa si dice del jazz, che è alla fine è il mio background di studi da musicista?
Cosa?
Che piace solo a chi lo fa… Ho cercato allora di tenere le cose abbastanza semplici. Anche perché ho notato che ad esempio nell’hip hop ultimamente c’è molta più libertà rispetto ad un tempo: si può sperimentare di più, avere più libertà a livello sia timbrico che stilistico – questo pur mantenendo le cose abbastanza essenziali. Allora sono andata un po’ su quel versante lì, senza cadere in manierismi, in cose un po’ barocche.
Esiste una scena di musicisti a cui ti senti in qualche modo di appartenere, a cui ti senti vicina? O ti senti invece un po’ un caso unico?
Non saprei. Sulle robe contemporanee, io di solito non ascolto produzioni italiane. Però ultimamente sto scoprendo tante cose belle: e questa è una soddisfazione. Sai, le cose valide di solito te le devi andare un po’ a cercare, è difficile che ti arrivino da sole. I musicisti validi di solito non se li fila quasi nessuno. Però a cercare bene, ho scoperto che esistono molti musicisti che magari non fanno esattamente quello che faccio io, quello no, ma condividono lo stesso tipo di amore per la musica, lo stesso tipo di approccio.
Tipo?
Uno veramente bravo a scrivere è Marco Castello. Che tra l’altro recentemente ho avuto il piacere di conoscere di persona. Poi ho scoperto questo ragazzo, Faccianuvola: chiaro, facciamo cose un po’ di diverse, ma trovo che lui sia veramente speciale. Percepisci davvero l’amore in quello che fa. Poi ovviamente i Post Nebbia, che hanno eleganza e stile da vendere; o, sempre nella stessa label, Planet Opal.
Dischi Sotterranei, quella che ora è la tua label.
Ecco, vedi, io di solito non seguivo le cose basandomi sulle label. Alla fine il mio modo di scoprire la musica era molto random, gli stessi Post Nebbia li ho scoperti prima ancora di conoscere Dischi Sotterranei. Poi però è successo che mandando il mio demo in giro un po’ a tappeto, loro mi hanno risposto subito.
Ah, non sono sorpreso.
Pensa invece che sono gli unici che mi hanno risposto! (sorride, ndi)
Ma veramente?
Poi in tanti invece si sono fatti sentire dopo, quando era ormai troppo tardi… Ma va benissimo. Mi piacciono molto i rapporti umani così come li instaura Dischi Sotterranei, fra artisti dell’etichetta.
A proposito di cose che ti piacciono: quanto ti piace stare su un palco?
Eh…
Te lo chiedo perché appunto ti vedo sempre suonare col cappello calato, a coprirti quasi completamente il volto: sembra quasi ti nasconda.
In effetti stare su un palco un po’ mi imbarazza.
(Anche in solitaria, cappello calato; continua sotto)
Davvero?
Sai, quando ero in una band avevo comunque già questo ruolo di frontwoman, e mi dicevano “Dai, devi interagire di più, creare più coinvolgimento col pubblico…”. Adesso che posso fare e decidere da sola, mi piacerebbe avere la libertà di seguire dinamiche un po’ diverse – e ci proverò. Non voglio più fare cose che non mi rappresentano, anche se all’apparenza sono quelle che “funzionano”: perché se le faccio poi si capisce subito che non sono autentica, non sono io quella lì sul palco. L’idea del cappello calato in testa…
Sì?
…in effetti nasce proprio da questa paura a farsi a vedere. Sai, io ho sempre la preoccupazione che mentre suono e canto faccio delle facce strane… (risate, ndi) Poi, guarda: è importante per me concentrarmi su quello che faccio, non su quello che c’è attorno a me, quando suono dal vivo. A dirla tutta, credo che questo sia bello anche per il pubblico: in questo modo hanno di fronte qualcuno che è veramente focalizzato sul fare le cose bene, dal punto di vista musicale. Io poi non sono mica un’icona, non sono Lady Gaga, non sono Beyoncé: loro per un certo tipo di approccio sono perfette.
È inevitabile facciano da mattatrici. Ma, facendo ovviamente le debite proporzioni, ora hai un ruolo da protagonista pure tu.
Se riesco ad essere quello che sono e a fare esattamente quello che mi rappresenta, credo che poi il palco me lo vivo molto meglio. Ci guadagniamo tutti.
Qual è stato il brano di “Panorama Olivia” più difficile da costruire?
Tutti!
Risposta non valida. (risate, ndi)
Mi vengono in mente un paio di brani, “Non ci penso” e “Notte”, che sono quelli che ho fatto assieme a Filippo Temperini, un mio amico che è anche un genio – ed una persona deliziosa. Lì testo e melodia sono arrivati solo in un secondo momento, quando io e lui già avevamo fatto delle cose partendo da una serie di spunti reciproci, di cose cioè che ci eravamo fatti ascoltare l’un l’altro, per poi iniziare a ragionarci sopra e a creare qualcosa a due che partisse da quegli spunti lì. Ecco, vedi: quei brani sono più incentrati sulla produzione che sulla scrittura. E la produzione è sempre qualcosa che rallenta il processo. Figurati poi se è fatta a due. Io poi sulla produzione…
…sì?
Sulla produzione sono una che ha imparato le cose facendole. All’inizio, non ero brava. Ma ho capito che era assolutamente necessario mi ci mettessi io, io in prima persona. Sai, non mi risulta facile lavorare con altri. Non sempre mi sembra di essere capita. Ecco, la traccia forse più difficile da fare nel disco è stata forse “Come vuoi”, proprio perché – come anche “Tardi” o “Lupo” – avevo iniziata a farla con un produttore. Produttore che mi aveva fatto prendere una strada di cui non ero sicura. Ho provato ad andare avanti, ma ad un certo punto, quando già molte cose erano state fatte, ho capito che no, non mi andava bene, ho capito che volevo tornare indietro. Abbiamo lavorato per mesi su delle tracce che alla fine non mi sembravano “giuste”. L’ho capito definitivamente quando già eravamo arrivato allo stadio del mixing… e lì ho deciso di fermare tutto quanto.
(“Tardi”, così com’è ora; continua sotto)
Mamma mia. Quanto ti avranno odiato.
Tanto! Tanto! Infatti, chiedo veramente scusa…
…però alla fine le cose sono state fatte come volevi tu.
Sì. A costo di doverle rifare da capo, e tutte un po’ di corsa. “Come vuoi”, soprattutto, ha vissuto questo destino. Ha sofferto tanto come brano, poverino! Ma dentro di me ora mi sento a posto, mi sento molto più tranquilla.
Hai vinto tu.
Sì. Ma quanta fatica.
Insomma: sei una maledetta perfezionista.
Eh. Ci provo, diciamo…