Undici anni: tanti ne sono passati da quando un altro duo di francesi che fa musica elettronica (no, non quello coi caschi…) saliva alla ribalta dei palcoscenici mondiali, sfruttando quell’onda travolgente che, partita da Myspace, cresciuta in rete e trasformatasi poi in mille generi, conquistava il globo a colpi di, ehm, giri di lavatrice distorti sotto cassa dritta. Un’onda tanto impetuosa nel formarsi all’inizio, quanto innocua nell’infrangersi sugli scogli del tempo che dopo solo pochi anni ne sanciva la fine e, per molti, l’oblio.
Di molti degli act di quella ondata, a memoria ci vengono nomi come Danger, Les Petit Pilous, Steve Strip, BobMo: di loro non sono rimaste tracce significative nella memoria collettiva, né a lungo termine né a breve. Sicuramente, per quanto non si possa negare fosse musica divertente, spensierata, con un’attitudine anche abbastanza punk o almeno punk 2.0, non si può però negare che per tecnica, idee e strutture non era proprio un granché. Quel genere che oggi forse possiamo definire “blog dance music” e che al tempo chiamavamo veniva chiamato in tanti, confusi modi (perfino nu disco, o electro…), era un genere chiuso, istantaneo, forse anche poco sviluppabile – e per questo senza grosse prospettive di crescita.
A salvarsi da questa onda di oblio e declino sono stati proprio loro, i Justice: per meriti oggettivi, meriti contenuti in una buona discografia che non riporta troppi passi falsi e al contrario contiene pure buone idee. Se con “Cross”, acclamato disco d’esordio del duo francese, avevano conquistato un enorme attenzione mediatica vuoi per il periodo musicale vuoi per i primi hype che si venivano a creare a mezzo etere, sono stati poi i lavori successivi che hanno garantito una discreta ed anche interessante carriera. Loro, al contrario di tutti i nomi citati qualche riga fa (e ci sentiamo di inserirci anche Bob Rifo, anche se con riserva), hanno sempre avuto e messo in circolo buone idee. Dispregiativo ed ingiusto bollarli come una mera cover band dei Daft Punk; più vero dire che sapientemente hanno saputo seguire una strada maestra ben definita, tracciata da chi anni prima più o meno armato di casco aveva cambiato la storia della musica elettronica.
Partendo da questa analisi, ci sembra facile spiegare perché l’idea di andare a vedere il live legato al nuovo album in uscita, ci sembrasse una buona anzi ottima idea. La location è l’Ippodromo milanese di San Siro; e non sarebbe nemmeno un brutto posto, non fosse per l’enorme quantità di sabbia ingerita, respirata, assorbita tanto da ridurre tutto il pubblico presente a fettine impanate pronte per la cottura. Ma pazienza; in questo momento Milano è la capitale della musica italiana, non ce ne voglia Roma che ha comunque buoni eventi, ma quello che sta offrendo Milano in questi mesi e negli anni post Expo è un gradino sopra e la colloca alla pari di grandi città europee, se non addirittura mondiali. Vediamo finché dura. A chiudere il cerchio di questo momento di grazia mancherebbe solo un grande festival di respiro internazionale tipo il Primavera o il Sònar, cose che non si organizzano in mezz’ora e che richiedono sinergie importanti attualmente non ipotizzabili, ma non è detto non arrivi prima o poi anche quello.
(il palco dei Justice; continua sotto)
La serata, inserita nella programmazione del Milano Summer Festival, prevedeva anche l’esibizione dei The Parcels e degli MGMT. Sui primi il giudizio è positivo: i giovanissimi australiani propongono una divertente forma pop che per una decina di canzoni altro non fa che rielaborare il giro melodico di “Get Lucky”, comunque secondo una buona visione e un altrettanto buona esecuzione. Nulla di fondamentale, ma il tempo in attesa del main event è scivolato via bene. Diverso il discorso per gli Mgmt. In tour per presentare l’ottimo “Little Dark Age”, offrono una prestazione disarmante, svogliata e mal fatta con enormi sbavature, imprecisioni e vere e proprie stonature vocali. Logico: il ritornello di “Kidz” sistema e guarisce ogni malattia, ok, ma l’insussistenza live di questa band (ottima invece su disco) ci è sembrata forte e ci ha sorpreso non poco.
L’analisi del concerto dei Justice, parte invece da un pochino più lontano, e si sposta più o meno ad oltre un anno fa. Il racconto è quello di ore passate tra Reddit e altri forum, siti fake e fake news a scoprire se mai sarebbe esistita una replica, un remake, un riadattamento di “Alive 2007”, la consacrazione finale dei Daft Punk e della loro musica elettronica prima del contrastante ma comunque importante “RAM”. Ovvio: leggendo queste righe, c’è chi penserà che per colpa di un’ossessione conclamata per i due francesi di cui è vittima chi scrive, ecco, sia facile vedere i Daft Punk dappertutto; ed è innegabile possa essere così. Ma è anche innegabile che, sempre chi vi scrive, sia andato verso l’Ippodromo pensando “Ok, nada Daft Punk, ma in fondo i Justice ci vanno un minimo vicino”.
Ora, va fatto un ultimo piccolo preambolo: il nuovo disco dei Justice, per come è impostato sia nella track list sia nei pezzi fin qui ascoltabili, sembra proprio un omaggio ad “Alive 2007”. “Woman Worldwide” per dire è un continuo mash up dei loro più grandi successi, portato dal vivo è evidente che il rimando non possa non andare altro che verso il live dei due francesi. Insomma, sarà complottismo o forte immaginazione ma a molti è sembrato che il live marciasse dalle parti di un tributo voluto o non voluto ad “Alive 2007”. Bellissime le luci in sé che i giochi ad esse legati, con vari momenti dello spettacolo declinati in vari colori predominanti ed sviluppati tramite strutture semovibili che penzolano dal tetto del palco. I finti ampli Marshall sul palco prendono spesso vita e si illuminano in giochi che ricordano la piramide del duo mascherato. La croce iconografica, simbolo del duo, è ora meno presente e appare in rari frangenti: quasi più a fare da ricordo che simbolo di distinzione. Le tracce, spesso enormi cavalcate ad un passo dal rock progressive, si mischiano, invertono e cambiano di ruolo con pezzi invece più danzerecci. Non mancano i successi, ovvio, ma è tutto un incrociarsi nelle mille intersezioni della loro discografia.
Un’ora e mezza di gran spettacolo e di gran show, senza pecche e ad un passo dal rock: questo il risultato. E se alla summa il giudizio non può prescindere dalla risposta alle domande “Non sono fuori tempo massimo?”, o “Ancora ha senso andare a vedere i Justice nel 2018?”, il punto è che a queste domande la risposta è “Sì”. Questo nuovo show dimostra la solidità del progetto: se non la freschezza, almeno la buona conservazione del prodotto. Per capire come questo sia possibile, non bisogna andare troppo lontano: semplicemente, a distanza di oltre un decennio continuano ad avere ed offrire delle buone idee, musicalmente e non solo.