E’ stato un vero piacere intervistare il trio Max Loderbauer, Claudio Puntin e Samuel Rohrer per l’uscita del secondo capitolo della loro avventura come trio che ha il nome di ambiq. Lo è stato perché le loro risposte sono state sincere, per davvero, e anche molto accorte nell’esprimere i meccanismi che portano tre multi-strumentisti di fama mondiale ad incrociare le esperienze per “battere territori sconosciuti, combinando suoni ai quali non sono abituati, lasciando che le cose semplicemente accadano”. Ma non basta, si sono soffermati anche su cosa vuol dire essere ispirati da un ambiente come Berlino, descritto con perizia gli strumenti che hanno utilizzato e confessato di preferire l’oggi musicale rispetto ad un impossibile duetto con Mozart.
Max Loderbauer, Claudio Puntin e Samuel Rohrer come vi è venuta l’idea di suonare insieme al tempo del debutto come ambiq?
Samuel e Claudio da più di dieci anni suonano insieme in diversi progetti. Claudio invece ha conosciuto qualche anno fa Max in occasione del concerto di presentazione al Berghain di Berlino del disco “Re:ECM” prodotto insieme a Ricardo Villalobos. Dopo alcune sessioni private in studio ed un concerto a Berlino abbiamo registrato il nostro primo disco nel 2013.
La ragione sociale “ambiq” ha un significato particolare? Sembra giocare con il termine ambient.
Proviene dalla poesia giambica, un metodo di scrittura in uso nell’antica Grecia che prevedeva un ritmo particolare, il giambo per l’appunto. Inoltre riguarda anche il termine ambiguità. Infine ha a che fare, chiaramente, anche con il gioco di parole con il termine ambient. Ian Anderson del collettivo The Designers Republic ha disegnato per noi un logo fantastico che sintetizza tutte queste idee.
Avete dato alle stampe l’album “ambiq 2” da pochissimo. C’è dietro lo stesso lavoro di improvvisazione che ha caratterizzato il vostro debutto oppure i brani sono frutto di una riflessione diversa?
Abbiamo registrato il nuovo album a due anni di distanza dal primo e, fortunatamente, i tempi cambiano e anche noi stessi. Quindi il risultato non può che essere diverso. Il primo disco venne fuori in modo molto spontaneo. Chiaramente sul secondo nuovo album c’era l’intenzione di dare più sostanza alle nostre idee, pur mantenendo una certa continuità. Volevamo mantenere il progetto in piedi. E’ rimasta l’idea di suonarlo tutto improvvisando. Poi è normale iniziare a porsi delle domande su quali coordinate stiamo seguendo. Inoltre, tutto è condizionato a quello che succede nel momento in cui stiamo registrando l’album. E’ un processo di lavorazione intuitivo frutto della sensibilità di ciascuno di noi. Non c’è stato uno scambio di idee o di sensazioni prima del nostro incontro in sala prove. Voglio anche dire che questo lavoro è comunque frutto di idee individuali. Se uno di noi ha una idea musicale importante è inevitabile che questa influenzi tutti. E poi la curiosità, è questo il fattore decisivo che ci spinge a creare momenti di ispirazione dove la musica può svilupparsi.
Trovo l’umore generale di “ambiq 2” molto “arioso”, c’è una progressione ritmica ora lieve ora più cadenzata che come un filo lega tutte le tracce. E’ incredibile sentire che non avevate in mente, perlomeno, un sentimento condiviso quando avete eseguito i brani.
Non abbiamo parlato molto, davvero. Ma c’è stata più chiarezza tra noi rispetto al tempo del debutto. Si può dire che è stato frutto del naturale processo di crescita. Ma per lasciarci andare veramente e far in modo che le cose accadano è indispensabile l’approccio che si siamo dati. Quando si tratta di improvvisazione bisogna saper abbandonare alcune soluzioni musicali di partenza che ognuno di noi potrebbe avere in mente, perdere qualcosa per guadagnare dell’altro. La musica può andare in qualunque direzione. Ma abbiamo gli stessi gusti in fatto di suono e quindi per noi è facile trovare un terreno comune e quindi una resa estetica coerente. E’ assolutamente indispensabile ritrovarci in una sorta di unità. Poi da questa posizione possiamo spaziare liberamente, essere più astratti, concreti o melodici. Fondamentalmente con questa modalità potremmo registrare un album a settimana e farlo suonare differente ogni volta.
Quali strumenti avete suonato in “ambiq 2”? Poi mi piacerebbe sapere se vi siete concentrati più sull’interazione che sulla sperimentazione.
Un Buchla 200e in parte azionato dai tamburi. Una tastiera Continuum, un pianoforte su cui si possono regolare le note allungandole a piacimento attraverso una sorta di pitch control. Un synth NordLead. Batteria e percussioni collegate a dei microfoni che aggiungono riverberi e delay. Un piccolo sintetizzatore per creare rumori e suoni tonali. Diversi clarinetti, tra cui uno contrabbasso, mini percussioni da suonare con un paio di mazzuoli e un Zischboard, strumento costruito da Claudio, che funziona ad aria compressa. Interazione e sperimentazione vanno di pari passo. I momenti migliori sono quelli in cui tutti assieme battiamo territori sconosciuti, combinando suoni ai quali non siamo abituati, lasciando che le cose semplicemente accadano. Quando si smette di cercare qualcosa è proprio il momento in cui spesso accade l’inaspettato, il sorprendente. Lo stupore che si prova suonando e che fai provare agli altri è una componente fondamentale del nostro processo creativo.
Qual è il vostro rapporto con il “pop” in senso lato? L’abilità tecnica non sempre si concilia con l’immediatezza ma nei vostri due dischi sembrate rompere ogni tipo di categorizzazione risultando sia “complessi” che “accessibili”.
Non si dovrebbe etichettare o classificare la musica e tutto ciò che ha una funzione di stimolo, quindi semplificare quello che viene fuori, dovrebbe contare solo il risultato del nostro lavoro. Dovremmo considerare le sensazioni, le emozioni, le percezioni intellettuali connesse alla creazione. La complessità fine a sé stessa, per esempio, non può funzionare, bisogna comunicare idee e sensazioni nel modo più immediato possibile. Una combinazione di questi due elementi è necessaria, si può costruire una architettura di fantasia ma poi bisogna anche riempirla con vivida personalità. Se “pop” vuol dire accessibilità e l’intelligenza produce “complessità” allora tutta l’arte e la musica più sincera e vibrante dovrebbe essere definita pop intelligente.
Quanto la città di Berlino ha influenzato la stesura dell’album? Intendo dire se guardavate fuori dalla finestra durante la sessioni di registrazione oppure se la Berlino che si sente nel disco è semplicemente quella da voi interiorizzata nel tempo.
Tutti noi abbiamo vissuto a Berlino per un periodo piuttosto lungo, e abbiamo anche in comune il fatto di essere cresciuti tra le montagne. Chiunque viene influenzato dall’ambiente in cui si trova, ma questo vale ancora di più per i musicisti che suonano improvvisando, solitamente non è difficile comprendere da dove sono state prese certe ispirazioni ed in particolare da quale ambiente. Inoltre, dal momento che viaggiamo spesso, le nostre influenze si allargano e non riguardano più solo il posto dove si è cresciuti o dove si sono fatte le esperienze più importanti, è come se nelle ossa rimanesse di volta in volta qualcosa dell’ultimo viaggio fatto. La musica è un mezzo assai diretto per esprimere influenze ed emozioni, ma il fatto che si tratta di una forma astratta di comunicazione ci permette di essere completamente aperti, senza forzare la mano verso una direzione anziché un’altra, senza la necessità di spendere alcuna parola.
Quali sono i dischi che recentemente vi sono piaciuti di più?
Terje Isungset – Icemusic
Tyondai Braxton – HIVE1
Aphex Twin – Computer Controlled Acoustic Instruments
Maurice Ravel – Piano concerto in G, adagio assai. The Arturo Benedetti Michelangeli and Monique Haas Version
Georg Friedrich Haas – Limited approximations for 6 pianos and orchestra.
Se poteste scegliere di esibirvi in una qualunque epoca musicale quale scegliereste e per quale motivo? Sento che amate la contemporaneità ma è meglio essere sicuri.
Molte epoche della musica sono intense e piene di suggestioni. Perché non sceglierne tre diverse: Parigi intorno al 1900, con Satie, Debussy e Ravel. Poi sarebbe bello incontrare Mozart, poter suonare con lui. Oppure duecento anni dopo, con Thelonious Monk! Ok, questa è la quarta scelta, la nostra preferita: OGGI! E’ il momento migliore! Magari è un periodo difficile per la musica creativa. Ma forse lo è in ogni tempo.
Porterete in tour “ambiq 2”? Magari verrete anche in Italia.
Le nostre prossime date sono:
30.1. Theater am Jünglingshaus Eupen Belgio
31.1. Q fabbrica Amsterdam Olanda
01.2. Pfandhaus Colonia Germania
20.2. Roter Salon Berlino Germania
17.4. TBA Istanbul
24.4. Radialsystem Berlino Germania
02.7. Barbican Hall di Londra, Regno Unito
07.7. Lisbona Goethe Institut Portogallo
Purtroppo non ci sono ancora esibizioni previste in Italia.
Progetti per il prossimo futuro? Svelateci qualche gustosa anteprima.
A fine febbraio arjunamusic rilascerà due remix degli ambiq prodotti da Thomas Fehlmann (The Orb) e Margaret Dygas (arjunamusic AMEL-EP710). Poi, iniziando ad esibirci con più regolarità, sarebbe bello dare alle stampe una registrazione dal vivo, quanto prima.
English Version:
It was a real pleasure to interview Max Loderbauer, Claudio Puntin and Samuel Rohrer, the trio behind ambiq that has recently released the second album. And so it was because their answers were sincere, in fact, and very wise in expressing the reason that leads three renown multi-instrumentalists to cross their experiences “going collectively to the unknown, combing sounds never tried and letting things happen by itself”. But it’s not enough, they focused also on what it means to be inspired by a city like Berlin, skillfully described the used tools and even confessed to prefer today music compared to an impossible duet with Mozart.
Max Loderbauer, Claudio Puntin and Samuel Rohrer how do you got the idea to play together at the time of the debut album ambiq?
Samuel and Claudio play for more than ten years together in different projects. Max and Claudio met the first time at the “Re:ECM” release concert at Berghain in Berlin with Ricardo Villalobos a few years ago. After a some private sessions and one concert in Berlin we recorded the first album in 2013.
This name “ambiq” has a special meaning? It seems to play with the term ambient.
It comes from iambic/iambicos, an old Greek way to write poetry in a certain rhythm. As well as from ambiguity. And it is finally a play with ambient of course. Ian Anderson from The Designers Republic designed a fantastic logo for us, combining all these ideas and thoughts.
You have recently recorded “ambiq 2”. Behind it there is the same improvisation work that characterized your debut album or the songs are the result of a different type of meditation?
We recorded the new album two years after the first one and luckily things, times and also we change. So the result must be different. The first one happened very spontaneous. Of course the second, new album was a clear decision to give more weight to whole idea, to give it a certain continuity. To keep it alive. The idea of playing fully improvised music stays. But we started to grow more together as an unit and our sound as a band became more defined. And naturally you start to think about where it could go next. Of course it’s also very much based on what happens in that moment when we recorded the album. It is a very intuitive and honest way of composing and creating music together. No pre thoughts or calculation when it comes to playing. I would say the work happens more on an individual level. And if one as a strong musical idea it always influences the others. And curiosity. It is very much about our curiosity to create fresh and inspiring moments where music can grow.
Listening to “ambiq 2” I found it very “airy”, there is such a progression that from slightly develops in something more rhythmical and stretches trough all the tracks. It’s incredible that you don’t even had in mind a common feeling when you performed it.
Not that we would talk about it so much. But there is more clarity in the way we work together than when we recorded for the first time as a trio. Which is a natural growing process. But to finally let go and to let it happen might be the common approach we share. Maybe we have ideas in mind. But when it comes to improvisation, you have to let go to let it come. Musically it could go in any direction but we share the same taste, so we always find a common language and also like the same kind of aesthetics. That’s absolutely necessary to form a unit. But within this, we can go in different directions, to more abstract areas, more concrete or melodic forms. We could basically record an album every week and it would sound quiet different each time I would say.
What instruments did you play in “ambiq 2”? Then I would like to know if you have tried particular technical solutions or you focused the most on your interaction then on experimentation.
A Buchla 200e which is partly triggered by drums. A Continuum Fingerboard, a piano on which you can bend and stretch the notes allowing essentially continuous pitch control. A NordLead synth. Drums and percussion combined with contact microphones, adding delays and reverb. A small synth to create noises and tonal sounds. Different Clarinets, including a contra bass clarinet, mini percussion played with mallets and a Zischboard, a self made instrument by Claudio, functioning with air pressure. Interaction and experimentation goes hand in hand. The best moments are created by going collectively to the unknown, combing sounds we never tried and letting things happen by itself. When you stop wanting something often the most unexpected and surprising comes out of it. To constantly challenge and inspire yourself and the others is a huge factor in the whole creative process.
What is your relationship with “pop” in its broadest sense? Technical skills not always according to immediacy in music but your two works seem to break any kind of categorization resulting both “complex” and “accessible”.
If we stop putting names and labels on music or anything that has an inspiring role to us and helps us to define something we create out of ourselves, it only matters what finally comes out. If we are able to just look at it as a result of feeling, emotion, intellectual perception and creation. Technicality alone does not mean anything but is necessary to transport ideas and feelings as immediate as possible. A combination of both is necessary to not only create a fancy construction but to also fill it with a vivid personality. If “pop“ means accessibility and if intelligence means “complexity“, all strong, honest and powerful music and arts that reach out in any way could be named as pop in an intelligent form.
How much the city of Berlin has influenced the writing of the album? I mean you looked out of the window during the recording sessions or more simply the Berlin that we can feel listening to the record is just the city that you have inside.
We all live in Berlin for quite a long time and we all have backgrounds growing up close to the mountains. And as we all are and everything is influenced by our surroundings, especially if you play improvised music, it is very much hearable where something happens, where its coming from and what environment is influencing the process. Since we are all traveling a lot we must be influenced not only by our local neighborhood and our musical background but also by the last voyage we still have in our bones. Music is a very direct media to transport any kind of influences and emotions, but the fact that it is an abstract form of communication it allows us to keep it open without pressing anything into a certain direction or to put it into words…
Which records has recently impressed you?
Terje Isungset – Icemusic
Tyondai Braxton – HIVE1
Aphex Twin – Computer Controlled Acoustic Instruments
Maurice Ravel – Piano concerto in G, adagio assai. The Arturo Benedetti Michelangeli and Monique Haas Version
Georg Friedrich Haas – Limited approximations for 6 pianos and orchestra.
If you could pick yourselves and sing along in any musical era, which would you choose and why? I feel that you love contemporary times but better ask it directly to you.
Many époques of music are intense and full of spirit. Why not choose three different ones: Paris around 1900, with Satie, Debussy and Ravel. Then it would be great to meet Mozart, to jam with him. Or two hundred years later Thelonius Monk! Ok, This is the fourth and our favorite: TODAY! It’s the best time! It is also a difficult time for creative music. But probably it always was.
Will you perform “ambiq 2” live? Maybe you will also visit Italy.
Our upcoming dates are:
30.1. Theater am Jünglingshaus Eupen Belgium
31.1. Q Factory Amsterdam Holland
01.2. Pfandhaus Cologne Germany
20.2. Roter Salon Berlin Germany
17.4. Istanbul TBA
24.4. Radialsystem Berlin Germany
02.7. Barbican Hall London, UK
07.7. Lisbon Goethe Institut Portugal
Unfortunately no dates in Italy planned so far.
Plans for the future? Perhaps you can reveal to us a tasty preview.
End of February arjunamusic will release two ambiq remixes by Thomas Fehlmann (the Orb) and Margaret Dygas. (arjunamusic AMEL-EP710). And maybe, as we finally start to play more live, why not releasing a live recording soon.