Erano giorni, settimane che ripetevo un po’ a tutti: “Tenete d’occhio la Serbia”. Non perché le mie origini arrivino da lì (e dalla vicina Croazia), ma per un motivo molto più diretto e significativo: è stato il governo di Belgrado il primo a “riaprire” tutta una serie di cose, a partire da club e discoteche – il primissimo filmato europeo di club pieno e festante arrivava dalla Barutana di Belgrado – proseguendo per le manifestazioni sportive (le immagini del derby tra Partizan e Crvena Zvezda hanno fatto il giro del mondo, generando anche sconcerto: mentre in tutta Europa e praticamente in tutto il mondo le partite erano – e sono – ancora a porte chiuse, nella capitale serba gli spalti erano invece gremiti e molto, molto assembrati).
Ne avevamo già parlato qui. Dicendo come perfino l’Exit avesse ricevuto l’esortazione ufficiale del governo serbo per non far saltare l’edizione di quest’anno. Sottolineavamo una postille importante, fondamentale: tutta questa baldanzosità era da prendere con le pinze, poteva anche essere una cinica e spericalata manovra pre-elettorale del padre-padrone della nazione, il presidente Vucic, uno che controlla la stragrande maggioranza dei media e delle istituzioni, che in vista del voto del 21 giugno 2020 voleva dimostrare che era più forte del Coronavirus, che era in grado di uscire fuori dalla pandemia prima e meglio di tutti, gestendo in maniera favolosa l’emergenza.
Come è andata? E’ andata che le elezioni Vucic le ha vinte, anzi, stravinte, ottenendo quasi il 63% dei voti; ma va anche detto che la quasi totalità delle opposizioni ha chiamato al boicottaggio, come forma estrema di protesta contro il regime ben poco liberale e di “dittatura morbida” che anno dopo anno il premier/presidente ha inferto al paese. Ma è andata anche che, sarà una coincidenza?, i dati dei nuovi contagiati in Serbia hanno ripreso a salire, subito ad urne chiuse, e anzi si sono levati rumours secondo cui in tutto io periodo precedente le istituzioni avessero volutamente “ammorbidito” le cifre reali, abbattendole di due terzi.
In questo momento il quoziente medio dei nuovi contagiati giornalieri in Serbia è infatti superiore a quello riscontrato in Italia, e ricordiamo che la popolazione della repubblica balcanica è circa un ottavo di quella italiana. Si parla molto di nuovi focolai (a Novi Pazar, ad esempio), e il presidente Vucic se da un lato rassicura dicendo che “…è tutto sotto controllo, a partire dal focolaio di Novi Pazar”, dall’altro comunica alla popolazione che “A Belgrado la situazione è grave, la ricettività delle strutture ospedaliere è arrivata praticamente al limite” (tra l’altro, nel principale palasport della capitale serba, il più grande d’Europa con la sua capienza di oltre 20.000 posti, sono stati allestiti 500 posti letto per l’emergenza) e soprattutto annuncia un nuovo lockdown: nel prossimo weekend, a Belgrado e salvo colpi di scena in tutta la nazione scatterà il coprifuoco dalle dalle 18 di venerdì fino alle 5 del mattino di lunedì (possono uscire, per una breve passeggiata, solo i proprietari di animali domestici), vietando comunque sin da ora ogni forma di assembramento.
Insomma: il tanto temuto “secondo lockdown”, un problema su cui anche in Italia si sta discutendo. Così come in Italia si sta discutendo tanto sull’opportunità di aver riaperto bar, ristoranti e, soprattutto, discoteche e concerti. La reazione di parte della popolazione serba a questo annuncio è stata drastica: assalto al Parlamento, tentativo di irruzione, situazione normalizzata solo nel cuore della notte, dopo almeno cinque, sei ore di guerriglia, lacrimogeni, sassaiole.
(Alcune immagini da Belgrado ieri sera, qui l’ingresso del Parlamento; continua sotto)
Fino a che punto è giusto fare parallelismi diretti fra Serbia ed Italia? Fino a che punto la recrudescenza pandemica a Belgrado può poter significare che da noi si sta sbagliando a riaprire gradualmente?
Risposta: il parallelismo ci sta, va tenuto in conto, ma solo fino ad un certo punto. Per quanto inetto ed incerto possa essere stato il nostro governo (assai perdonabile su come reagire al Covid-19, visto che nessuno ancora conosce e capisce veramente questo virus; molto colpevole nei ritardi su assistenza a cassintegrati e liberi professionisti), nessuno a parte qualche frangia di inguaribili complottisti arriva a pensare che i dati sanitari siano stati e siano costantemente “addomesticati” per finalità politiche. In Serbia invece questo è più di un sospetto, ed è soprattutto da lì che nasce la rabbia della popolazione verso questo “secondo lockdown”: non tanto per la misura in sé, quanto per il comportamento ipocrita del governo (ipocrisia che non accenna a diminuire, visto che Vucic interrogato sul fatto se fosse pentito di aver permesso una riapertura anticipata ed integrale ha avuto l’ardire di rispondere così “L’apertura l’ho concessa io, sì, ma l’avete voluta voi giornalisti e la parte di popolazione a me ostile. E’ colpa vostra, colpa delle vostre insistenze”, come se lui non fosse ormai una specie di padre-padrone della nazione. Quando vi lamentate della classe politica italiana, ricordatevi che c’è chi sta molto peggio).
Per quanto riguarda i dati sanitari, la situazione in Serbia – anche facendo una tara ragionevole ai numeri, togliendo il probabile maquillage da propaganda opportunista – è tornata ad essere seria ma non ancora drammatica. Una riapertura integrale ed incondizionata di sicuro insomma non migliora le cose e si sta dimostrando col senno di poi prematura, almeno in quei territori, ma non riporta automaticamente al picco dei momenti peggiori. Almeno al momento. Quello che bisogna fare in Italia è monitorare con feroce attenzione la situazione, attimo dopo attimo: vale per le regioni dove la riapertura è quasi totale, vale per quelle ancora molto, molto prudenti. Quello che non bisogna fare è tornare a criminalizzare solo i club e le discoteche, come abbiamo già visto fare negli ultimi giorni: non si capisce perché per molti gli “unici untori” siano loro, e tutto si gioca sul fatto di doverle tornare a sbarrare.
O meglio, lo si può capire per due fattori: uno è il retaggio para-religioso per cui il divertimento è visto come una “colpa”, il secondo invece è l’effettiva, storica tendenza dei gestori di discoteche e club (di alcuni gestori, ecco…) ad essere abbastanza elastici nel seguire le normative. Stanno girando alcune foto in questi giorni di dancefloor davvero pieni ed assembrati: nulla di male se fatto rispettando al dettaglio le normative attuative regionali; molto, molto male se invece si arriva a tanto seguendo le solite scorciatoie da furbi, facendo il gioco delle tre carte tra metrature, spazi agibili, luoghi indoor fatti passare per outdoor includendo furbescamente aree esterne non utilizzate. E questo sta succedendo, qui e là. I soliti “furbi”: quelli che facevano nero (ma con la scusa della pressione fiscale assurda ed insostenbile), che non rispettavano le norme di sicurezza (con però la giustificazione che fossero in qualche caso insensate come durezza, come in effetti talora sono); ma a fare i “furbi” con una pandemia aleggiante, beh, le scuse giustificate o ingiustificate iniziano a venire a mancare. Anche perché un secondo lockdown davvero, non è detto che ce lo possiamo permettere – salvo portare il paese nel caos più drammatico, in una deriva di matrice sudamericana.
Riassumendo: in Serbia la situazione è precipitata in primis per l’irresponsabilità e la stronzaggine del governo, in Italia potrebbe precipitare prima di tutto se ci sarà irresponsabilità e stronzaggine da parte degli imprenditori. In entrambi i casi la popolazione può avere le sue colpe ed anzi deve assumersi le sue responsabilità, non “giocando” con la salute, ma in fasi come queste il buon esempio deve arrivare dall’alto prima di tutto: da chi gestisce l’ordinamento legislativo, da chi porta avanti un’attività aperta al pubblico.
Una cosa è certa: non è ancora il momento di abbassare la guardia. Il Coronavirus può essersi indebolito, può aver fatto gran parte del suo corso in Europa (ma appunto: le seconde ondate non sono impossibili), il ritorno però ad una piena normalità ancora non è annunciabile, parlano i fatti, incontrovertibilmente. Il dovere della politica è trovare il giusto compromesso tra salute fisica, salute mentale, salute economica: nessuno dei tre elementi va trascurato ed anzi, sono profondamente interdipendenti tra di loro. In un equilibrio in costante mutamento ed aggiornamento. La politica che gioca solo a mantenere se stessa e a piegare la realtà per la propria propaganda, è un male assoluto; vale per Vucic, ma vale anche per chi urla all’emergenza letale invocando interventi drastici o, al contrario, al “Liberi tutti!” solo per lucrare consensi.
Ah, a proposito di liberi imprenditori coscienti, consapevoli, responsabili: lo stato maggior di Exit, in linea con alcuni dei maggiori festival estivi serbi, ha diramato un comunicato secondo cui visto il peggiorare delle situazioni sanitarie in Serbia i loro eventi in ogni caso o non si svolgeranno, o si svolgeranno in misura ridotta e fondamentalmente simbolica. Questa prima di qualsivoglia deliberazione legislativa del governo (e, incidentalmente, rigettando gli inviti di Vucic&co. di qualche settimana fa ad andare avanti senza paura, senza esitazioni). Anche in Italia, ad inizio pandemia, è successo che molti gestori di club abbiano preferito non aprire prima ancora dell’inizio ufficiale da lockdown: nel cosiddetto “mondo della notte e del divertimento” ci saranno anche cinici egoisti avventurieri, ma ci sono altrettante persone con invece un senso civile da portare ad esempio. Un po’ come in tutte le categorie. A partire da quelli seduti nel nostro Parlamento. A partire, anche, da noi.