Già: avete avuto paura?
Potete prenderla così: come una domanda scherzosa, post weekend di Halloween, visto che la ubiqua esorcizzazione/banalizzazione/commercializzazione della paura è una architrave della festa in questione (…al massimo chi ha qualche anno in più potrebbe aggiungere: “Ho paura di come Halloween in pochi anni si sia trasformato da lontana festa cagata solo da qualche americanofilo hardcore ad appuntamento sociale festaiolo imprescindibile“). Sì, potete prenderla così.
Ma potete prenderla anche come una domanda più seria. Di motivi, ce ne sono. Molti. Importanti.
Tipo: avete avuto paura di line up nei vostri club – o anche in quelli che filate il giusto – di line up fatte quasi solo di resident o comunque di dj “di casa” (nel senso esteso del termine: anche gli stranieri, in qualche posto speciale e con qualche organizzazione speciale, sono “di casa“)? Che effetto vi ha fatto? Quanto vi ha preoccupato la cosa? Quanto è ancora vero che senza la corsa al guest di turno gestito/offerto/proposto/importo dalle agenzia o si è dei locali e dei formati super-commerciali, o la serata non decolla e l’affluenza al dancefloor è stitica, cose insomma che in fase pre-pandemica sembravano santa&ineuludibile verità? Tante tante tante serate, in questo weekend, e con delle line up che nel 2019 sarebbero state considerate spente, monche, fallimentari, poco interessanti. Avevamo torto ed eravamo viziati e poco affamati nel 2019, o siamo diventati più di bocca buona? O meglio ancora, siamo tornati a cercare l’autenticità e il “chilometro zero“?
Ma non è solo questo, non è solo questa discussione molto “tecnica” sulla dinamica del clubbing italiano. No. E’ anche, e soprattutto: avete avuto paura ad andare nei club? Avete avuto paura a trovarvi comunque un po’ assembrati? Avete avuto paura a farlo nel momento in cui i dati sui nuovi contagi paiono in risalita (ma quelli sulle ospedalizzazioni sono sotto controllo)? A questo domande non esiste la risposta giusta. Non abbiamo bisogno di super-eroi, non abbiamo bisogno di irresponsabili e negazionisti; ma non abbiamo nemmeno bisogno di paranoici e teorici del “rischio zero” (che nella realtà non esiste).
Andando più ancora alla radici, e ricollegandoci in parte (ma non solo) al “rischio zero”: avete avuto paura di uscire da casa? Avete avuto paura di abbandonare Netflix, Amazon Prime e DAZN? Avete avuto paura di fare delle code per entrare, aspettando al freddo? Avete avuto paura di dover fare le code al bar per bere, spintonando un po’? E, domanda cattiva: avete avuto paura di conoscere delle persone che non conoscevate, chiacchierando, ballandoci assieme, provandoci con garbo o con piglio tamarro?
Queste sono domande importanti.
Perché ora che piano piano le attività riprendono, stadi e palasport riaprono a capienze accettabili, i concerti (forse) tornano alla normalità e si può pure tornare a ballare, ecco, ora che tutto questo succede il dibattito non va esaurito nella lotta feroce sulle percentuali – per quanto questo sia un punto importantissimo, fondamentale anzi. Ma guardate cosa sta succedendo negli stadi e palasport prima citati, appunto, con le dirigenze delle squadre sportive che hanno fatto la voce grossa e continuano a farla, puntando al 100%: bastava guardare il posticipo di ieri, Bologna-Cagliari, per vedere una quantità raggelante di vuoti sugli spalti. Altro che 75%, anzi, altro che 50%. Palasport nei campionati di basket? Uguale. No: per tornare alla normalità non basta riportare tutti gli accessi al “full” pre-pandemico. La ferita sociale (e purtroppo per più di qualcuno anche sanitaria) è stata forte: ha sconquassato le nostre abitudini, spento la nostra vitalità, aumentato le nostre preoccupazioni travestendole da pigrizie e le pigrizie travestendole da preoccupazioni.
Questa cosa ha toccato tutti, chi più chi meno, chi in un modo chi nell’altro. Non è una colpa. E’, invece, un segno di intelligenza rendersene conto e capire come gestire il tutto, come venirne fuori nel modo più intelligente possibile, trovando il giusto equilibrio fra saggezza e voglia di riprendersi la vita nella sua interezza com’è giusto che sia.
Nel riprendertela, puoi anche scegliere – coi tuoi comportamenti, con le tue scelte – quanto certe dinamiche passate ti vanno ancora bene e quanto invece non le accetti più, cercando qualcosa di altro, suggerendo pratiche migliori, più sane, meno inquinate.
E’ un momento molto interessante. Speriamo non arrivino recrudescenze pericolose del Covid a “rubarcelo”. Perché sì, è un momento molto interessante. In cui è anche più che permesso avere paura. Ma dove il futuro – e il presente – sono in qualche modo una carta da bianca da scrivere.