Perché voi avete ragione. E con “voi” non intendiamo voi normali lettori. A voi ci arriviamo tra un attimo, perché c’è un certo problema in atto e la cosa riguarda anche voi. Ma prima tocca riconoscere le ragioni degli altri “voi“: i produttori. Le schiere di ragazzi che ogni giorno mettono tutta la professionalità e la passione di questo mondo per far la musica migliore di cui sono capaci, quelli che riempono ogni settimana le pagine dei nostri Giant Steps e si chiedono continuamente perché è così difficile oggigiorno essere qualcuno, farsi un nome. Arrivare a un pubblico che possa definirsi tale e concederti la possibilità di capire se la tua musica possa realmente avere successo. Puntate il dito contro i media che scommettono sempre sugli stessi nomi. E oggi noi ve lo diciamo col cuore in mano: avete ragione. Nel senso che le cause del problema sono diverse e difficili da discutere tutte insieme qui, ma che nel sistema mediatico e nei meccanismi di marketing che girano intorno alla musica ci sia qualcosa di anomalo è fuor di dubbio. E ce ne accorgiamo anche noi. a cadenza regolare. È successo anche la settimana scorsa. Un esempio lampante di come le parole e l’hype mediatico che da esso deriva a volte vanno in direzioni sbagliate, che puzzano di irriconoscenza e danno il merito delle cose a chi non ce l’ha.
Giorgio Moroder l’abbiammo ospitato tra le nostre pagine in occasione dell’intervista condivisa tenutasi a Londra, e ci ha fatto piacere offrirvi le parole di una star con un passato glorioso e la capacità di dire qualcosa ancora oggi. Ma c’è una frase che da allora ci rimbomba in testa come una pallina di ping pong, come una nota stonata che ti spinge a riflettere su quel che ci sta dietro: “Visto che i Daft Punk hanno riportato in auge la disco music, inizialmente volevo produrre un album di disco, ma poi ho capito che bisogna guardare al futuro e ho deciso di puntare sull’EDM, genere a me preferito ora“. Una frase che è sbagliata su così tanti livelli che è impossibile sviscerarli tutti. Ma al di là di quanto brutto sia far musica per quel che va al momento (come se non fosse già abbastanza evidente che l’album lo stai facendo per tirar su soldi e non per urgenza espressiva), suona bizzarro soprattutto sentire Giorgio Moroder dire “visto che i Daft Punk hanno riportato in auge la disco music“. Moroder. Riportare in auge la disco music. I Daft Punk.
Punto primo: i Daft Punk con la disco music c’entrano solo in quanto detentori della scelta a tavolino fatta su “Random Access Memories” riguardo le collaborazione con te, caro Giorgio, e Nile Rodgers. Dare ai Daft Punk il ruolo di restauratori della disco significa che tu il gioco l’hai capito, sai che un affermazione di questo tipo a te conviene di brutto e la tiri fuori nominando i caschetti con cui hai collaborato e che tutti conoscono, giusto per offrire al pubblico un incrocio di riferimenti facili da comprendere. Punto secondo, ancora più importante e di validità generale: come si “riporta in auge” un sound? È davvero possibile che un solo disco di un solo artista possa creare un trend che possa definirsi tale? Il fenomeno musicale, quello che entra in maniera capillare nelle case e nelle orecchie degli ascoltatori di tutti i canali, non dovrebbe nascere dal basso, come tendenza crescente alimentata dalle produzioni di una base concreta di artisti e supportata in parallelo dall’apprezzamento di pubblico? Curioso che questi ragionamenti li stiamo facendo proprio sulla disco, per la quale noi stessi abbiamo registrato un ritorno di fiamma qualche tempo fa. Ne venne fuori un intero articolo. Solo che di artefici di questo ritorno ne abbiamo nominati dieci veri, che la fascinazione disco ce l’hanno nel midollo e la esprimono in quanto esigenza personale, generando un trend visibile supportato dal pubblico. Non sono i Daft Punk i responsabili del ritorno disco. Se dei meriti esistono, van dati a Todd Terje. A Dimitri From Paris. A Breakbot.
Con la differenza che i meriti di Breakbot li riconosciamo solo io, tu e forse il suo manager. Di Breakbot non parla Rolling Stone. Ma ecco, perché Breakbot non è “fenomeno di tendenza“? Il fenomeno mediatico nasce per il successo che il nome ha sul pubblico, o è il pubblico che è guidato dai nomi che i media di riferimento gli offrono giorno dopo giorno? Perché se il caso è il primo, siamo grossomodo nei binari giusti, ma se quel che accade ricade nel secondo, significa che un fenomeno di successo può anche essere architettato in una stanza da parte di una manciata di persone. Basta avere dalla propria una fama e una rispettabilità pregressa (conquistata tipicamente con merito, e qui Giorgio e i Daft Punk calzano di nuovo a pennello), definire un prodotto che abbia appeal e distribuirlo sapientemente nei canali giusti, usando magari le relazioni già consolidate coi media che contano. Poi da lì il fenomeno arriva al pubblico, che è già ben predisposto perché si è già fidato di quei tizi in passato, e di colpo il risultato è stato ottenuto. E anche se paradossalmente il riscontro di pubblico dovesse essere inferiore alle attese non importa, perché grazie ai media il fenomeno esiste già e ne parlano tutti. Volete un altro esempio? Eccolo, recentissimo:
Omar Souleyman è un artista neomelodico siriano con alle spalle centinaia di composizioni fatte su richiesta di intrattenimento per matrimoni, copiate su cassetta e rivendute ai chioschi locali. Canta di amore in lingua araba, va in giro con turbante a quadretti e occhiali da sole. È il Nino D’Angelo del Medio Oriente, insomma. E ha un album in uscita su Monkeytown, diverse partecipazioni a festival di rilevanza internazionale e il singolo che vedete qui sopra, che in un mondo normale non avrebbe mai scavalcato in alcun modo i confini nazionali siriani ma che, per gentile effetto di una manciata di parole chiave tipo il nome della label, la spinta dei Modeselektor e la formula magica “Prod. by Four Tet”, ha raggiunto la visibilità che migliaia di artisti underground oggi vorrebbero e non ottengono. Con l’aggravante che Omar Souleyman, per quanto possa essere intrigante la deriva esotica presa dalla musica occidentale di questi tempi, non è e non sarà mai un esempio di nome che piace al pubblico medio di riferimento. Ma nemmeno lontanamente. Perché la differenza tra il prodotto concepito a tavolino e il fenomeno di successo che colpisce in fronte l’intero pubblico la riconosci subito, anche nello stesso contesto dell’influenza esotica adattata per il pubblico europeo/americano. Tipo il pezzo che passa su tutte le radio proprio adesso:
Col cacchio che il successo di “Lean On” è progettato a tavolino. “Lean On” è il pezzo perfetto per gli amanti del pop che si lasciano intrigare da suoni nuovi, i media ne han parlato il giusto, noi l’abbiam segnalata subito tra le potenziali hit di quest’anno, le radio hanno iniziato a metterlo in rotazione e il pubblico ne è stato letteralmente incantato. Ecco, è così che un fenomeno dovrebbe nascere. Supportato dalla base di fruitori, non imposto dall’alto. Il fatto è che oggi internet è un arma formidabile. Basta pilotare per bene gli eventi e diventi una presenza capillare nel web, ossia nel principale mezzo di alimentazione musicale per il pubblico moderno. E questo, apparentemente, senza che noi ascoltatori abbiam fatto nulla per supportare tale presenza. Ecco, questa distanza tra quel che piace alla gente e quel che tira nei media specializzati infastidisce tutti. Sia i lettori che non riescono a identificarsi in ciò che leggono, sia gli artisti underground che non sanno più cosa fare per ottenere la visibilità che meritano, sia noi stessi media, che vorremmo rispondere al meglio alle esigenze di voi tutti ma a quanto pare non ci riusciamo. Ma ce la mettiamo tutta, e usiamo ogni mezzo possibile. Uno appunto è ragionare sul perché questo avviene e chiedersi: è sempre stato così? Anche in passato, prima di internet? La risposta, a sorpresa, ce l’ha data recentemente un altro fenomeno musicale, uno di casa nostra, supportato dalla base e arrivato al livello di successo a cui ambiscono molti.
Nell’intervista rilasciata a Soundwall Gigi D’Agostino ha voluto precisarlo subito: negli anni ’90 il successo della mia formula era già lì, prima che arrivassero i media a supportarlo. Era la base a deciderlo. Le radio arrivarono dopo, seguendo ciò che piaceva al pubblico e moltiplicando la risonanza della musica grazie ai loro mezzi. Ma queste cose funzionano solo se è il materiale di base che funziona. Altrimenti un pezzo come “Bla Bla Bla” non finisce nella top ten singoli in Austria e in Germania, nemmeno se ci si mettono tutte le radio italiane all’unisono. Per dire che questa forbice tra hype mediatico e ricezione di pubblico c’è sempre stata, è solo accentuata dalla presenza di internet, tramite il quale può diventare più facile pilotare i meccanismi di visibilità. E quando una certa visibilità è già arrivata per mano di pochi pezzi del puzzle, poi non è più colpa del singolo magazine che lo copre. È naturale che il magazine parli dei temi caldi, altrimenti faremmo l’errore opposto di concepire un giornalismo partigiano che, nel nome di una missione editoriale (per quanto giusta possa essere), offrirebbe una visione alterata di ciò che è il mondo musicale oggi. Ma non c’è solo questo. C’è anche un mondo pieno di validissimi produttori da supportare per la loro qualità e non per quanto sono famosi, e meritano lo stesso spazio dei nomi caldi che hanno catalizzato l’attenzione del momento. Con l’obiettivo di avere un sistema di informazione che risponda alle esigenze di tutti, in cui tutti noi vogliam sapere gli hot topic del momento nella speranza che siano tali perché possiedono la qualità che da essi ci si aspetta. Come succede ancora spesso, per fortuna. Di nuovo, un occhio ai social in questo momento e di colpo tutti parlano di Jamie xx. Che per fortuna ha appena fatto un disco di pura qualità, pieno di sfumature e intuizioni di livello che stan convincendo tutti. Meno male.
C’è qualcosa che possiam fare, quantomeno per attutire gli effetti nocivi di questa anomalia di sistema? Sì, e ognuno di noi può dare il suo contributo. Per gli artisti/dj/producers, il suggerimento che sentiamo di dare è quello che in realtà ripete anche chi il successo lo ha già avuto, ultimo dei tanti un’icona per il dj moderno quale Carl Cox: concentratevi sulla qualità della vostra musica, seguite la propria espressività, costruite la vostra personalità e inseguite ciò che avete dentro, non il successo che vorreste avere, perché quello è una variabile impossibile da comandare e, senza le cose di cui sopra, sarebbe fugace e non vi farebbe comunque stare in pace con voi stessi. Per quanto riguarda noi media, quel che possiamo fare è non chinare la testa passivamente, non essere semplici megafoni di ciò che tira oggi ma offrire una visione quanto più completa e trasversale possibile: toccando tutti i generi, supportando prima di tutto la qualità, alimentando rubriche guidate dalla passione comune come Giant Steps, Suoni & Battiti e gli altri frutti delle collaborazioni di tutti, offrendo al contempo la coscienza di quel che tira nella scena musicale globale e, quando ci vuole, muovendo passi critici verso quel che non funziona a dovere, come stiam facendo adesso. E voi lettori, voi avete il ruolo più importante: siate lettori consapevoli. I vostri clic possono essere la ricompensa più efficace ma anche la bocciatura più brutale, quindi sappiate usarli con cognizione di causa. Sappiate andare oltre le apparenze e siate capaci di distinguere i fuochi di paglia dagli risultati della passione, che è la cosa che ci accomuna tutti. Supportate attivamente ciò che vi sta a cuore con la vostra attenzione diretta. Apritevi a ciò che ancora non conoscete e fate in modo che, quando si parla di nomi di qualità che non hanno ancora la visibilità meritata, essi non restino delle pagine isolate che nessuno ha letto perché il nome nel titolo non dice nulla. Evitiamo che la nostra conoscenza musicale resti ancorata esclusivamente a ciò che i social feed ci propongono.
Mettiamoci la testa, tutti quanti, e in modo o nell’altro questo problema lo arginiamo. I Martin Garrix esplosi per una coincidenza di circostanze fortuite e suoni del momento magari esisteranno sempre, ma almeno avremo il piacere di vedere tra i titoli dei nostri magazine di riferimento i nomi che rispecchiano i nostri principi, e non solo ciò che hanno deciso senza di noi. Siamo tutti nella stessa barca, tanto vale smetterla di dar colpe e aiutarci l’un l’altro a mantenerla bella come la vorremmo sempre.