Metti su “AMOK”, senti i primi 90 secondi monopolizzati da quella chitarrina maliziosa e subito ti assale l’orribile immagine di un Thom Yorke reinventatosi Red Hot Chili Pepper. Poi rifletti sugli Atoms for Peace, il chiacchieratissimo supergruppo di Flea (RHCP, appunto), Mauro Refosco (come sopra), Joey Waronker (Beck, R.E.M.), Nigel Godrich (Radiohead) e del vero baricentro Yorke, e ti tornano in mente gli stessi sospetti emersi la prima volta che ne avevi sentito parlare: è più o meno da In Rainbows che il leader dei Radiohead sta rifacendo sempre la stessa canzone, anche quando ha coinvolto nomi come Flying Lotus, Modeselektor, Apparat, Burial o Four Tet che sulla carta avrebbero dovuto dare un’impronta marcata. Dopo cinque anni passati a rimestare il proprio stile, l’annuncio di una collaborazione eccellente come questa suonava come il capriccio di una star con tanta voglia di giocare, e quel minuto e mezzo ti mette tanto alla prova che quasi ti arrendi all’evidenza: non resta che gettarsi nella mischia, farsi una dose massiccia di retromania e rifugiarsi in quegli odiosissimi dibattiti web su quale sia il miglior disco tra Ok Computer, Kid A e Amnesiac.
E invece no. Quella “Before Your Very Eyes…” in apertura poi sboccia bene, il ritmo si fa incalzante e le ambientazioni volgono al raffinato, in quel gioco di rifrazioni jazz che Yorke sa rendere in maniera tanto personale. Ma a convincere è la successiva “Default”, che suona tanto come la cosa migliore fatta dai tempi di Hail To The Thief: quel breakbeat cattivo esalta l’androginia della voce ma la novità è sentirlo finalmente cinico, risoluto di fronte ai propri mostri, intento a capovolgere le immagini di vittimismo esistenziale coltivate nei Radiohead. Il percorso di contaminazione elettronica ottiene finalmente un risvolto di termini di energia, e stavolta non si tratta di estemporanea influenza derivata dal recente passaggio del FlyLo di turno (per rispondere alle interpretazioni semplicistiche venute fuori per The King Of Limbs), ma del punto di arrivo di un percorso di lenta mutazione, verso uno stile che adesso appare compiuto e fiero di sé.
La consistenza dei ritmi e delle soluzioni è marcata e lontana da qualsiasi tenuta rock, con pezzi come “Dropped” il disco ha persino una sua dimensione ballabile, distante anni luce da certe atmosfere religiose chieste ai concerti altezza Ok Computer. Questo è un deciso passo avanti rispetto a “Lotus Flower” e “…And The World Laughs With You”, dove “Unless” e “Reverse Running” assorbono sottopelle certe teorie glitch pungenti e “Judge, Jury and Executioner” mostra orgogliosa la sua complessità strutturale coi sempre affascinanti 7/8. Quando “Amok” chiude, quei vocalizzi rarefatti son pienamente soddisfacenti, proprio per la controparte ben concreta degli accompagnamenti a contorno. Thom Yorke ha trovato il suo nord in questa netta quanto lucida veste elettronica, e a questo punto ai Radiohead non resterà che andargli dietro.