Mi perdoneranno i Daft Punk per aver preso in prestito (e un poco storpiato) il nome della loro terza fatica, ma credo che per raccontare quello che è stato questo ADE non ci possa essere titolo migliore. Quello appena terminatosi è stato il mio quarto viaggio ad Amsterdam nel periodo dell’ADE, ma senza ombra di dubbio posso affermare che fino a settimana scorsa non avevo la minima idea di quanto importante e diametralmente diverso fosse vivere questa manifestazione da addetto ai lavori piuttosto che da cliente. Si è aperto di fronte a me un mondo che fino a poco tempo fa probabilmente fingevo di non considerare nelle mie visite in città. Mi sono trovato alle prese con un microcosmo discreto ma onnipresente che si è amalgamato perfettamente con il tessuto sociale della città, insinuandosi nella sua quotidianità senza fare “rumore”, sposando in pieno la mentalità di quella che (mi perdoneranno i patrioti ed i “nostalgici”) è senza dubbio una società che culturalmente ed eticamente da alla nostra bella Italia parecchi giri di scarto.
Parallelamente al suo lato istituzionale, principalmente racchiuso nella contiguità fra il Felix Meritis e il Dylan (per altro strutture di una bellezza stordente), l’ADE come ogni anno ha invaso pacificamente la città con, molto probabilmente, una delle più grandi reti di eventi legati ad una singola kermesse di musica elettronica che oggi l’Europa possa vantare. Forse persino troppi, considerato che, come già accaduto al Sònar, ho visto personalmente alcuni parties chiudere anzitempo per mancanza di presenza. Rispetto alle mie visite precedenti, il pass stampa dell’ADE mi ha offerto una sorta di passepartout per entrare a qualunque festa a qualsiasi ora avessi piacere di farlo. Era un po’ come per un bambino avere le chiavi di Disneyland. Ho sfruttato questa enorme possibilità per cercare di vedere il più possibile, accorgendomi di quanto (nonostante fossi stato ad Amsterdam quasi venti volte negli ultimi anni) avessi visto solo una piccola parte di ciò questa fantastica metropoli ha da offrire. E devo dire che ho visto davvero di tutto. Dalla tech house un po’ facilona e “paracula” ma tremendamente coinvolgente di DJ Sneak e della cricca I’m a House Gangster dentro all’intimissimo Studio80, fino alle cavalcate incessanti targate Electric Deluxe nella Rabohall. Dalle raffinate melodie dei Soul Clap e dello strepitoso back-to-back fra Prins Thomas e Todd Terje all’MC Theatre, fino alla techno furibonda di Dave Clarke, di Happa (il ragazzino ne sa, e pure parecchio) e dei Karenn. Passando per l’immensa folla del Gashouder e per l’esclusiva Boiler Room di un’etichetta come Delsin, che da quasi due decadi tiene alta la bandiera olandese nel mondo, dove ho potuto personalmente constatare la definitiva esplosione del duo Will & Ink, che hanno offerto ai presenti un live set davvero da leccarsi i baffi. Ma non voglio dilungarmi troppo a riguardo per non perdere il filo del discorso.
Al di là della grande soddisfazione legata a quanto visto e sentito negli eventi notturni, ciò che ho vissuto durante le mie lunghe giornate su e giù per le scale del Felix Meritis e del Dylan è di gran lunga l’aspetto che mi ha colpito maggiormente. Mi sono trovato a passare dopo anni da cliente, esclusivamente impegnato a decidere in quale club andare a ballare e quali dj voler ascoltare, a diventare oggi parte integrante di un ambiente adulto, consapevole di essere uno dei pochi che ancora resistono in tempi dove ad ogni latitudine la recessione sta mietendo vittime anche illustri. Ho visto un settore che muove quantità monetarie davvero rilevanti (una grande torta di cui tutti vogliono una fetta), in cui chi si ferma un secondo a prendere fiato viene repentinamente spodestato e dove non adattarsi al cambiamento comporta il rischio di finire a prendere polvere sugli scaffali insieme ai propri ricordi. Ma quello della musica è anche un mondo, ed è forse questo il motivo principale per cui oggi vale davvero la pena di prendere parte ad eventi come l’ADE, fatto di persone prima che di capitali, di passione prima che di business e di tanti, tantissime persone, che per 360 giorni all’anno sono solo nomi all’interno di infinite conversazioni telefoniche o corrispondenze telematiche e che all’improvviso diventano facce amiche, sedute accanto o di fronte a noi. Nella stessa stanza, allo stesso livello e pronti a fare il punto della situazione, a rinsaldare vecchie partnership o a stringerne di nuove, oppure semplicemente per bere una birra al bar del Felix e raccontarsi come sta andando.
E di chiacchiere se ne sono fatte molte all’interno dei numerosi panel e workshop: dalle integrazioni culturali mediante la musica in Sud Africa nello spazio tenuto dai nostri amici di Bridges For Music, fino alla mutazione di Berlino nelle ultime due decadi, dal ruolo sempre più centrale della booking agencies nel panorama musicale, all’ossessione per i numeri nella vita di un dj esplicata nel panel organizzato da Tiga. Il tutto contornato da eventi di grandi goliardia come lo speciale ADE Cook Off dove, dopo essersele promesse per settimane su twitter, Seth Troxler e DJ Sneak si sono affrontati a colpi di cotto e mangiato. Il giovanotto di Detroit si è aggiudicato la sfida, mantenendo il titolo che già deteneva dallo scorso anno. Ma l’importante non era vincere, bensì divertirsi tutti insieme e così è stato.
In fin dei conti eventi come l’ADE servono proprio a ricordarci che dietro questo mostro gigantesco fatto di festival internazionali, palchi avveniristici, classifiche di vendita e cachet stellari si nascondono tante semplici persone, che come un qualunque destinatario finale hanno come moto principale la dedizione al duro lavoro e la sincera passione. Ho visto Richie Hawtin, una delle personalità più influenti degli ultimi vent’anni di musica elettronica, un’autentico monumento, rispondere alle domande dei presenti al suo panel con la “sudarella” alle mani e lo stesso nervosismo che avevamo noi nel chiedere. Nonostante si tratti di un gigante del nostro ambiente, in quel contesto ci siamo trovati alle prese con una persona vera, stretta dentro ad un divano, che con tutta l’umiltà di questo mondo si è messo in gioco senza mai trascendere nell’arroganza che ci si potrebbe aspettare da un personaggio del suo calibro. Ho sentito Danny Tenaglia raccontare di quando guadagnava poco più di 100 dollari nella Miami degli anni 80 fino al clamoroso remix per Yoko Ono, alla nomination al Grammy ed ai tantissimi anni di carriera. Ho avuto l’onore (e qua davvero il termine calza a pennello) di assistere ad un panel dove in pochi metri erano seduti Giorgio Moroder (che ha raccontato a tutti di non saper ballare ma di avere solo il ritmo nella testa), Nile Rodgers e Greg Wilson. Persone che hanno scritto davvero la storia di questo settore erano a pochi metri da me a sviscerare aneddoti sulle loro esperienze di vita come un ragazzo qualunque racconta agli amici del bar di quella volta che è andato a quel festival, ecc… Cosa c’è di più bello ed umano di questo?
Non sono sicuro che quanto vi ho appena raccontato sia la verità assoluta, ma credo davvero in ciò che ho scritto e in quello che per me oggi l’ADE rappresenta. Una grande, grandissima occasione per distendere gli animi, fare il punto della situazione e ricordarci perché siamo tutti parte di quella grandissima famiglia che è oggi la musica elettronica. Denaro? Fama? Si, senza dubbio anche per quello. Ma alla base di tutto non può mancare la passione. Io ero lì per quello e come me lo erano anche persone che hanno dedicato decadi intere della loro vita perché si arrivasse oggi a poter essere visti non più come “quelli delle discoteche” ma come un settore rispettabile ed economicamente rilevante nell’economia globale. Credo non ci sia modo migliore di terminare questo articolo che lasciarvi con le parole di Nile Rodgers durante l’ultimo panel che ho seguito in questa conferenza.
“Avrei potuto ritirarmi trent’anni fa al tempo degli Chic e avrei avuto abbastanza soldi per vivere la mia vita nel massimo del comfort. Ma non l’ho fatto. Non mi sono mai sentito così stimolato e produttivo come oggi. Ho scritto più di trenta canzoni negli ultimi due anni. Ed oggi, a 61 anni, ho preso un volo intercontinentale per essere qua e parlare con voi di musica. Perché secondo voi dopo tutto questo tempo faccio ancora questo mestiere? Per comprarmi una Lamborghini? No, si fottano quelli che la pensano così. Io, come credo anche voi, sono qua solo per una cosa: PASSIONE, pura e semplice.”