Al solito, se ti capita tra le mani l’occasione, la voglia o semplicemente la fortuna di scrivere qualcosa che concerne la musica elettronica, penso non ci sia modo migliore se non quello di rivolgersi ai diretti interessati. Quello dell’intervista (ultimamente su Soundwall.it ne sono uscite a bizzeffe, chissà perchè…) fa emergere nero su bianco le idee, le impressioni e le emozioni di che ne sa di più, di chi ci lavora, e al solito ciò che emerge è sempre un qualcosa di nuovo. Si certo, generalizzare in un tema così ampio come quello dell’elettronica è un’eresia: non si può rappresentare questo filone musicale da un solo artista…tuttavia, riprendendo quel vecchio adagio “siamo gocce nel mare ma il mare è fatto di gocce”, dare la parola a chi tutti i giorni muove i meccanismi di questo mondo penso sia uno dei pochi modi per ricomporre in maniera corretta il puzzle. Questa volta l’attenzione cade su un artista che fa della musica la propria quint’essenza di vita, la propria guida, che dà sostentamento e gioia. Un’artista che si è innamorato perdutamente dell’elettronica (sia come musica che come strumentazione usata per comporla), ritenuta ed usata come vero ed unico modo per comunicare. Stiamo parlando di Anthony Rother, musicista di professione. Anche questa volta, “quel in più” è uscito, quel qualcosa che aggiunge un’altro pezzettino all’esperienza comune che si può costruire dalle voci dei protagonisti: discussioni sul vinile, le nuove strumentazioni, i nuovi giovani artisti, i luoghi dell’elettronica sono usciti fuori. Inutile raccontarvi tutti, leggere e capirne di più spetta solo a voi!
Perchè fai il dj e cosa ti affascina di questo lavoro?
Ho cominciato fare il dj in una fase piuttosto avanzata della mia carriera artistica. Si potrebbe dire che è sbocciata con l’avvento della tecnologia digitale, poiché non volevo sottostare ad un pubblico che commentasse le mie capacità di mixaggio con il vinile. Ho fatto un piccolo tour in occasione del mio album “My Name Is Beuys Von Telekraft”; una cosa tira l’altra così ho iniziato a suonare la mia musica ai piatti, per così dire. Quello che preferisco nel fare il dj con l’attrezzatura digitale è il fatto che ho tante possibilità nel gestire la musica, il campionamento e, in generale, sviluppare la mia arte. Ed è iniziato a piacermi davvero troppo.
La musica è forse la forma d’arte più emozionale e diretta: si trasmettono emozioni diverse al variare delle sonorità scelte. Tu cosa cerchi di trasmettere con la tua musica?
In linea di principio, quello che sto cercando di descrivere sta al di là delle parole. Le emozioni che voglio generare sono tutte espresse nella musica che faccio. Se dovessi spiegarlo in modo corretto, direi che le emozioni nascono nel processo creativo. In sostanza, la musica mi porta dove voglio andare, non il contrario.
Quando hai capito che fare il dj sarebbe stato il tuo lavoro? Cosa diresti a tutti quelli che pensano che fare il dj/musicista non sia un vero lavoro?
Nel complesso, mi sono sempre considerato un artista – una persona che produce musica, racconta storie e crea emozioni. Il dj è solo uno dei tanti modi che mi permette di esprimermi. Per quanto riguarda il dibattito sulla questione se il mio lavoro è un lavoro vero e proprio, bhe, per me non vi è alcuna discussione.
Come è cambiato negli ultimi anni l’idea del dj secondo te? Cosa ne pensi del fatto che oggigiorno tutti vogliono suonare?
La figura del dj è cambiata molto negli ultimi anni, ma l’idea di base rimane la stessa. La scena è diventata molto più democratica, l’accesso ai brani è più facile che mai. I dj in erba possono facilmente ottenere la loro musica online, quindi non devono più fare i conti con i negozi di dischi o le etichette discografiche, quindi di fatto tutti possono essere dj, se lo vogliono. Tuttavia, un’altra cosa è definire questa figura nell’ambito lavorativo: è il gusto personale del dj nella musica che fa la differenza. La vera arte di dj risiede nella selezione dei brani. E’ lì che si comprende se qualcuno è un vero artista o no.
Pensi che oggi il motivo per cui tutti vogliano suonare sia più legato ad un fatto di immagine e all’idea di divertirsi e fare soldi facili? Pensi che così il livello musicale nel campo dell’elettronica (alla lunga) possa abbassarsi?
Tutti noi abbiamo una parte di responsabilità nel costruire l’immagine della scena musicale ed il suo sviluppo a lungo termine. Riviste come Soundwall, promotori, società di distribuzione, etichette, artisti, dj, ed, infine, gli stessi scommettitori. Siamo noi i fattori che permettono di mantenere sul campo un certo livello di qualità artistica. Il mio modo di vedere la cosa si basa su due criteri che sono fondamentali per il continuo successo della scena: arte e piacere. Se entrambi sono presi in considerazione e ne siamo tutti consapevoli, e se siamo consapevoli del fatto che la qualità è la chiave, mi sento sicuro di dire che stiamo facendo la cosa giusta.
Produzioni. Cosa ne pensi del fatto che oggi molte etichette producano unicamente in digitale e non più in vinile? Credi che ormai i dischi (il simbolo per eccellenza del dj) non verranno più venduti?
Io non ci vedo nulla di male, in modo particolare, nella musica digitale. A dire il vero, un sacco di errori sono stati fatti nel periodo del vinile. I distributori sono stati completamente sommersi da nuove uscite e questo non è riuscito a tutelare i consumatori a causa di un eccesso di offerta. La qualità certamente ne ha sofferto e ci ha mostrato che al giorno d’oggi abbiamo certamente bisogno di una struttura per garantire la qualità della musica in generale.
Come ti organizzi per preparare un live set? Che hardware usi? Noti ci sia differenza nel preparare un set in un club o in un festival all’aperto? Cosa prediligi tra i due?
Solitamente adotto una configurazione hardware piuttosto di grandi dimensioni che uso per tutti i miei live set. Faccio tutte le disposizioni in diretta, anche la voce, ed inoltre improvviso molto. Sul palco di solito presento l’essenza del mio lavoro in studio, una sorta di concentrato. I club hanno un atmosfera molto intima per il live set, dove la comunicazione con il pubblico è molto più vicina. Nei festival si ha un’energia diversa. La dimensione è molto più grande, e sebbene non sia a diretto contatto con il pubblico, riesco sempre a reagire alla folla. Non direi che preferisco avere una somma dei due, entrambi hanno caratteristiche che mi piacciono.
Parlando di tendenza, da sempre Ibiza è il tempio della musica house e dei locali più famosi. Quali pensi diventeranno i luoghi simbolo della musica elettronica nel futuro? Quali sono per te i locali più famosi e dove ti piacerebbe suonare?
Mi piace suonare a buoni eventi. Tutto qui. Quando si tratta di location famose, non credo che una festa ad Ibiza è una bella festa solo perché è a Ibiza. Io suono perchè mi piace suonare, e per servire la causa: ho partecipato a strabilianti eventi anche in mezzo al nulla o nei piccoli centri.
Tra le location più famose, non possiamo che citare il DC-10, vero e proprio luogo cult della club culture. Ti sei esibito lì poco tempo fa, nella serata “Paradise”. Cosa ne pensi e cosa ti piace di questo locale?
Recentemente ho suonato lì e, sì, era sensazionale! Il pubblico era veramente interessato alla musica ed ha davvero apprezzato il set. Era evidente quanto fossero aperti e come non si aspettassero che suonassi nulla di specifico, ma apprezzavano solo quello che avevo da offrire. La loro apertura mentale ed il loro famoso piacere per la musica sono stati una grande combinazione.
English Version:
As usual, if you happen the occasion or the chance to write something concerning electronic music, I think there is no better way than to consult the parties concerned. The interview (most recently on Soundwall.it interviews it came out a lot, I wonder why…) brings out the ideas, impressions and emotions of those who “know more”, those who work there, and as usual what emerges is always something new. Of course, generalize in a subject as large as that of electronics is an heresy: you can not represent this world by a single artist… however, taking that old adage “we are drops in the sea but the sea is made of drops”, give voice to those who every day moving the mechanisms of this world i think is one of the few ways to properly reassemble the puzzle. This time the attention is on an artist who makes music his quintessence of life, his own guide, who gives him sustenance and joy. An artist who is madly in love with electronics music (both as music and as equipment used for composing it) that is considered as the only true way to communicate. We’re talking about Anthony Rother, professional musician. Also this time, something of new came out, something that adds another piece to the common experience that you can build from the voices of the protagonists: discussions on vinyl, new equipment, new young artists, the places electronics are gone out. Needless to tell you all, read and understand more is yours!
Why do you do the dj and what fascinates you about this job?
I actually started djing at a fairly late phase in my artistic career. You could say it blossomed with the advent of digital djing technology, as I didn’t want to subject audiences to my vinyl mixing skills. I went on a small dj tour for my album “My Name Is Beuys Von Telekraft”; one thing led to another and I started developing my music at the turntables, so to speak. What I prefer about djing with digital music is the fact that I have so many more possibilities for layering music, sampling it and generally developing my art. And I seriously enjoy it too.
Music is perhaps the more emotional and direct form of art: it transmits different emotions to the varying of sound. What are you trying to convey with your music?
In principle, what I am trying to describe is beyond words. The emotions I want to generate are all expressed in the music I make. If I really wanted to explain it properly, I would say the emotions arise in the creative process. In essence, the music leads me to where I want to go, not the other way around.
When did you realize that being a dj was your job? What would you say to all those who think that being a dj/musician is not a real job?
On the whole, I have always considered myself an artist – someone who produces music, tells stories and creates emotions. DJing is just one aspect of that which allows me to express myself. As far as the debate on whether my job is a proper job is concerned, there is no discussion for me.
How has it changed, in recent years, the idea of the dj in your opinion? What do you think of the fact that nowadays everyone wants to play and be a dj?
DJing has changed a lot in recent years, yet the core idea remains the same. The scene has become a lot more democratic, access to tunes is a easier than ever. Budding djs can get their music online and are no longer dependent on record stores or record labels, and everyone can express themselves as a dj, if they want. Nevertheless, one thing will always define the job: the dj’s taste in music. The true artistry in djing lies in the selection of tracks. That will always define whether someone is a true artist or not.
Do you think that today the reason everybody wants to play is more related to a matter of image and idea of having fun and making money? In this way, there is a risk that electronics music level (in the long run) may lower?
We all share a part of the responsibility for the scene’s image and its long-term development. Magazines like Soundwall, promoters, distribution companies, labels, artists, djs, and finally, the punters themselves. We are all factors in ensuring that the field retains a level of artistic quality. The way I see it two criteria are central to the continued success of the scene: art and pleasure. If both are taken into consideration and we all remain aware and conscientious of the fact that quality is key, I feel secure that we are doing the right thing.
Productions. What do you think about the fact that today many labels produce only in digital and not in vinyl? Do you think that by now vinyls (the symbol par excellence of the dj) will disappear?
I don’t particularly see anything wrong with digital music. Truth be told, a lot of mistakes were made in the days of vinyl. The distributors were completely swamped with records and failed to safeguard consumers from the oversupply. The quality certainly suffered and showed us that we certainly need a little more structure nowadays to ensure the quality of the music in general.
How to prepare a live set? what hardware do you use? Do you note there is a difference in preparing a set in a club or an outdoor festival? What do you prefer between the two?
I have quite a large hardware setup that I use for all my live sets. I do all the arrangements live, the vocals too, and I also improvise a lot. On stage I normally present the essence of my studio work, it’s a concentrated jam, you could call it. Clubs have a very intimate atmosphere for playing live sets, where the communication with the crowd is a lot closer. Festivals have a different energy. The size is a lot more awe-inspiring, and while I may not be quite as close to the audience, I can still react to the crowd. I wouldn’t say I prefer one over the other; both have qualities I enjoy.
Speaking of trends, Ibiza is the temple of house music and club culture. What do you think will become the landmarks of electronic music in the future? What are the most popular clubs for you and where you’d like to play?
I enjoy playing at good events. Full stop. When it comes to hotspots, I don’t believe a party in Ibiza is a good party just because it’s in Ibiza. I play to play, and to serve the cause, but I have also experienced mind-blowing events in the middle of nowhere or in small towns.
Among the most famous locations, we can only cite the DC-10. You have played there during the event “Paradise”. What do you think and what you like about this club?
I recently played there and, yes, it was sensational! The audience was truly interested in the music and really enjoyed the set. You could really feel how open they were and how they weren’t just expecting me to play something specific, but just enjoyed what I had to offer. It was a great combination, their open-mindedness and their obvious pleasure in the music.