Avatism (all’anagrafe Thomas Feriero) è un giovane rampollo nato nel Bel paese, il cui sogno di affermarsi nel panorama dell’elettronica lo ha portato a viaggiare già da giovanissimo: la volontà era quella di conoscere il mondo, chi gli stava attorno e, soprattutto, chi poteva essere per lui un esempio da imitare…non è forse questa, in fin dei conti, la vera scuola nella musica? La dedizione assoluta verso il progetto musicale lo costringono a sacrifici che molti suoi coetanei difficilmente accetterebbero, ma ciò che ne esce è sempre qualcosa di nuovo e di ricercato. In occasione dell’uscita del suo ultimo lavoro “Adamant” su “Vakant” (avvenuta a fine ottobre e di cui abbiamo già recensito il disco) siamo andati a conoscerlo meglio e a farci spiegare com’è la vera vita di un musicista che decide di trasferirsi a Berlino per produrre… e per poi ritornarsene a casa.
Dalle prime informazioni che facilmente si possono reperire su di te (profilo Facebook in primis), è possibile leggere ciò che non sei: non sei figlio di musicisti jazz, non hai acquistato il tuo primo vinile a 10 anni e non hai mai studiato assiduamente musica o uno strumento musicale in particolare. Con questo vuoi dire che non è necessario avere un background importante per diventare qualcuno nel modo della musica o, semplicemente, il tuo intento è quello di tenere nascosta la tua identità?
Nella bio è tutto vero: l’ho scritta semplicemente perché trovo il 99% delle biografie inutili, esagerate e pretenziose (anche se purtroppo necessarie). Non ho nulla da nascondere, è che semplicemente non c’è molto di interessante da dire sul mio background musicale. Si ok, prima di produrre dischi per Vakant e Dumb Unit ho suonicchiato la batteria e registrato qualche band ma non credo sia troppo rilevante. In ogni caso sono convinto che dedicarsi alla propria “arte” come se fosse un lavoro (se non di più) sia il modo più diretto e duraturo, indipendentemente dal proprio background.
Parlando sempre di identità, da cosa nasce il tuo soprannome? C’è una storia particolare dietro o è tutto frutto del caso, se così si può dire?
Purtroppo quando ho scelto il soprannome stavo ancora studiando e non mi sarei mai sognato un giorno di fare questo “per lavoro”. Per me era semplicemente un hobby, una passione. Mi dispiace rovinare le vostre aspettative a riguardo, ma “Avatism” è stata veramente una scelta casuale, avvenuta dopo un typo mentre cercavo su Google il significato di “Atavism”.
L’uscita su Vakant della tua opera prima “Adamant” è pazzesca: un concept album (a mio parere) che ti trascina in luoghi della periferia di qualche grande città… potrei sbagliarmi, ma è vero che il dove influisca enormemente sul come si faccia un certo lavoro?
Credo che un po’ tutto quello che ci circonda finisce per influire su di noi, quindi si, anche il dove è sicuramente molto importante. In questo caso, l’album è stato quasi interamente prodotto a Berlino. Quando parlo di “Berlino” ci si immagina uno studio bellissimo e super professionale con 15 altri producer sempre al mio fianco ma in realtà non credo di aver mai avuto uno studio così “sfortunato” come quello a Kreuzberg… e devo ammettere che non uscivo neanche più di tanto, quindi di sicuro l’influenza Berlinese non l’ho presa dal Berghain o dal Watergate. E’ stato semplicemente un modo diverso di vivere e vedere le cose, o forse sono stati i troppi kebab a cambiare tutto. Vivere, bere e mangiare sempre e solo con altri produttori/dj è stato interessante, e questo confronto mi ha aiutato molto a crescere, anche se a volte mi sarebbe piaciuto mangiare una pizza senza parlare di compressione parallela o equalizzatori…
Per ben 12 mesi ti sei chiuso dentro uno studio a Berlino nella speranza di tirar fuori qualcosa di buono: tracce, arrangiamento e mixaggio sono riusciti alla fine alla grande. Nessuno però cita mai l’altro verso della medaglia, fatto di profonda dedizione in quello che si fa e la costrizione ad ingoiare il boccone amaro di fare parecchi sacrifici. Cosa spinge tuttavia a far musica?
Fondamentalmente mi piace passare tempo in studio, e mi dà soddisfazione trasmettere qualcosa alla gente che viene a sentirmi, specialmente quando ho un riscontro positivo dal pubblico. La dedizione e i sacrifici che ho fatto e sto facendo per dedicarmi veramente a questa attività ne valgono decisamente la pena. Anzi, mi ritengo privilegiato a poter “vivere della mia passione.”
Delle problematiche legate ai “big” della consolle e del loro status di intoccabili a prescindere ne abbiamo già discusso (dei David Guetta e dei Steve Angello con i loro cd pre-mixati o delle figuracce ne abbiamo già parlato). Non voglio discutere dell’esigenza di cambiare i punti di riferimento, di cambiare un po’ l’ottica, cercando di trovare personaggi giovani, nuovi, che offrano dell’ottima musica e che vengano pagati molto meno … ma quanto conta l’immagine e la pubblicità in questo mondo e come questo può pregiudicare un artista di talento ma non famoso? E quanto questo frutta a manager, discoteche, festival, ecc…?
L’immagine conta tanto, forse troppo… ma va un po’ da genere in genere, e comunque spesso è l’artista a creare quel tipo di situazione. Credo che ai fan di Angello e Guetta non interessi niente della storia dei CD pre-mixati, nel senso che è proprio un altro tipo di fanbase meno mirato. Gente che magari va a sentirsi un “dj famoso” ogni tanto e fa un tipo di serata completamente diverso da quello che farebbe chi viene a sentire me. Pubblicità e immagine sono strumenti che ognuno può scegliere di usare o meno. Qualsiasi cosa si decida di fare, ci sarà sempre qualcuno pronto a criticare. E’ pieno di haters e purtroppo c’è un sacco di ignoranza, sopratutto su internet, anche tra gli artisti non famosi: è ridicolo ma a volte anche divertente. L’altro giorno qualcuno mi ha scritto insultandomi perché nel mio “live” non suono tutti i synth dal vivo e quindi sarei una specie di sell-out… un David Guetta dei poveri insomma. Per un secondo mi sa che gli ho anche dato ragione. Comunque non voglio giudicare nessuno per le scelte di marketing che fa o ha fatto, forse se fossi donna e avessi l’aspetto fisico di Nina Kraviz avrei fatto anch’io il bagno senza veli sul video di RA e se il mio pubblico fosse quello di Guetta, avrei potuto anche pensare ad un CD pre-mixato…
Legata alla precedente, credi che in questo frangente siano importanti i nuovi mezzi di comunicazione per farsi conoscere (come Facebook, Soundcloud, o testate giornalistiche come la nostra)?
Credo che il contatto diretto tramite i social network abbia superato le varie agenzie, testate, ecc… tanto che ci sono dei promoter e organizzatori che usano i “Likes” di Facebook come mezzo per calcolare le fee o addirittura per capire se un artista vale o meno. Perché ascoltarsi i dischi e farsi una propria opinione sulla musica quando Facebook ti mette un bel numero su ogni pagina che ti spiega a quanta gente “piaci”? Il problema è che le mode si creano e si sfasciano molto più velocemente e in modo, a mio avviso, poco naturale. Tutti quelli che ascoltavano Hot Creations e Crosstown Rebels fino a poco tempo fa ora ascoltano solo Vatican Shadow, noise e techno stampata su white label. Io una volta ero “troppo dark” e “troppo lento” e ora sono “troppo commerciale” perché ho una traccia con un vocal nell’album. E’ bello avere del contatto diretto con chi ti segue ma non bisogna mai prenderlo troppo seriamente.
Hai collaborato con altri artisti di spicco, di cui la maggior parte della tua stessa nazionalità (Mind Against e Clockwork in primis). Com’è lavorare assieme a dei connazionali rispetto ai personaggi d’oltralpe? Pro e contro in generale?
E’ difficile rispondere perché la maggior parte degli artisti connazionali con cui ho lavorato sono miei cari amici da prima che avessi mai stampato una traccia. Credo che la vera differenza non sia la nazionalità ma il rapporto che mi lega al collaboratore. Essendo cresciuto a Milano, statisticamente ho più amici d’infanzia italiani che d’oltralpe…
Hai iniziato a muovere i primi passi nella musica qui in Italia, solo successivamente ti sei spostato verso le mecche della musica elettronica. Nel tuo caso Berlino è stata la destinazione prescelta. Non di rado si sente la necessità di spostarsi per costruire concretamente il proprio progetto musicale, come se in Italia non si fosse completamente liberi o ci fosse qualcosa che “non va”. Cos’ha l’Italia ancora da imparare in questi frangenti e cosa, invece, può insegnare agli altri?
A dir la verità, prima di fare tappa a Berlino, ho vissuto due anni a Miami e tre a Londra. In tutti e tre i casi ho scelto di vivere in quelle città per motivi non esclusivamente legati alla musica. Berlino è comunque molto sopravvalutata, anche se capisco come possa essere utile per un artista emergente con più bisogno di conoscere gente legata a questo mondo. Purtroppo mi sono ri-trasferito a Milano da poco, e credo sia ancora presto per darvi un parere su cosa potrebbe non andare bene in Italia.
Sei uscito su etichette importanti (Haunt, Dumb Unit, Vakant). Com’è lavorare per un’etichetta prestigiosa? Hai spazio per il tuo lavoro o ci sono scadenze da rispettare che talvolta possono compromettere un ottimo risultato finale? Hai mai pensato di aprire una tua etichetta?
Con i proprietari di Haunt, Vakant e Dumb Unit ho sempre avuto un rapporto di amicizia e fiducia reciproca, il che ha reso abbastanza informale il nostro rapporto. Nonostante questo, le decisioni sono sempre state prese insieme, e le scadenze sono sempre state rispettate da entrambi i lati perché sia io che, specialmente, loro abbiamo sempre preso abbastanza seriamente il nostro “lavoro”. Certo che sarebbe bellissimo poter lavorare senza pensare a scadenze, ma per un etichetta come Vakant un album è un investimento (se si può’ chiamare così) molto importante e quindi ho sempre cercato di rispettare tutto. Purtroppo ho avuto un po’ di problemi personali verso la fine della produzione, vicino alle ultimissime (e più importanti) deadline, ma sono comunque molto soddisfatto del risultato finale.
Cosa dobbiamo aspettarci da Avatism per il prossimo futuro? Hai già qualche progetto in corso? Qualche collaborazione interessante?
Oltre a qualche remix sto finendo un nuovo EP con Francesco (Clockwork) proprio in questi giorni. Successivamente ho intenzione di ri-organizzare il live con un set-up diverso, e in futuro iniziare un progetto nuovo producendo musica meno “da club”.
Esser riuscito a diventare musicista è già per se stessa una vera e propria consacrazione: il raggiungimento di un sogno che vede la realizzazione dei propri sforzi. Immaginiamo di andare indietro nel tempo: cosa avresti fatto se non avessi intrapreso la strada dell’elettronica? Quai altri passioni avresti coltivato o cosa saresti diventato?
Prima di dedicarmi completamente a questo ho fatto un po’ di tutto, dal pessimo organizzatore/promoter al mediocre tecnico del suono. In generale la musica è sempre stata una mia grande passione, probabilmente anche se non fossi “musicista” avrei comunque fatto qualcosa di legato alla musica.