Dopo pochi giorni dal mio rientro a casa da Amsterdam la domanda che mi è stata fatta più volte è: cosa ti ha colpito di più dell’ADE? La mia risposta e battuta (ma non troppo) è sempre stata: il dolore ai muscoli! Chi ha vissuto a pieno questa edizione dell’Amsterdam Dance Event sa bene di cosa parlo: perché al di là del non dormire non c’è stato nemmeno il tempo di riposare. Così su due piedi questa potrebbe sembrare una nota negativa, ma posso assicurarvi che non è assolutamente così, perché quella che è durata dallo scorso 19 fino al 23 ottobre è stata un’esperienza unica che purtroppo o per fortuna non è semplice ripetere in altre parti del mondo se non nella capitale Olandese e soltanto per una volta all’anno. Forse solo la Winter Music Conference a Miami potrebbe essere un contraltare su cui discutere.
Dunque, come avrete intuito, la stanchezza mi ha accompagnato per cinque giorni. Ma questo non è stato di certo un problema, poiché generata da tutte le cose che c’erano da fare e da vivere e sinceramente, a conti fatti, penso che sarebbe stato più doloroso il rimorso di non averle vissute rispetto al dolore ai muscoli per i chilometri fatti a piedi ogni giorno. L’ADE è infatti anche (e soprattutto) un punto d’incontro per gli addetti ai lavori e un passaggio, oserei dire fondamentale, per chi concentra il suo lavoro attorno all’emisfero della musica elettronica nel suo insieme. Giornalisti, dj, produttori e promoter sono soltanto alcune delle figure professionali che anche per questa ventunesima edizione si sono incontrati nella città di Van Gogh per svariati motivi e obiettivi. Una delle cose da sottolineare però è che oltre a tutti gli addetti ai lavori che hanno partecipato alla parte diurna c’è stata la partecipazione parallela di un massiccio numero di curiosi e di appassionati che hanno avuto l’opportunità di conoscere, in un’altra ottica, alcuni meccanismi a loro ignoti. Questa è una cosa che non può che fare piacere perché se uno degli obiettivi primari della musica è quello di unire le persone l’Amsterdam Dance Event ha contribuito a realizzarlo anche quest’anno, riuscendo a farlo anche sotto aspetti diversi. Ovviamente le opportunità di imparare, conoscere e scoprire ci sono state anche per chi era lì per lavoro. Ed io compreso sono tornato a casa con un bagaglio colmo di nuove conoscenze perché alcune nozioni spiegate direttamente dagli artisti o dai produttori di tecnologie sono quelle che rimangono senza dubbio più impresse. Considerata anche la grande quantità di party il numero di dj e producer è rimasto alto anche per questa edizione. E sono rimasto molto colpito dall’attenzione che ADE ha rivolto verso essi ed il loro ruolo. Un esempio può essere anche la DJ School al Rokin 75, l’edificio che nel suo sotterraneo ospita i Cruise Control Studios dove vengono tenuti workshop e dove si riversano artisti già affermati da tutto il mondo. Magari sembrerà una cosa da niente, invece tutto ciò dimostra l’importanza rivolta alla formazione di determinate figure professionali e forse questa è già di per se una cosa che sembra piuttosto latitare dalle nostre parti. Restando in tema studi di registrazione e tecnologie, vi è mai capitato nello stesso giorno di ascoltare gli Octave One che raccontano come è composto il loro live o Richie Hawtin che vi spiega per filo e per segno il nuovo mixer Moldel 1, oppure una schiera di tecnici pronti ad insegnarvi come programmare una drum machine? No vero? All’ADE succedono anche queste cose. Capirete da voi il perché le già citate camminate continue da una location all’altra sono state fatte più che volentieri. Se ancora non vi avessi convinto, immaginate di essere uno dei tanti che come voi sono lì per lo stesso motivo, immaginate di camminare tra i meravigliosi canali al tramonto, di conoscere persone provenienti dai Paesi più disparati, di avere le possibilità di partecipare alla presentazione di quel nuovo synth che vi piace tanto o di capire che cosa fanno realmente i dj tutto il giorno facendovelo raccontare direttamente da giganti come Dave Clarke.
Prima di partire avevo paragonato l’Amsterdam Dance Event ad un Paese dei Balocchi e ora che sono tornato ne sono ancora più convinto. Mentre ero in aereo (ed ero già un po’ malinconico ad essere sincero) pensavo a quanto è stato bello essere ad Amsterdam contornato da persone di differenti colori, lingue, religioni e pensieri accomunate da motivi più o meno uguali ai miei e sicuramente con intenzioni legate alla musica. Considerato che in questo periodo è difficile unire persone diverse tra loro persino al di fuori di uno stadio. Ah, a proposito di stadio. Sabato e domenica all’Amsterdam Arena c’è stato l’Amsterdam Music Festival. Si, è incentrato sull’EDM e se siete lettori di Soundwall posso capire che ve ne importerà il giusto, ma viste le dimensioni dell’evento io credo che dovemmo rifletterci su, ma di questo tratteremo nelle righe che seguono. In concomitanza poi c’è anche la nuova classifica di DJ Mag e allora non possiamo proprio fare finta di niente. Sì, sono d’accordo con voi, non è il nostro genere, ci scappa anche da ridere pensando a qualcuno che ti tira le torte in faccia mentre sta suonando o forse fa addirittura finta di farlo. Ma l’ADE è anche questo, è anche qualcosa che non ci può piacere ma è allo stesso tempo una forza perché riesce a piacere e a soddisfare tanti altri dei presenti in un modo o in un altro. L’ADE è quella cosa che ti permette di fare due chiacchiere con Afrojack prima del suo dj set e allo stesso tempo di conoscere uno come Onur Ozer da Rush Hour mentre stai spulciando fra gli scaffali. Qui il confine tra mainstream e underground viene totalmente abbattuto e alla fine che importa se nel locale dove siete passati prima l’importanza era rivolta verso uno spettacolo, non solo incentrato sulla musica, mentre state già ascoltando gli a:rpia:r alla porta accanto? Magari il giorno dopo durante un panel farete amicizia con uno che è fan di David Guetta e nonostante ciò sarà comunque una persona normale, forse anche meglio di altre che vogliono essere “underground” a tutti così. No dai, togliamo il forse. Insomma, ad Amsterdam si ha la libertà di essere quello che si è senza pregiudizi, e a me questa cosa è piaciuta tanto perché personalmente ritengo che nel 2016 essere “open-minded” non possa non farci bene.
I principali punti nevralgici diurni sono stati il Dylan Hotel, il Felix Meritis, il Campagnietheater e il De Brakke Grond, dove l’organizzazione è stata davvero impeccabile. Per un evento del genere ritengo che sia doveroso spendere anche qualche parola riguardo a tutto il lavoro che vi risiede dietro. E anche in questo caso Buma si merita un bell’applauso. Solo il fatto di riuscire ad offrire dei punti informazioni sempre pronti ad aiutare i clienti e gli addetti ai lavori senza incappare mai in spiacevoli imprevisti è un ottimo esempio. Anche la possibilità di avere zone riservate dove poter “riposarsi” mangiando e bevendo qualcosa tra un impegno e l’altro fa capire la qualità dell’evento e l’attenzione rivolta ai fruitori di esso. I programmi sempre aggiornati, il personale cortese, le location già citate sopra (di una bellezza che mai avrei immaginato) sono altri piccoli punti che si sommano al tutto ed è proprio nell’insieme delle piccole cose che possiamo farci un’idea di quello che è stata questa edizione. Prima di lasciare la parola al mio compagno di avventura Federico, considerato tutto, posso dire che questa parte diurna ha soddisfatto le aspettative e allo spesso tempo ne ha create delle altre. Ovvero una gran voglia di ripartire per la prossima edizione dell’Amsterdam Dance Event, che spero arrivi molto presto.