[tabgroup layout=”horizontal”]
[tab title=”Italiano”]Certi artisti possiedono un’intrinseca dinamicità, oltrepassano con naturalezza quei confini invisibili tra generi, spinti da un’insaziabile curiosità, dalla sfida di sperimentare e ricercare quel suono da loro caratterizzato e plasmato. An On Bast è sicuramente una di questi. La musica di An On Bast non è solo espressione dell’artista stessa e delle sue emozioni ma rappresenta una vera e propria interazione tra la produttrice polacca e la sua strumentazione. Il risultato che ne scaturisce è un universo felice, eterogeneo, curato nei minimi dettagli, frutto di un’elaborata ricerca e di un grandissimo talento. Un’opera che dallo studio riesce a trasferirsi nella dimensione live (prossimamente anche in Italia per la prima volta grazie a Live Is More) unendo alle delicate atmosfere un’energia e un’imprevedibilità rare da trovare.
Formalmente, tutto inizia nel 2006, anno in cui vedono la luce il tuoi primi due album “Welcome Scissor” e “Happy Go Lucky”, e, a seguire vieni scelta per partecipare alla Red Bull Music Academy di Melbourne. Ma, facendo un passo indietro, ci potresti raccontare come nasce musicalmente An On Bast e come sei arrivata alla pubblicazione di questi due album?
Per quanto riesca ricordare, certi suoni hanno sin da subito avuto una grande influenza su di me. Sono sempre stata interessata a suonare musica e qualunque fosse lo strumento che finiva tra le mie mani provavo a riprodurre le melodie che sentivo in quel momento. An On Bast è venuta alla luce nel momento in cui realizzai di voler creare musica, comporre, produrre ed esibirmi attraverso un progetto che identificasse la mia persona, nel momento in cui capii di voler essere completamente indipendente, responsabile ma anche infinitamente creativa nelle varie espressioni musicali. Era un periodo in cui ascoltavo molta musica ambient, sperimentale, tante cose della Warp. Così un giorno arrivai alla decisione di produrre un album. Questo mi permise di esibirmi per la prima volta ad un festival (in cui suonai con artisti tra cui Christian Vogel, Dj Krush, Swayzak) e rapidamente realizzai quanto incredibile fosse suonare live musica elettronica, condividere questa energia con il pubblico, compresi di voler essere completamente legata a ciò.
Cosa ha rappresentato per te la convocazione a Melbourne e che tipo di esperienza è stata? Quale pensi sia stato l’insegnamento, musicale e non, maggiore che hai saputo trarne?
Ero davvero felice di essere stata scelta anche se non avevo una chiara idea sul genere di avventura che mi avrebbe aspettata. L’esperienza si rivelò di gran lunga superiore alle mie aspettative. Ancora oggi è difficile da definire: due settimane cariche di idee, emozioni, culture. La lezione principale che mi fu insegnata fu di fare nella vita ciò che amo e nel far ciò, lavorare duramente per migliorare sempre di più dando il meglio di me. E’ stata come una sorta di energica spinta che credo mi accompagnerà fino alla fine.
Concordo pienamente quando la tua musica viene definita come “delicate synthetic music”. Possiede un carattere istintivo, imprevedibile, a volte organicamente costruito intorno a delicate melodie a donare anima al tutto, altre volte mosso da ricerche molto più sperimentali. Quali sono i principi che ti guidano in studio nell’attività di composizione?
“Delicate synthetic music” risale ai miei inizi quando le persone volevano sapere che tipo di musica elettronica stessi producendo. Per un’artista che si ritrova a sperimentare è sempre difficile descrivere il proprio lavoro e questo fu il modo in cui all’epoca decisi di definirlo. Mi concentravo solo su suoni sintetici, generati da sintetizzatori, samplers e altre macchine che ovviamente necessitano di elettricità per funzionare. E quel “delicate” era riferito alle melodie che così pensavo fossero, prima di iniziare a produrre musica più indirizzata verso il dancefloor. Mi piace prendere il mio tempo in studio seguendo semplicemente le mie emozioni o concentrandomi su un particolare suono, levigandolo sino a quando non acquista la forma che mi attira per poi muovermi su altri elementi. A volte sento la necessità di fare un album. Lavorare su dieci o undici tracce allo stesso tempo è qualcosa di veramente speciale in quanto devi attenerti alla tua idea e alla storia che vi è dietro per arrivare ad avere una sola forma, figura, trattando le varie tracce come capitoli di un libro. Generalmente in studio mi piace essere libera. Solo io ed un suono, in modo da seguirlo o plasmarlo, condizionarlo o tornare sui miei passi e vedere cosa accade. Questi sono davvero bei momenti.
Da un punto di vista più tecnico, ho letto che hai gradualmente abbandonato un set up digitale a favore di uno analogico. Di cosa ti servi oggi per le tue produzioni?
Si e no. Ho scelto di non usare più un computer durante le performance live, avevo bisogno di un cambiamento rispetto al controllo su uno schermo. In studio il computer rimane al centro del processo di registrazione e mix ma sono ritornata a suonare strumenti piuttosto che programmare note con un software. Utilizzo sintetizzatori sia analogici che digitali, effettiere, sequencer, sampler e altri strumenti. Dipende molto da come voglio caratterizzare la traccia. Analogico e digitale sono due mondi completamenti diversi di suoni e la loro associazione ti rende davvero molto creativo. Adoro le infinite possibilità di azione che nelle produzioni di musica elettronica si possono avere su una semplice onda sonora. E’ importante per me poter alterare quanto più possibile un suono al fine di arrivare a quel qualcosa che caratterizzerà la mia traccia, è importante poter individuare quella combinazione di dispositivi in grado di permettermi di suonare qualcosa non ancora suonato.
Nasci e cresci come artista in una dimensione live, e tali sono le tue performance. Cosa cambia maggiormente rispetto a quando ti trovi in studio? In genere segui una sorta di traccia mentale o lasci che sia l’improvvisazione a guidarti?
In qualche modo sono pianificate, alcuni suoni sono già programmati altri pre registrati ma l’avere pochi strumenti durante un live mi dà molte possibilità di controllare, costruire nuove strutture e modellarle a seconda dell’atmosfera del locale e del mio umore. Ho quindi la possibilità di prendere diverse scelte durante un live il che mi porta a poter improvvisare quanto voglio.
Un’altra caratteristica della tua musica è quella di creare ponti, mescolare, sintetizzare, musica elettronica e altro, jazz, musica classica, ambientazioni sonore: da dove nasce questa propensione?
Non saprei… Arvo Part, uno dei miei compositori preferiti, diceva di “amare tutti i suoni nello stesso modo”. Lo trovo giusto, indipendentemente dal genere ciò che davvero conta è creare quel racconto, quel flusso, quel groove che mi metta in condizione di dare ancora più energia al pubblico.
A proposito di contaminazioni jazz, come nasce e cosa ci dobbiamo aspettare dal progetto portato avanti insieme a Maciej Fortuna, concretizzatosi nell’album “1”?
La maggior componente del progetto con Maciej Fortuna, trombettista jazz, è proprio quella di andare oltre i confini fra i vari strumenti. Durante un’esibizione live registro un segnale proveniente dalla tromba e partendo da questo costruisco al volo nuovi suoni, non solo melodie ma anche soluzioni meno ovvie come linee di basso, clicks, pads. In questo modo la traccia si evolve e noi possiamo creare sempre qualcosa di nuovo. Per noi ha quindi la forma di un progetto electro-acoustic dotato di diversi volti ma basato su un metodo di componimento sempre uguale – elaborazione live. Abbiamo rilasciato tre album, l’ultimo dei quali “Electroacoustic Transcription of Film Music by Krzyszt of Penderecki”, rappresenta una rielaborazione di questo materiale accompagnata dai visuals di Vj Pillow come parte integrante del concerto. Per il prossimo anno potrete aspettarvi musica più dance.
“Songs For Running Trough Grasses” pubblicato sulla label Ghost Kitchen da te creata, è l’ultimo tuo bellissimo lavoro: un album specchio del tuo eclettismo sonoro, del lato emozionale ma anche di quello più movimentato della tua musica. Cosa hai voluto esprimere con quest’ultimo lavoro?
Grazie. Volevo che fosse un album pieno di felicità. Rappresenta un riassunto di ciò che lungo gli anni ho cercato nella musica, la sintesi di come mi piace essere. La gioia vince sul dolore, il cambiamento sulla malinconia. Se scrivessi canzoni d’amore queste avrebbero sicuramente ad oggetto il condividere felicità piuttosto che riferirsi a tristezza e patemi d’animo. Ed è questo anche il motivo per cui ho definito le mie tracce proprio come “canzoni” – anche se puramente elettroniche per me lo sono, destinate ad andare decisamente oltre le parole.
Che progetti hai inoltre per la neonata Ghost Kitchen?
Ghost Kitchen è una piattaforma per rilasciare non solo la mia musica ma anche compilations, un format che apprezzo molto, ed EP con una storia dietro o circa il tema trattato o per la collaborazione con altri artisti. Sento che vi possono essere molte potenzialità e possibilità. Il prossimo anno forse arriveranno alcune uscite in vinile.
Sei cresciuta a Poznan se non sbaglio, ci potresti raccontare qualcosa sulla crescente scena polacca? Quali sono dal tuo punto di vista, i giovani talenti, le organizzazioni e i festival che meritano maggior attenzione?
La scena locale cresce, ci sono eccellenti artisti sia che si esibiscono live sia come dj. Nominarli comporterebbe una lista non breve e non vorrei dimenticare nessuno. Anche i festival si ingrandiscono e ogni anno vengono organizzati sapientemente, inoltre lentamente sta crescendo la tendenza ad organizzare open air diurni.
In cosa ti vedremo impegnata nel prossimo futuro?
Per quanto riguarda le mie produzioni mi sto concentrando su musica più orientata al dancefloor. Sono in procinto di terminare alcune tracce e cerco di migliorare costantemente i miei live. Non vedo poi l’ora che vengano pubblicati i miei due EP, in uscita a breve su We are Your Music Mate e Ghost Kitchen. In programma ci sono anche piacevoli appuntamenti, frutto della eccezionale collaborazione tra Live is More, agenzia che cura il booking internazionale (e che porterà alla mia prima apparizione in Italia, al Lanificio, a gennaio) e C&C per gli eventi in Polonia.[/tab]
[tab title=”English”]Some artists own an inner dynamism. They fluently cross the invisible borders between genres, driven by an insatiable curiosity and by the challenge to experiment and search their characteristic own sound. An On Bast is one of those artists. An On Bast’s music is not only the expression of the artist’s personality and her emotions. It also shows a real interaction between the polish producer and her gears. The result is a jolly and heterogeneous universe, with high attention to details, and comes from an elaborate search and great talent. Her music manages to shift easily from the studio to a live dimension (coming soon in Italy for the first time thanks to Live Is More), combining delicate atmospheres with an energy and an unpredictability rare to find.
Officially, everything started in 2006, when your two first albums “Welcome Scissor” and “Happy Go Lucky” came out. Then, you were chosen to participate to the Melbourne Red Bull Music Academy. Though, looking backwards, could you tell us how An On Bast was born and how you got to the release of these 2 first albums?
As far as I can remember sounds had big influence on me. I was always interested in playing music, so whatever instrument fell in my hands I was playing the melodies I felt in the moment. An On Bast came to life when I realized that I wanted to create sounds, compose, produce and perform as one person project, that I wanted to be fully independent, responsible but also infinitely creative in music expression. It was the time that I was listening to ambient, experimental, lots of Warp label music. So one day I made the decision to produce an album. The first one brought me to my first festival performance (I played among Christian Vogel, Dj Krush, Swayzak) and I realized quickly that playing live electronic music, sharing this energy with the crowd is fantastic and that I wanted to commit completely to that.
How did you feel about being asked to go to Melbourne, and how was the experience? What do you think the main lesson from this, musical or not, has been?
I was so happy to be chosen even though I didn’t know for what kind of adventure I was signing in. The experience resulted far beyond my expectations. Still today it’s hard to explain this: two weeks of intensity of ideas, emotions, cultures. The main lesson I was taught was to do in life what I love to do, and doing it, to work hard and be better and better, giving the best I can. That was this kind of kick of energy that will be with me till the end I guess.
I totally agree when it is said that your music is defined as “delicate synthetic music”. It has an instinctive character, it is unpredictable, sometimes organically built on delicate melodies bringing life to everything, some other time it goes into experimental research. Under which guidelines do you compose while in studio?
“Delicate synthetic music” comes from my beginnings when people wanted to know what kind of electronic music I was producing. As an artist when you are experimenting it’s always hard to describe, so I decided back then to describe it like this. I focused only on synthetic sounds, generated from synthesizers, samplers and other machines that obviously need electricity to work. And “delicate” – for melodies that I thought were like that before I started producing more dancefloor music. I like to take my time in the studio and just follow my emotions or focus on a particular sound and play it until I reach the form that fascinates me so I can move on to some other element. Sometimes I feel I need to make an album. Working on ten to eleven tracks at the same time is very special, as you have to stick to your idea and the story behind, to get one form, treating tracks as chapters of one book. Generally I like to be free in the studio. Just me and a sound so I can follow it or shape it, influence it or back off and see what happens. That is a beautiful time.
From a more technical perspective, I red that you gradually chose an analogical set up over a digital one. What do you use in these days for your productions?
Yes and no… First I chose not to use a computer while I play live, I needed some change from controlling the screen. In the studio the computer is still the center of recording and mixing process but I come back to playing instruments more than drawing notes in a software. I use both analog and digital synthesizers, box effects, sequencers, samplers and other devices. It depends which character I want to give to the track. Analog and digital are two completely different worlds of sounds and combining them makes you very creative. I love the infinite possibilities of what you can do with a simple wave form in the electronic production. For me it is important how more I can twist the sound to get something that will make my track or which combination of devices make me play something that I’ve never played before.
You were born and have grown artistically exclusively out of live performances. How is playing live different from being in studio? Do you usually follow a sort of mental path or you just let the improvisation guide you?
It is kind of planned, some sounds are sequenced, some are looped but having few instruments in live situation gives me lots of possibilities of control and building new structures and arranging, it depends on atmosphere in the club and my flow. So I can make lots of choices during my live-act which leads me to improvise as much as I feel like in the moment.
Another characteristic of your music is that you create connections, you mix, you synthesize, electronic music, jazz, classical music, and sounds: where does this predisposition come from?
I don’t know… One of my favorite composers Arvo Part said “to love all the sounds the same”. I find it true no matter the genre, what’s important is to create the story, the flow, the groove that gives me the wings so I can give even more energy to the public.
Speaking of jazz contamination, what should we expect from the project you’re working on with Maciej Fortuna, being brought to life in the album “1”?
Most of all the duo project with Maciej Fortuna – jazz trumpet – is about crossing the lines between the instruments. In live situation I record a trumpet signal and build in flight new sounds from it, not only melodies but also less obvious sound objects like baselines, clicks, pads. That’s how the track evolves, this way we always create something new. So for us it’s an electro-acoustic project with many faces but the composing method is the same – live processing. We released three albums, the last one is Electroacoustic Transcription of Film Music by Krzysztof Penderecki, we perform with this material with VJ Pillow’s live visuals as integrated part of the concert. Next year you can expect some dance music from us.
“Songs For Running Trough Grasses” released on the label Ghost kitchen, label created by you, is your latest beautiful work: an album representative of your musical eclecticism, of the emotional side, but also of something more dynamic from your music. What did you want to express with this last work?
Thank you. I wanted this album to be joyful. This is a summary of what I was looking for in music over the years, what I like to be. Joy wins over sorrow, action over wistfulness. If I write songs about love, certainly they would be about sharing happiness, not about heartbreaking and sadness. That is why i called my tracks “songs” – for me they are songs even though they are purely electronic and they are definitely going beyond words.
What other projects do you have for the new born Ghost Kitchen?
Ghost Kitchen is a platform to release not only my music but also compilations, which is a format I like very much, and EPs with a story behind or the theme, tracks-collaborations with other artists. I feel lots of potential and possibilities. Maybe vinyl releases next year.
You grew up in Poznan. Could you tell us something on the growing Polish scene? Who are, according to you, the young talented, the organizations and the festivals we should pay attention to?
The scene grows, there are excellent live-act performers and djs. Mentioning would be quite a long list, I don’t want to skip anybody. Also the festivals are bigger and nicely organized every year, slowly the moods for day open air also comes up.
What are you projects for the future?
In production I focus on dancefloor oriented music right now. Finishing some new tracks, constantly improving my live-act. I look forward to see my two Eps coming up soon for We Are Your Music Mate and Ghost Kitchen. Nice gigs also are planned as a result of great cooperation with Live is More agency for the international bookings (the first gig in Italy will be in January at Lanificio) and C&C Bookings for Polish events.[/tab]
[/tabgroup]