In una loro celebre canzone, gli Articolo 31 cantavano “Alzo il volume della radio cambio faccia al pianeta, Milano ha un cielo blu seta ed è una grande discoteca”. Il primo tassello perché queste rime un giorno possano diventare realtà è stato messo questo sabato. Ho preferito attendere un paio di giorni prima di scrivere quanto segue, per due semplici motivi. Innanzitutto non far si che le emozioni a caldo traviassero la mia lucidità nel riportare quanto è successo, e soprattutto perché ero molto curioso di leggere i commenti di quelle che solitamente in questa città sono le due “campane” dell’opinione pubblica: i media, che rappresentano spesso quella fetta di cittadini che vorrebbe sentire Bruce Springsteen cantare sottovoce e la movida maleducata relegata in periferia come fosse un fenomeno da ghettizzare. E poi ovviamente i clienti, da quelli più entusiasti ai critici più accaniti.
Del resto si sa, la comunità musicale a Milano è sempre stata sotto sotto un pò vittima di se stessa e delle proprie contraddizioni. Forse la nostra indole, la nostra costante freneticità, ha fatto si che iniziassimo a prenderci talmente sul serio da andare più veloci dei nostri stessi passi, spesso magari pestandoci anche i piedi da soli. E quando una città intera sembra non veder l’ora di dire “Ve l’avevo detto” è anche facile cadere vittime del proprio desiderio di rivalsa. L’esempio che balza all’occhio è quello di Maximal. Tante, tantissime buone intenzioni, nomi grossi in consolle, la voglia di regalare ai ragazzi di Milano un punto di riferimento fisso, ma allo stesso tempo un salto nel buio così grande da richiedere sacrifici ed accortezze che probabilmente i giovani organizzatori all’epoca ancora non erano in grado di garantire.
Dicevamo recentemente in un nostro editoriale che sbagliare è lecito, ma perseverare è diabolico. Cadere a terra fa male ma aiuta a rialzarsi consci di quello che può succedere se si alza troppo l’asticella. L’errore più grande che si possa fare è cercare la rivalsa dopo una batosta, puntare il doppio o niente, convinti di aver avuto solo sfortuna. Nella maggior parte dei casi il risultato è un disastro, il secondo anno di Maximal e (più recentemente) di Soundrome ce l’hanno fatto vedere chiaramente.
Quando mi è arrivato all’orecchio, mesi or sono, che si sarebbe tenuta una Street Parade per le vie di Milano, l’idea che ne potesse venir fuori una polemica grossa come il Duomo mi ha subito rimbalzato in testa. In realtà, le settimane che hanno preceduto l’evento, anche a livello mediatico, sono state inconsuetamente prive di eccessivi malumori (forse i media erano più occupati sulla questione del gelato di mezzanotte). Quando si è arrivati alla vigilia della festa, la curiosità del sottoscritto, non ve lo nascondo, era moltissima. Mentre mi preparavo per andare alla festa pensavo a cosa mettermi per immedesimarmi al meglio nello spirito di questa manifestazione. Ho pensato che mettere una maschera di V per Vendetta potesse simboleggiare la forte voglia di ribellione che pervadeva l’animo di chi partecipava ed organizzava (dei fogli con la faccia di Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi erano attaccati su diversi dei carri). Ma in fin dei conti era un giornata di festa. E allora ci ho schiaffato sopra un bel paio di occhialoni. Il risultato è stato quello di un simbolo di ribellione positiva, di quel non prendersi troppo sul serio di cui tutti, almeno ogni tanto, avremmo un pò bisogno. E questa Street Parade ha dimostrato proprio questo. Ci siamo e abbiamo voglia di divertirci in modo intelligente, senza per forza trascendere nelle etichette che ai media tanto piace affibbiarci.
Fin dalle 15, nonostante fossimo nel bel mezzo di un sandwich cocente di afa e asfalto, sotto il Pirellone i carri (ne ho contati più di 10) hanno sparato musica che variava dalla chillout fino alle psytrance più esplosiva. La gente inizialmente non era moltissima ma una volta che la carovana ha cominciato a muoversi lungo il percorso (circa un paio d’ore dopo) era difficile vedere dove finiva la folla. L’unica cosa che mi spiace è che la Parade effettiva sia durata non più di un paio d’ore, gli autisti dei mezzi forse avevano fretta! Una volta arrivati a destinazione, il tutto è continuato fino a tarda notte, confluendo nella Festa della Musica che per tutto il weekend ha riempito per bene il Parco Forlanini.
Gli organizzatori, quell’Intellighenzia Electronica che porta sulle spalle l’eredità di Maximal (ma, bisogna riconoscerglielo, anche di tanti anni di feste ben organizzate nei club), a qualche anno di distanza da ciò che è stato, si sono fatti trovare pronti a mettersi nuovamente in gioco. E fin da subito si è capito che qualcosa rispetto al passato era cambiato: quanto visto non era più frutto di un’organizzazione di pancia, ma di qualcosa costruito con criterio e consapevolezza dei propri mezzi. Lo si legge negli occhi di Tommaso Marasma, uno degli organizzatori, mentre mi dice “Non abbiamo voluto fare il passo più lungo della gamba” che la lezione è stata imparata e il risultato finale è infatti proprio quello che si cercava.
Ma qual è il massimo risultato che una manifestazione del genere può ambire ad ottenere? Ovviamente non si tratta di fare il pienone fin da subito (anche se un buon 5000 persone penso ci fossero) o di portare sui propri carri gli headliner di un festival estivo di livello mondiale come a Berlino o Zurigo. La cosa fondamentale per questa prima edizione (interamente autofinanziata dagli organizzatori) era che tutto andasse come doveva, senza situazioni che potessero dare adito al milanese medio di inveire contro i giovani che spaccano e imbrattano e fanno casino in giro per la città. La cosa importante era poter offrire una bella giornata di musica e cultura, senza esasperazioni e col massimo del rispetto e dell’educazione. Avere la possibilità negli anni a venire di ripetere quanto accaduto questo sabato sarà sicuramente il massimo risultato ottenibile, oltre che un importante precedente. E con le conferme arriveranno investitori nuovi, pronti a puntare su un format funzionante, così come sempre più persone accorreranno imbeccate da chi ci è già stato. Il meccanismo sembra essersi avviato, incrociamo le dita e chi vivrà vedrà. Quel che è certo è che questa volta quel “Ve l’avevo detto!” è rimasto strozzato nella gola di tutti coloro che non aspettavano che una scusa per affossare nuovamente il tentativo di rendere Milano qualcosa di più di una città dormitorio.