Recensire l’album di un artista del calibro di Armin van Buuren, non è assolutamente cosa semplice, perché in questi casi, si sa, approcciarsi all’ascolto con in testa la vocina che ripete “si, carino, ma da lui mi aspettavo qualcosa in più” è facile quanto rischioso. In un periodo tutto sommato florido per la trance, ma caratterizzato da una sostanziale spaccatura tra il filone dei puristi e quello che invece strizza l’occhio a sfumature electro house (più basse di bpm e, se vogliamo, un po’ più commerciali), Armin, con “Intense”, cerca di accontentare un po’ tutti, rimanendo sulla linea della via di mezzo (la cosa non stupisce affatto, basta ascoltare anche una sola puntata di “A State Of Trance” per credere).
L’album si apre con la intro strumentale della title track “Intense”, nella quale spicca una struggente sviolinata di Miri Ben-Ari (apprezzata violinista Israeliana con all’attivo eclettiche collaborazioni che spaziano da John Legend al Wu-Tang Club), cui segue il solito giro di accordi minori eseguiti dal lead “big room”, ed un interessante break di spunto dubstep in cui a farla da padrone è ancora il violino di Miri. La ripartenza non è travolgente, ma ne fa un pezzo tutto sommato suonabile, anzi, particolarmente adatto ad aprire un set come quelli a cui Armin ci ha abituato. Segue la preannunciata radio hit “This Is What It Feels Like”, frutto del featuring con il cantante canadese Trevor Guthrie; una traccia dal retrogusto pop, trasformata in “dancefloor killer” da una serie di remix (ottimo quello di Giuseppe Ottaviani, sorprendente ed energico quello di Antillas & Dankann, scontato quello dei W&W e al limite del ridicolo la scelta di commissionarne uno anche a David Guetta), rilasciati in un EP separato. Conoscendola ormai quasi a memoria, e consapevole del fatto che nei prossimi mesi la sentirò svariate volte, passo oltre: “Beautiful Life” e “Waiting For The Night” sono due pezzi progressive, caratterizzate da suoni morbidi, ritmi non ossessivi e bei cantati, rispettivamente da parte di Cindy Alma e Fiora.
Il rolling bass e il synth iniziale di “Pulsar” mi danno l’illusione di un cambio di marcia, che svanisce quando, nel bridge verso il secondo ritornello vengono sovrastati dal solito sawtooth synth che mi accompagna fino all’outro ripetendo una linea melodica poco originale e per nulla coinvolgente. Prima di ritornare a sonorità progressive house, decisamente “happy”, di “Alone” (feat. Lauren Evans) e “Turn This Love Around” (collaborazione con le Nervo con il vocal di Laura V), si passa per “Sound Of The Drums”, traccia molto interessante che si presenta con un lento assolo di pianoforte sul quale si inserisce la voce di Laura Jansen, e, dopo un piccolo breakdown, un riff di synth che ricorda vagamente “Skyfire” di Shogun, ma comunque molto apprezzabile anche nella ripartenza.
Con “Won’t Let You Go” e “Last Stop Before Heaven”, le due più cupe e club-oriented dell’album (separate da “In 10 Years From Now”, un minuto di atmosfere strumentali che fa da intro alla seconda), si inizia a salire di bpm, e senza che me ne accorga, mi scappa un sorriso. Mi godo “Forever Is Ours”, in cui gli acuti di Emma Hewitt sono sufficienti a farmi venire i brividi, e “Love Never Came”, accostabile come sonorità agli ultimi Above & Beyond (o forse è solo la voce di Richard Bedford che mi suggestiona), e arrivo a quella che reputo la traccia più controversa dell’album: “Who’s Afraid Of 138?”, ovvero quella che dovrebbe, nelle intenzioni, riabbracciare il sound uplifting osannato dai puristi come unica vera trance: l’avevo già sentita durante l’A State Of Trance 600 di Den Bosch, dove Armin l’aveva presentata in anteprima mondiale suonandola come opening track del suo set nell’omonima sala (si, le vie del marketing sono infinite!), ebbene, anche dopo l’ascolto “a freddo”, confermo l’impressione che ho avuto al festival, ovvero di una traccia ben costruita (buone la ritmica e la bassline, non male anche il build up), ma che ha poco da dire sul piano melodico e che, nel complesso, non stupisce. Il tentativo è meglio riuscito con la bonus track (disponibile solo su iTunes) “Humming The Lights”, pubblicata con lo pseudonimo Gaia.
Il disco si chiude con una particolare interpretazione della melodia “Who’s Afraid Of 138?” in chiave orchestrale-rock, insieme ai Bagga Bownz, band olandese di cui è chitarrista Eller Van Buuren, non nuovo a collaborazioni con il fratello maggiore. Conclusioni: è il migliore album dell’anno? Assolutamente no. E’ il migliore album di Armin? Neanche. E’ un album trance? Per chi, come me, considera il genere a 360°, decisamente sì. Intense ripercorre le sfumature e le influenze di questo periodo, su alcune si sofferma maggiormente, di altre fa solo un veloce richiamo, ma contiene gran parte di ciò che è oggi (e sarà nell’immediato futuro), la trance. “Intense” è LA trance, e non esiste trance al di fuori di “Intense”? Beh, qua la risposta è facile.