Raccontarvi un festival come il Berlin Atonal non è per niente facile.
Perché?
I motivi sono diversi. In primis, mi sentirei di dire, che non è assolutamente un evento comune, e mi riferisco a tutto ciò che gli orbita intorno. Be’, diciamolo dai, è chiaro. Atonal si scosta un po’, anche un po’ di più di un po’ forse, dai canoni tradizionali del clubbing, e sebbene già qui potremmo aprire una super parentesi, per il momento preferiamo lasciarla in stand-by. La domanda che però sorge spontanea dopo l’ultima mia esperienza tra le mura del Kraftwerk è: l’hanno davvero capito tutti?
Perché se da un lato è vero che l’Atonal resta uno di quegli eventi per musicofili fanatici, dall’altro, durante il suo svolgimento, si è respirata chiaramente una forte aurea turistica, dove il turista in questo caso, è inteso a livello “musicale”.
E mi riferisco ai giovanissimi (e anche non) presenti lì perché quel weekend, se si è a Berlino, bisogna essere lì, al Kraftwerk, a tutti i costi. A coloro che provavano a ballare ogni singola sparuta nota di basso presente nelle varie performance guardandosi intorno, quasi chiedendo con gli occhi agli altri presenti “ma quando attacca?”. Atonal è un party che è diventato mainstream, perché prima o poi tutto ci diventa, e va bene così, ci piace lo stesso, ma in qualcosa si perde, è inevitabile. Il fatto che il pienone più pienone ci sia stato nell’ora in cui era sul palco la bella Sasha Grey, si proprio lei, che ha presentato in collaborazione con i Death in Vegas, Transmissions in Premiere mondiale, lascia intendere perfettamente cosa intendo. L’Atonal è stato un po’ lo specchio della Berlino di oggi, di quello che sta diventando, tanta gente finita qui o lì per caso, perché esserci è meglio del rimanere anonimi altrove. Ma la differenza, per un occhio attento, c’è, e si vede. Come lo vedi se cammini in uno qualunque dei marciapiedi della città, lo percepisci dalla standing ovation infinita dopo la performance fantastica, ancora una volta, di Alessandro Cortini la domenica sera. Commovente in una sola parola. “Avanti”, il Live A/V proposto dall’artista italiano, è un viaggio cullato dai suoni malinconici dei suoi synth che sprofonda nella memoria dell’artista in primis, e dei presenti poi, accompagnato dalle istantanee e dalle riprese di vita familiare catturate da suo nonno e trasmesse nel maxischermo alle sue spalle.
L’esperienza proposta, è meditazione per la mente, per la memoria, è un anello ben saldo che tiene stretto il presente al passato. E’ stata in quell’ora che ho capito di nuovo, che l’Atonal funziona e che soprattutto “serve”. Serve alle persone, a me, a voi, a tutti noi. Serve a far ricordare che a volte non abbiamo bisogno di casse quattro quarti o melodie groovate, ritmi veloci o non, vinili e bullshits varie e generali; a volte serve risvegliare la propria coscienza e la propria anima con qualcosa che vive in noi da sempre, ma che abbiamo nascosto e abbandonato. La musica atonale è musica scritta per uscire dagli schemi, e lo stesso dovremmo fare noi, ascoltatori fanatici e non, ascoltandola, confrontandoci con il nostro “Io” interiore. Distacchiamoci dagli spartiti, dai ritmi, dalle “regole”, almeno per una volta, almeno qualche volta. E’ per quello che l’Atonal mi ha ricordato la Berlino di adesso. Chi è che disse che la città “è povera ma sexy?”. Ok, l’Atonal non è certamente “povero” calcolando anche il prezzo del biglietto d’ingresso, ma è un qualcosa che risulta incredibilmente sexy e attraente pur discostandosi così tanto dalla normalità. E per fortuna.
Perché a Berlino di techno pura, acid, house, minimal ce n’è quanta ne volete. Ogni giorno, quasi a ogni ora. Ma non dimentichiamo quanto la musica sia speciale perché incredibilmente vasta e in grado di suscitare emozioni. E allora, le emozioni più nascoste andiamocele a cercare, andiamole a stimolare. Andiamo all’Atonal, ascoltiamo Mika Vaino, ascoltiamo Samuel Kerridge + OAKE e proviamo a capirli, interpretarli, scovarli. Proviamo anche solo a pensare che l’armonia non è come la vediamo noi per forza, e che la guerra e la violenza (in termini musicali ovviamente), possono essere la pace e il respiro. Ascoltiamo Orphx + JK Flesh, o i Theese Hidden Hands, aka Tommy Four Seven e James Kronier presentare “Aphelion”, spacchiamo le catene dei nostri limiti mentali. Viviamoli sul serio, ascoltiamoli, chiudete gli occhi! Ne avete bisogno.
L’Atonal è quel festival in cui ne vedi tante di persone con gli occhi chiusi, concentrati nel rapportarsi con la musica, isolandosi dal mondo esterno e abbandonandosi a corpo libero nelle note musicali. Ci sono artisti in grado di violentare le nostre menti; memorabile la performance di Roly Porter e Marcel Weber, che hanno presentato “Third Law”, un Live ricco di suspance e vibrazioni, di brividi, di atmosfere lontane e buie ma mai intimidatorie.
La partecipazione all’Atonal ogni volta mi trasmette sensazioni mistiche, forti, vive. Ho come ogni volta l’impressione di partecipare a qualche rito, di essere membro di una qualche tribù e avere davanti lo stregone che compie il suo rito magico, incomprensibile per alcuni, così chiaro per altri. Almeno per quanto riguarda le performance che si svolgono nel Main Stage. Si respira aria di abnegazione lì, devozione, si percepisce lo stupore, l’ammirazione… L’Atonal è quel festival in cui cerchi di perderti, quel momento in cui resti con un piede sulla mattonella del sogno e con l’altro su quello della realtà. Nel tuo corpo scorre il desiderio di esplorazione, la ricerca della conoscenza. E’ un’esperienza surreale per alcuni versi, forte, intensa, che cattura senza far male.
Se questo report non è scritto in maniera schematica e suddiviso per giorni, è perché trovo nosense il dover descrivere un festival come questo rispettando delle regole. Se di tanto in tanto, le regole possono essere infrante, perché non farlo? L’Atonal esce dagli schemi, si differenzia, è un’esperienza che va intesa come unico caso, come un’unica grande bolla. E’ come un abbraccio che riceviamo da uno sconosciuto, sentiamo le sue braccia stringere il nostro corpo, prima lentamente e dolcemente, poi sempre più forte fino alla fine per poi sentirle rilasciarci… staccarsi del tutto, o quasi; perché il gesto resta. Nel tempo. Anche se non sappiamo il nome di quello sconosciuto, e non lo sapremo mai.
L’Atonal è quel signore che viene, ti abbraccia forte e se ne va. Ti lascia il segno e ci pensi e ci ripensi a distanza di tempo. E’ quell’esperienza che avviene all’improvviso, che un po’ ti stravolge, che ti lascia delle domande e del mistero. Che ti affascina anche se per certi versi può risultare strana e incomprensibile. E’ una mano nell’oscuro che ti indica la via verso posti che non conosci, non immagini. Una guida che, ironia della sorte, aiuta a perderti perché poi a (ri)trovarti dovrai essere tu, da solo.
L’esperienza che si vive al primo piano del Kraftwerk, nel Main Stage finora menzionato, è senza dubbio di maggiore impatto rispetto a quella che si vive poi negli altri stage del festival. Lo Stage Null, al piano terra dell’edificio però, ha comunque proposto delle performance interessanti. Da sottolineare, in primis, la presenza in line up di Lory D e Donato Dozzy, che si sono alternati in consolle nel corso della notte del sabato fino alla chiusura dello stage, quella del duo londinese dei Raime il giovedì, del live brillante e davvero piacevole, carico di sonorità electro-EBM di Silent Servant e Phase Fatale e del Live A/V di Taylor Burch, la voce dei Tropic of Cancer, in coppia con Joe Cocherell aka i DVA DAMAS, con la loro batteria elettronica e le loro sonorità gothic-post-punk elettroniche.
Detto ciò, è chiaro come l’Atonal, sia, sia stato e sarà sicuramente anche nelle prossime edizioni, un percorso musicale completo. A definire il tutto ancora di più, l’apertura del Tresor nei giorni 3 e 4 del festival, che ha ovviamente proposto una situazione più tradizionale e attigua al clubbing così come lo conosciamo, – Headless Horseman, Jonas Kopp e Karl P. Meyer sono alcuni degli artisti che si sono esibiti dietro la gabbia,- e quella dell’Ohm, che ha ospitato due “very special guests” praticamente mai annunciati ufficialmente come Objekt e Function, l’ultimo giorno, ad Atonal praticamente concluso ormai, che hanno svolto il loro compito divinamente firmando la fine del festival a ritmo di house e techno progressive e dischi non convenzionali.