Due pianoforti a coda, una batteria, un MPC e qualche portatile, dal punto di vista strumentale questo sono gli Aufgang e direi che anche solo guardando a questo particolare set-up, di domande e curiosità ne vengono. Incursioni classiche, melodie orecchiabili e non, potenti aperture, groove incisivi e un’infinità di influenze, anzi, di richiami alla musica del mondo. Francesco Tristano (piano), Rami Khalifé (piano) e Aymeric Westrich (batteria) costituiscono uno dei trio più interessanti del momento, un trio che, come loro stessi hanno tenuto a precisare, non si inserisce in un’unica scena, non si inserisce in una linea sonora definita, bensì si evolve costantemente mantenendo il suo status, quello di un perenne work-in-progress. E indovinate un po‘ quale sia stata la culla di questo progetto? New York City! Sinceramente non penso sia una coincidenza… Francesco e Rami, studenti presso la prestigiosa Julliard Shool, iniziarono ad improvvisare assieme a fine lezione; in seguito con l’arrivo di Aymeric a NYC i tre iniziarono a cercare la sinergia, il proprio sound, una ricerca che si concretizza fra studi classici, blues, elettronica, club newyorkesi e, usando le loro stesse parole, alcune “serate educative”.
Il format di questa intervista è leggermente diverso dal solito, non si presenta con la classica e regolare struttura “domanda-risposta”, bensì è un vero e proprio ping-pong forsennato fra noi e loro, ma soprattutto fra i ragazzi che non perdono veramente occasione per scherzare e ricordare alcuni episodi della loro crescita; Francesco ogni tanto cerca di mettere i puntini sulle i tentando di fare ordine nei discorsi (per questa cosa che ho detto Rami e Aymeric lo tartasseranno non poco!), ma l’inclinazione al cazzeggio è forte e forse, metaforicamente parlando, è proprio questa che rende il progetto così genuino. Brano consigliato per la lettura? “Sonar”!
Ciao ragazzi, benvenuti su Soundwall!
Mi farebbe piacere cominciare chiedendovi degli albori della vostra passione per la musica: si può dire che tutti la amano, chi più e chi meno. Poi c’è chi, come voi, invece di fermarsi all’amore per la musica, decide di andare oltre, decide di crearla. Cos’è che nelle vostre rispettive vite ha determinato questa scelta, quand’è che avete deciso di dedicare la vostra intera vita alla musica?
Francesco: C’è stato un momento, quando avevo 12 o 13 anni, in cui decisi che sarei diventato un musicista. A quel punto, una volta fatta la mia scelta, dovevo solo iniziare a suonare e studiare pianoforte in maniera veramente seria, invece di continuare a giocare e a contare solo sul mio talento. Ora che sono un musicista invece vorrei fuggire dal piano classicamente inteso, voglio guardare a nuove evoluzioni. Rami, penso tu invece non hai dovuto decidere niente, sei nato musicista, giusto?
Rami: Forse il mio destino era già predefinito, qualcuno ha voluto che nascessi in una famiglia di musicisti.
Aymeric: Anche mio padre è un musicista. Io ho studiato prima percussioni e solo dopo mi sono seduto dietro una batteria per poi inoltrarmi nel mondo dell’MPC. Scommetto che nessuno di noi si è mai fatto troppe domande, pensavamo solo ad evolverci, a guardare al nostro futuro.
E c’è per caso un brano, un disco, un’opera, un artista o una figura che ricollegate direttamente a questa vostra scelta di vita? Chi, quale?
F: “Got A Match?” di Chick Corea! Devo averla sentita sempre in quel periodo della mia vita. Per me era qualcosa di veramente surreale.
R: Quando ero piccolo ero fissato con Rachmaninov, gran bel periodo quello… (ride)
A: A me invece vengono in mente i Wu Tang Clan. Avevano un groove così cattivo che non riuscivo a resistere.
Sappiamo che i primissimi passi del progetto sono stati mossi alla Julliard School e che poi, con l’arrivo di Aymeric a New York, la vostra musica ha iniziato a prender forma. Raccontateci di come vi siete conosciuti, degli albori del vostro progetto, del primo periodo. Dell’ormai celeberrima performance al Sonar, invece, parleremo più tardi!
F: Rami ed io stavamo sempre assieme ad improvvisare per ore ed ore. Da una parte c’era quello che dovevamo fare per il conservatorio, poi c’era l’improvvisazione del doposcuola, quella era la parte forte! In seguito abbiamo iniziato a portare quelle improvvisazioni sul palco. Il primo concerto completamente improvvisato lo facemmo proprio alla Julliard. Immagino stessimo ancora cercando il nostro sound. Le strutture erano molto deboli e gli stili molto vari.
R: (per Francesco) Sei proprio be-bopper nel cuore tu!
F: (ride) Esatto, mi hai beccato…
A: Penso la primissima volta che abbiamo suonato assieme è stato nell’uptown di NYC nel 2001. Ricordo che suonammo del Blues allucinante in chiave di Fa, chiave che nessuno ha rispettato! Ora invece suppongo che di quel Blues ce ne sia rimasto poco…
F: Proveniamo da ambienti diversi, abbiamo storie diverse e ci abbiamo messo un bel po’ a delineare la nostra musica, il nostro sound.
R: Il tutto prese una forma nell’estate del 2005.
A: E ancor di più successivamente, ricordate?
Questo primissimo periodo ha come sfondo una delle megalopoli più affascinanti e vive in assoluto: New York City, una città che non ha mai permesso a nessuno di rimanerle indifferente. Secondo voi in che modo ha influenzato la vostra musica, le vostre idee e il modo di metterle in pratica? Qual è stato il vostro rapporto con NYC?
F: NYC era ed è la quintessenza. Quando vivi da solo in un città del genere tutto diventa secondario. Voglio dire, non finisci mai di conoscere, c’è così tanta musica, così tante vibrazioni…
R: In passato anche la scena elettronica andava alla grande. Ora, ad esclusione di qualche festa house, buona parte di quella scena ce la siamo giocata.
A: Ecco, ha parlato l’esperto!
F: (ride) Ricordate le nostre nottate educative alle serate Be Yourself del Vinyl con Denny Tenaglia?
R: Momenti indimenticabili. Ci stavamo dentro di brutto, compravamo Mix e stavamo ore ed ore a cercar di riconoscere le tracce… Con Danny T tutta la notte.
A: Fondamentalmente anche cercando di capire come funzionasse l’elettronica.
F: Istruzione, così la chiamo io. Ma eravamo ancora troppo affezionati ai nostri pianoforti…
Invece per quanto riguarda la data di fondazione per così dire ufficiale abbiamo il Giugno 2005, quando siete saliti su uno dei palchi del Sonar di Barcellona per una delle esibizioni più interessanti che l’edizione ricordi! Raccontateci come sono andate le cose: ho letto che è stata una cosa abbastanza inaspettata, non eravate in cartellone inizialmente… Quali sono i vostri ricordi?
F: No, in realtà eravamo nel programma… Ma non sapevamo minimamente cosa avremmo suonato!
R: (ride)
A: Siamo professionisti!
F: In realtà organizzammo tutto nella settimana precedente lo show.
R: 3 ragazzi, 1 piano, 1 MPC, 2 tastiere, attrezzature varie e un’infinità di cavi sul pavimento del tuo vecchio appartamento a Barcellona!
F: Esatto, così abbiamo composto il materiale per quello show.
A: Fermi tutti, ma vi ricordate quando mi si è rotto l’MPC il giorno primo dello show?
F: R: (ridono)
F: Mamma mia…
E il nome “Aufgang” è nato in occasione di quest’evento o già esisteva precedentemente? Perché proprio questo termine e perché proprio in tedesco? Raccontateci la storia di questa vostra scelta..
F: Penso proprio che a questa voglia rispondere Aymeric…
R: (ride)
A: Ok ok, ecco la storia: Rami e Francesco nell’estate del 2002 avevano trascorso qualche settimana a Berlino. Visitando i cortili interni dell’Hackesche Hoefe, quartiere artificiale che fu costruito molto tempo fa [1700, ndr] nell’ex Berlino Est e adibito ad accogliere i lavoratori, notarono varie scale identificate come “Aufgang A”, “Aufgang B”, “Aufgang C” e via di scorrendo. Furono colpiti subito da quel termine, che letteralmente significa “crescita” o, per l’appunto, “scala”, così decisero di tenerlo come nome del nostro progetto. Grazie ragazzi per aver chiesto anche la mia opinione!
F:R: (ridono)
Dopo qualche anno siete usciti con il vostro album di debutto: Aufgang! Qual è stata l’idea che avete seguito per scrivere questo album? Un conto è suonare live, improvvisare, sentire il pubblico e rispondere con emozioni camuffate da suoni, un conto è invece mettersi a tavolino e scrivere dei brani. Quanto di quell’album nasce nei live e quanto invece in studio?
R: “Dopo qualche anno”…
Hai ragione, forse definire 10 anni come “qualche anno” non è proprio il massimo…
F: A: (ridono)
R: Il nostro album di debutto contiene alcune delle tracce che suonammo al nostro primo show: Sonar e Channel 7.
A: Scusate, perché dov’è andata a finire “Kiss Me In The Dark”?
R:F: (ridono)
F: No, quella l’abbiamo buttata via. Poi se ci penso aveva anche un’ottima anima R n’B quella traccia!
A: Si è?! R n’B… (ridendo)
F: Ragazzi, possiamo essere seri per un momento?
R: Va bene, va bene. Si, è vero, comporre materiale per uno disco non è la stessa cosa che comporre per un live show.
A: Sei proprio dannatamente serio è…
F: (ride) Il processo di composizione varia molto di volta in volta: a volte i pezzi nascono durante le session d’improvvisazione, altre invece ci sediamo e li scriviamo a tavolino. Può anche avvenire che Aymeric ci mandi una linea di basso o un groove e Rami ed io ci costruiamo sopra melodie e armonie.
A: Finalmente, ce l’abbiamo fatta!
OK, anche questa è andata! E la copertina del disco invece? L’ho osservata a lungo ma non sono riuscito a capire cosa rappresenti.. E’ un’unica struttura o è una composizione digitale? Inoltre c’è sempre una linea di fondo omogenea nello stile delle vostre copertine. Hanno qualche significato particolare?
F: Questa è per Rami.
A: (ride)
R: La copertina raffigura una piscina inserita nel mare della Danimarca.
F: Non era una sauna finlandese galleggiante?!
A: Dovremmo chiedere all’etichetta!
F: Non siamo mai riusciti ad interessarci troppo del lavoro dietro l’etichette, sfortunatamente.
A: Ad eccezione che per il logo!
R: Esatto.
A: Non te la prendere con noi, penso sia compito dell’etichetta scegliere una linea grafica chiara, sbaglio?
F:R: (silenzio)
Genericamente come vi muovete nella composizione dei brani? Di solito vi trovate a lavorare prima su scale e melodie o sugli aspetti ritmici dei vostri brani?
R: Francesco ti ha preceduto, ha già risposto a questa.
A: Permettetemi di rispondere nuovamente: Aufgang è un work-in-progress. Non siamo inseriti in nessuna scena particolare o genere definito. Non applichiamo mai la stessa formula.
F: Ok, ora QUESTO era serio!
R: Lo vedi? Anche Aymeric può essere serio. Continua Aymeric, continua…
A: Rispettiamo il corso e la normale evoluzione delle cose. La nostra musica viene creata in una molteplicità di modi. Ci piace prendere una strada diversa ogni volta.
Una curiosità: solitamente in una formazione c’è sempre quello che arriva tardi in studio o agli appuntamenti, quello che invece spacca il secondo e quello che magari arriva con 15 minuti di ritardo, però porta un caffè di Starbucks o le sigarette! Voi che tipi siete?
F:R:A: (ridono)
F: Starbucks??? No, grazie!
R: E’ Francois, il nostro ingegnere del suono, che solitamente ci porta una miscela arabica di caffè.
F: Ma Francois non è mai in ritardo.
R: Beh, neanche noi!
A: Ecco, diciamolo…
F: Diciamo che Francois è sempre il primo ad arrivare in studio (con il caffè), poi arriva Aymeric (ma lui non beve caffè), poi Rami ed io… Prendiamo il caffè e poi iniziamo a lavorare con un ritardo spaventoso.
A:R:F: (ridono)
Di primo acchito, se uno pensa a due pianoforti a coda e una batteria semiacustica in mezzo ad una folla danzante, rimane pensieroso… Poi, però, ci si rende conto che dietro all’abito degli strumenti sul palco c’è un aspetto che li lega fortemente, sia fra loro che alla club culture: il ritmo, le pause, il tempo! E questo, da alcuni punti di vista, ci riporta in maniera profondamente affascinante alla visione cageiana dello strumento. Usate il piano in modo particolare, lo usate veramente anche per far muovere i corpi (vedi l’inizio di Channel 7) e quando invece il piano è usato in maniera più “classica” ci sono le ritmiche di Aymeric che travolgono l’ascoltatore. Che tipo di dialogo intercorre quindi fra i vostri 3 strumenti?
A: Posso prenderla io questa?
R: Sì, ma non esagerare con la serietà per piacere.
F: (ride)
A: La connessione elettroacusitca fra piano, batteria e sequencer è basata su un processo aleatorio…
R: Ti puoi anche fermare qui guarda!
A: Dai coso, fammi finire.
R: Mi scusi.
A: pfff…
F: Ma veramente ragazzi? Non riusciamo a dare una risposta seria neanche ad una domanda?
A: La mia era una risposta seria…
F: OK, ci piace sfruttare il piano in modi differenti. Aymeric suona la batteria in maniera inusuale. Come disse Derrick May “Questo ragazzo è una macchina!”. Ci capiamo tutti e tre al volo e il risultato è diverso per ogni traccia. Ricollegandomi a ciò che dicevi, come disse Claude Debussy “La musica non è costituita dalle note, bensì dal silenzio che vi è fra di esse”.
Mai definizione fu più azzeccata! Ora tocca a me: Leonard Bernestain disse “Music can name the unnameable and communicate the unknowable”. Guardando a ciò che si ascolta oggi nei club, secondo voi questa definizione è ancora veramente attuale? Qual è il vostro pensiero sull’attuale momento della club culture?
R: Io penso che sia così in ogni genere musicale. C’è della roba commerciale che comunica ciò che già conosciamo e c’è roba non commerciale che comunica ciò che ancora non si conosce.
A: Cavolo, questa era profonda…
F: E’ vero, sia che tu ripeta qualcosa che qualcun’altro ha già fatto o che tu ti inoltri in qualcosa che non sai se funzionerà.
A: La “club culture” è un fenomeno di massa.
F: Ciò che mi piace della club culture, è questo nome che acchiappa tutto.
A: Il 4-on-the floor! [la classica cassa in 4, ndr]
R: E’ un po’ come il basso albertino delle sonate di Mozart…
F: Ma senza dubbio anche lì ci sono degli innovatori. Ci sono sicuramente dei visionari della club culture: persone che sono proiettate verso il futuro, persone che si avventurano nell’inesplorato…
A: Sì tipo [nome censurato]?
F:R: (ridono)
Dal vostro album di debutto alle vostre ultime produzioni si sentono alcuni forti cambiamenti, ad esempio sembra che l’elettronica abbia acquisito via via un ruolo sempre più centrale, synth sempre più importanti nelle linee melodiche, vedi l’Ep “Air on Fire”. Quali sono le differenze che sentite più forti nel vostro sound, nel vostro set-up e nel vostro approccio allo strumento rispetto ai vostri primi lavori?
F: Come stavamo dicendo, il nostro progetto è un work-in-progress. Non siamo interessati nel trovare una formula magica che funzioni per poi ripeterla all’infinito. “Air on Fire” è sicuramente un passo avanti rispetto all’album di debutto, nel senso che l’elettronica, la programmazione hanno assunto un ruolo più centrale.
R: E allora “Warm Snow”? Lì non c’è elettronica…
A: E’ l’eccezione che conferma la regola.
F: Abbiamo registrato il nostro nuovo album la scorsa estate. E’ veramente un bel salto in avanti rispetto a “Air on Fire”… Quasi tutti i suoni, sia acustici che elettronici, sono suonati live!
A: Stavamo cercando di vivere il momento.
R: Perché dovresti pre-programmare qualcosa se la puoi suonare direttamente live?
A: Perché la puoi quantizzare, ad esempio?!
F: (ride) Ad ogni modo, finiremo gli ultimi ritocchi del prossimo album molto presto…
Un’ultima curiosità, parlando proprio dell’Ep “Air on Fire”: il video di “Dulceria” è fantastico, solare! Qual è la connessione fra video e brano e fra voi e i 3 bambini del video?
F: E’ il nostro video preferito. Lo ha diretto Dephine Dhilly, un nostro amico. E’ stato girato a Long Island, NY.
R: Ma come scusa, non ci hai riconosciuto? Siamo noi quei 3 bambini!
A: Io sono il bambino che si becca la ragazza alla fine!
R:F: (ridono)
Grazie ragazzi, è stato interessante e a dir poco divertente parlare con voi. Viste le vostre parole e il modo in cui avete definito il vostro progetto mi sembra azzeccato concludere con le parole di George Gershwin: “Life is a lot like jazz… It’s best When You Improvise”. Alla vostra prossima esibizione in Italia ragazzi, ciao!
F: Gershwin, grande compositore! Ciao ragazzi, grazie a voi! Non vediamo l’ora di tornare in Italia… Quella del Movement di Torino è stata senza dubbio una delle nostre esperienze migliori!
A: E scusaci per la nostra serietà!
R: Aymeric, ti prego…
English Version:
Two grand pianos, one drum, an MPC and some Macbooks: these are in terms of instrument the Aufgang and I think that just looking at this particular set-up you will already have some questions and curiosity. Classic incursions, catchy and not catchy melodies, great climax, strong grooves and lot of links to world musics. Francesco Tristano (piano), Rami Khalife (piano) and Aymeric Westrich (drums) gave birth to one of the most interesting trio of the present, a trio that, as they’ve carefully stressed to us, does not fit in a defined genre, but is constantly evolving while maintaining its status of “perpetual work-in-progress”. And guess which was the cradle of this project? New York City! I honestly do not think it’s a coincidence … Francesco and Rami, students at the prestigious Julliard School, began to improvise after lessons and later, with the arrival of Aymeric in NYC, they began to look for synergy and for their sound.
The format of this interview is a little bit different from the usual, it’s not based on the classic and regular Q&A structure , rather is a real “ping-pong” between us and them, where the three of the trio do not lose the opportunity to joke and to remember the moments of their growth; Francesco sometimes tries to dot his I’s and cross his T’s, he tries to make order in the speech -Rami and Aymeric will give an hard time to Francesco for this thing I’ve said! But all kidding aside, we managed to steal them lots of curiosity and memories. Recommended track for the reading of the interview? “Sonar”!
Hello guys, welcome on Soundwall!
I would like to begin talking about the dawning of your passion for music: we can say that everyone loves music, some more than others, but everyone loves it. Then, there are those who, like you, instead of restricting themselves to the love for music, they decide to go further, they decided to create music. What, in your respective lives, has led you to this choice? When did you decide to devote your entire life to music?
Francesco: There was a moment, I was around 12 or 13, that I decided that I wanted to be a musician. At that point, this basically meant practicing the piano in a serious way, as opposed to relying solely on my talent and playing around. Now that I am a musician, I want to get away from the piano, look at other possibilities. Rami, I think you never decided anything, you were born musician, right?
Rami: Maybe things were already laid out for me, as I was born in a musical family.
Aymeric: My father is a musician too. I studied classical percussion, then moved to the drum set, then to the MPC… I guess the three of us never asked any questions – we just wanted to move forward, see what was in for us in the future.
And when you think about this choice, is there a song, an album, a work, an artist or a figure that you link directly to this life choice? Which one and why?
F: Chick Corea: Got a match? I must have heard it around the same time. It just seemed extraterrestrial to me.
R: I actually was into Rachmaninov big time when I was young… (laughs)
A: (laughs) For me, it was Enter the Wu Tang Clan. The groove was so bad I couldn’t handle it.
We know that the first steps of the project were done at the Juilliard School, and then, with the Aymeric arrival in New York, your music started shaping-up. Tell us how did you met, tell us about the “first days” of your project, about the first period.(Let’s talk later about your famous performance at the Sonar)
F: Rami and I would spend hours and hours improvising together. Classwork was one thing, but the improvisations after class were the real thing. We actually took these improvisations on stage and performed the first completely improvised concerts at The Juilliard School (in almost 100 years history!) I suppose we were searching for our sound. The structures were loose, the styles were mixed.
R: (to Francesco) You are a be-bopper at heart!
F: (laughs) Yeah right…
A: I think the very first time we actually played together was at a jam session uptown NYC in 2001. I remember some crazy blues in F were nothing was in F. I suppose now there is no Blues left anymore either…
F:Coming from different backgrounds, we took a while polishing what would become our music, our sound.
R: But everything came together in the summer of 2005.
A: More to this later, remember?
This early period took place in one of the most fascinating and zippy metropolis in the world: New York City, a city has never allowed anyone to remain indifferent to its appeal. In your opinion, how did it influenced your music, your ideas and the way of realize them? What was your relationship with NYC, what did it give to you?
F: NYC was and is quintessential. Living in the city alone made everything else secondary. I mean, there’s just so much to grab, so much music, so many vibes.
R: Back in the day, there was a real electronic scene too. Apart from a few House parties, that’s pretty much gone nowadays.
A: “The specialist speaks”
F: (laughs) Do you remember our educational nights at Be yourself (Danny Tenaglia at Vinyl)?
R: Unforgettable moments. We were so much into it. Buying the Mix CD, trying to identify the tracks… and listening to Danny T all night long.
A: Understanding how electronic music works, basically.
F: Education, as I call it. but we were still left with our pianos…
Now, as regards the “official” date of foundation of Aufgang, we have June 2005, when you played on one of the stages of the Sonar of Barcelona: one of the most interesting performance during the Sonar 2005! Tell us how things went: I read for you it was pretty unexpected, you were not on the schedule at the beginning… What are your memories?
F: Oh we were scheduled alright… But we had no idea what we were going to do!
R: (laughs)
A: We are professionals!
F: Basically, it all came together in the week preceding our show.
R: 3 guys, 1 piano, 1 MPC, 2 keyboards, all the equipment and tons of cables all over the floor at your old apartment in Barcelona.
F: And we composed all the material for our show during that week, basically.
A: Do you guys remember when my MPC broke down the day before the show!
F: R: (laughs)
F: Mamma mia…
And was the name “Aufgang” born for that event or did it already exist before the Sonar? Why did you chose this word and why in German? Tell us the history of your choice…
F: I think Aymeric wants to answer this question
R: (laughs)
A: Ok, so here’s the story: Rami and Francesco had spent a few weeks in Berlin in the summer of 2002. They had visited the inner patio of the Hackschen Hoefe, what used to be a complex of apartments for workers in East Berlin. They saw the staircases marked “Aufgang A”, “Aufgang B”, Aufgang “C” and so on. They really liked the name (it basically means Ascent, or… staircase) and held it for our new project. Thanks guys for asking my opinion!
F: R: (laughs)
After a few years you were out with your debut album: Aufgang (2009)! What was the idea you followed to write this album? I mean, playing live, improvising, feeling the audience and responding with emotions disguised as sound are different things from writing songs into the studio. How much of that album was created in the studio and how much during the live performances?
R: “after a few years”
You’re right, maybe defining 10 years as “some years” is not exactly the best way…
F: A: (laughs)
R: Our debut album actually has a few of the original songs from our first show. (Sonar, Channel 7)
A: What about “Kiss me in the dark”?
R: F: (laughs)
F: Yeah, we dropped that one. Altough it had a nice R n’ B feel to it!
A: “R n’B” (laughs)
F: Guys, can we be serious for a bit?
R: Ok so yes, composing material for a record is not the same thing as composing material for a show.
A: That was f… serious!
F: (laughs) Our composition process varies greatly: sometimes pieces are born during improvised sessions, sometimes we actually sit down and write out parts, sometimes Aymeric send us a bass line, a groove pattern, and Rami and I build the melodies and harmonies on top.
A: Finally!
And the cover? I looked a long at it but I could not understand what it represents.. Is it a single structure above the sea or a digital composition? Moreover, there is always the same concept-line in the homogeneous style of your covers. Do they have some particular meaning?
F:This one is for Rami.
A: (laughs)
R: The cover represents a swimming pool inside the sea in Denmark.
F: Wasn’t it a floating sauna in Finland?
A: We have to ask the label.
F: We weren’t too involved in the graphic design of the cover, unfortunately.
A: Except for the logo!
R: The logo, correct.
A: I suppose it’s up to the label to determine a clear graphic line, right?
F: R: (silence)
And generally how do you compose your music: do you usually work first on musical scales and melodies or first on the rhythmic aspects of your compositions?
R: Francesco just gave an answer to this question.
A: Let me answer again: Aufgang is a work-in-process. We are not involved in any genre or scene. We do not apply a formula and repeat it.
F: Now THAT was serious!
R: You see, Aymeric can be serious too. Continue, Aymeric.
A: We go by the flow. Our music is created in a number of ways. We like to go different ways each time.
A curiosity: usually there is always the one who arrives late in the studio or for appointments, the one who is always perfectly on time and the one who is always late but who maybe arrives with a Starbucks coffee for everyone or cigarettes! Is it also your case? In which of these descriptions do you find yourself?
F:R:A: (laughs)
F: Starbucks, no way on earth!
R: It’s Francois, our sound engineer, who usually has some nice arabica espresso on call.
F: But he’s never late.
R: Neither are we!
A: Yeah, right…
F: Let’s say Francois is the always the first one in the studio (with coffee), then Aymeric comes in (but doesn’t drink coffee), then Rami and I come in, have a coffee, and then we can all start horribly delayed.
A: R: F: (laughs)
At first glance, seeing two grand pianos and a semi-acoustic drum in the middle of a dancing crowd, you could remain doubtful… But then, you realize that behind the dress of the instruments on the stage, there is a thing that binds them together and that links those instruments to the club culture: the rhythm, the tempo! And this, in some way and in a deeply fascinating way, could bring us back to the John Cage vision of the instrument. You use the piano in a particular way, you really use instruments to play with silence and sound, to make people dancing in a different way (in “Channel 7”, for example).. And when the piano is played in a quite “classical” way, there are Aymeric’s beats that overwhelm the listeners. So, what kind of dialogue and balance exist among your 3 instruments?
A: Should I take this one?
R: Yeah, but not too serious please
F: (laughs)
A: The electro-acoustic connection between the pianos, the drums and the analog sequencing is based on stochastic processes –
R: Stop right there!
A: Come on man, let me finish.
R: Sorry
A: pffff…
F: Really guys? No serious answer possible here?
A: I was giving a serious answer…
F: OK: We like to use pianos in a different way. Aymeric plays the drums in an unusual way. As Derrick May said: “This guy is a machine!” I guess we feel each other out, the result of the interaction is different for each piece. And as Claude Debussy said: Music is not determined by the notes – it is determined by the silences in between the notes…
Exactly, I think this is a great definition!Now it’s my turn: Leonard Bernstein said “Music can name the unnameable and communicate the unknowable.” Thinking of the music we listen to in clubs today, do you think this definition of music could still works? What is your thought on the current club culture?
R: I think it is as in every musical genre. There is commercial stuff (which communicates the already know) and there is the non-commercial stuff (which communicates the not-know-yet..)
A: That was deep man.
F: It’s true! Either you repeat what other people have done (and which ‘works’) or you venture into something you don’t know if it works.
A: Club culture is a global phenomenon.
F: What I like in club culture, is the common denominator.
A: The 4-on-the floor!
R: It’s like the Alberti bass in Mozart Sonatas.
F: But of course you have people who innovate within the genre. You have visionaries of club culture: people who take it further, people who venture into the unknown…
A: Like [name censored]?
F: R: (laughs)
From your debut album to your latest productions, there are some big changes; for example, it seems that electronics has gradually acquired a more central role, more imponent synths in the melodic lines (in “Air on Fire” Ep, for example). If you now listen to your first works, what are the differences you feel stronger in your sound, in your set-up and in your approach to the instrument?
F: Like we said earlier, our musical project is a work-in-progress. We are not interested in finding a magic formula which works, and then repeat it over and over. “Air on Fire” is definitely one step away from the debut album in the sense that the programming acquires a central role.
R: What about ‘Warm snow’? No programming here.
A: It’s the exception which confirms the rule
F: We recorded our new album last summer. It is one leap away from “Air on Fire” – Most material (acoustic or electronic) is played live!
A: We were living the moment.
R: Why would you want to program something if you can play it live?
A: So that you can quantize it, for example?
F: (laughs) Anyways, we are looking forward to finishing the edit of our latest album soon…
About “Air on Fire” Ep: the video for “Dulcería” is sunny, it’s really nice! What is the connection between the video and the song and what is the link between you and the 3 children of the video?
F: It’s our favorite video. Our friend Dephine Dhilly directed it. It was shot in Long Island, NY.
R: Didn’t you recognize us?
A: I’m the kid who goes gets the girl in the end
R: F: (laughs)
Thanks guys, it was really interesting and enjoyable to talk with you. According with the the way you have defined your project, I think it’s coherent conclude with the words of George Gershwin: “Life is a lot like jazz … It’s Best When You Improvise”. See you at your next performance in Italy guys, ciao!
F: Gershwin, great composer. Ciao ragazzi, thank YOU! We can’t wait to return to Italy… Torino Movement was without a doubt one of our highlights.
A: Sorry for being so serious
R: Aymeric, please.