Mi sveglio tardi ma piuttosto pimpante. La casetta che abbiamo preso in affitto per il week-end è a Simon-Dach, non lontano da Warschauer Strasse, e quindi da una serie di monumenti fondamentali: il Muro e il Watergate sono i primi che mi vengono in mente e il Berghain non è così lontano… Dopo venti minuti di metro sono nella Press Area del Berlin Festival, all’esterno dell’aeroporto di Tempelhof. Ritiro il mio accredito e la guida del festival, oltre a un paio di biondi sorrisi. Do una scorsa alla line-up e, mio malgrado, mi accorgo che il concerto dei Sigur Ros e il live di Nicolas Jaar si svolgono contemporaneamente. Insieme ai nuvoloni che si avvicinano minacciosi, il pensiero negativo è questo: chi scegliere fra Jaar o Sigur Ros? Problema. Decido di enrare e non pensarci per un po’. Prima di ritrovare i miei amici (ai quali è toccato il ticket friday/saturday da 81 euro) mi faccio un giro per l’area artistica. Ci sono una lunga serie di stand con maglie, borse e cappellini in vendita, una serie di grossi containers colorati (mi chiedo cosa ci sia dentro) e, sparse qui e là senza apparente senso, delle ceste piene di occhiali, maschere e guanti colorati che tutti possono prendere e usare. Gratis.
Noto due ragazze che ci scavano dentro a caccia di gadgets, sembrano cani che rovistano nell’immondizia ma quando sbucano fuori sono belle e sorridenti, appena uscite dal ballo techno di Cenerentola! Insomma, l’impressione è quella di una zona-gioco per bambini troppo grandi. Geniale. E non faccio in tempo a pensarlo che mi arriva un sms dell’organizzazione con scritto qualcosa che fatico a comprendere (niente tedesco per me), la cosa divertente è che il messaggio è pieno di smile e punti esclamativi. Sembra uscito dalla cesta! Insomma, dopo tre minuti qui dentro è impossibile non farsi una risata.
Ma veniamo alla musica. Il primo concerto che ascolto è quello che, di fatto, apre il festival. Il gruppo impegnato si chiama ‘The brandt brauer frick Ensemble’, chissà se l’ho scritto bene, e devo dire che il loro sound esalta parecchio il pubblico dell’hangar 4. Ci sarano cinque o seicento persone, non di più, e a parte la zona sottopalco ci sono grandi spazi liberi. Comunque la gente applaude e incita molto questo gruppo che in certi momenti cavalca i 4/4 con una certa maestria. Techno orchestrale all’ora di pranzo? Quando si dice provare cose nuove. Poi il ritmo cala. Entra un cantante, esce un batterista, sale una violinista asiatica, esce un altro batterista dall’aria truce, scompare un pianista e riappare due minuti dopo, completamente fradicio. E avanti così, in questo frullatore che coinvolge tutto il pubblico. Fico. Peccato per quei nuvoloni laggiù, penso girando le spalle al palco e buttando l’occhio verso l’infinito (ma non oltre). E rimango così, a fissare le nuvole, mentre gli Brandt bla bla bla finiscono le cartucce buone, fino a quando un tizio con una maglietta fucsia e blu mi viene in contro, fiero dellascritta NO TIME LIKE PRESENT. Quale migliore occasione per svignarsela?
Il Main Stage è stupendo. La scenografia di un grande aereo, di cui il palco è la fusoliera spicca ai lati. Due grosse ali allungano il palco fin quasi alle piste in disuso. Spaziale. Sullo sfondo, l’inimitabile skyline di Berlino. Alle 3 spaccate si comincia con il concerto degli ‘Of monsters and Men’, gruppo rock semi-incazzato a voce femminile. Dico semi perché alla fine le loro canzoni si chiudono sempre con voce, melodia e squarci elettronici carichi di una specie di amore assoluto. Certo, in mezzo non mancano schitarrate ‘UK’ e certi assoli di batteria piuttosto rumorosi… ma il tutto alla fine risulta molto circolare, quasi logico. La gente balla e l’aria è frizzante al punto giusto. E’ stato un bell’inizio per i miei gusti, ma dopo due ore di concerti (e in attesa del seratone) ho bisogno di fare una pausa. Rientriamo che è quasi sera e, proprio mentre i Tocotronic finiscono il loro set ed io decido di farmi un piatto di quei noodels alla vietnamita. L’aspetto non è il massimo ma decido comunque di rischiare. Bingo. Sono ottimi ed economici. Birretta e via, alle nove meno venti sono sotto cassa.
I Sigur Ros stanno per iniziare. Ho deciso che li ascolterò fino alle nove e mezza, poi di corsa alla chiusura di Nicolas Jaar nell’hangar 4. C’è una bella atmosfera. Luci soffuse e tanta, tantissima gente in attesa dei Sigur. Diecimila persone? Forse di più. Ed ecco che arrivano, come anticipato dallo schermo retroproiettante. Comincia la musica e la gente batte le mani, muove la testa ma non balla. C’è poco da ballare in effetti. Questa non è dance, techno, house o checcazzo ne so. E’ roba lenta. Eppure l’aereo sembra decollare. Sono in trance fino a ‘Festival’, il pezzo che mi piace di più, un crecendo di voci a cappella e batteria che se non ti aggrappi all’asfalto è capace di sbatterti in cielo. E’ splendida, e i Sigur la eseguono alla perfezione. Una gemma di musica in mezzo all’Europa.
Quando finisce sono le 21.27, la pioggia batte forte e io schizzo da Nicolas Jaar, una mano sulla testa e l’altra stretta intorno a quella della mia ragazza. All’interno dell’hangar 4 è tutto scuro, lento, basso. C’è un’aria strana, molto particolare. Un’aria da club strafigo, per capirci. Non so se definirla sexy, comunque sexy è la prima parola che mi viene in mente per provare a spiegarmi. Una cosa che mi colpisce, inoltre, è che il pubblico oltre a divertirsi e ballare (o forse dovrei dire muoversi sinuosamente) canta a squarciagola tutti i pezzi di Jaar, specialmente ‘El Bandido’ e ‘Time for Us’. Chiaro, ma chi sono i due ragazzi che suonano con lui? Il chitarrista che lo accompagna è un tipo tutto capelli che sembra appena uscito dal Whiskey a Go-Go. Sembra un clone di Jim Morrison. Nessuno riesce a vedere la sua faccia, se ne sta costantemente abbracciato alla sua chitarra e non smette mai di suonare. Ma proprio mai. L’altro invece si divede fra la tastiera e un secondo laptop e a differenza del primo sembra piacevolmente coinvolto dalla musica e sufficientemente distaccato dai suoi strumenti. Insomma, si diverte. Anch’io mi diverto. Peccato per il volume, davvero troppo basso per un momento come questo. Poi Nicolas Jaar finisce in un mare di applausi, fischi di approvazione e richieste di suonare ancora un pezzo, ma qui il timetable è rispettato al millesimo di secondo e i tecnici stanno già preparando il terreno agli Orbital. Nel Main Stage suoneranno i Killers ma a me non interssa. Non posso perdermi la performance di questo duo leggendario, soprattutto perché non li ho mai sentiti in vita mia. E poi il rock mi piace, ma i Killers non son certo i Nirvana.
Dopo due minuti ho già una mia personalissima idea sugli Orbital: gli Orbital spaccano! Partono subito con una cover di Madonna – aspettate, è un remix coi fiocchi e… fa ballare pure i sassi! Il loro live continua così, come la partenza. Un continuo susseguirsi di sorprese, rimorsi, colori, stacchi e favole da dancefloor. Alternano pezzi puliti e rotondi con voci housy in stile Bobby Konders (n’somma, vera house) a vere e proprie mitragliate electro/rock (che apprezzo un po’ meno ma che, inspiegabilmente, non mi infstidiscono). E poi la chiusura: un pezzo di dieci minuti che mi solleva da terra alcuni centimetri e mi lascia là, col petto gonfio e i capelli sudaticci, ad ammirare quanto siano spettacolari quei due sul palco; con quegli occhiali con le luci bianche (che devo assolutamente procurarmi) e una conoscenza della musica elettronica così irritante da sembrare finta. Adorabili! PS: lo spettacolo visivo è stato incredibile, da fare invidia perfino a Fantastique.
La seconda giornata al Berlin Festival comincia con un… giretto per la città. E gira gira, fra Mitte, Kreuzberg e una passeggiata a Castanien Allee (chissà se si scrive così) – dove, per inciso, trovo chiuso il negozio di dischi più fico del mondo: Rotation – ecco che diventano le sei. Corriamo a casa a cambiarci. Doccia, sigaretta e via. Dritti in metropolitana, destinazione Tempelhof.
Alle nove spaccate siamo dentro. Come previsto. La notte si profila assai lunga ed io avevo solo due obiettivi: Franz Ferdinand e Paul Kalkbrenner. Il terzo obiettivo è quello di catapultarmi all’after show non ufficiale del Watergate.
Ma torniamo a noi. I Franz Ferdinand stanno spaccando. La voce del frontman è un po’ altalenante, a volte quasi stridula, ma pazienza. Come fai a non divertirti quando, fra cover e canzoni loro, ti sciorinano una serie di pezzi come la splendida ‘I feel Love’ di Donna Summer o la personalissima ‘Take Me Out’, canzone spacca classifiche del 2004. Certo, i dubbi non mancano: come detto, la voce del cantante sembra plastica abbrustolita e i video dietro al palco sembrano girati dal duo Giovanni Rana/Federica Pellegrini mentre i pogatori sotto palco sono, uhm, irranciditi? Paleozoico, quasi. Ma fa niente, è rock! Birra, chitarra e piedi al cielo. Il rock, specialmente dal vivo, è sempre un gran mezzo di aggregazione. Poi mi chiedo se il grosso del pubblico sia qui per i Franz Ferdinand o per Paul Kalkbrenner. Okay, forse qualcuno è anche venuto per sentire i WhoMadeWho (unico vero rimpianto musicale del week end) ma certo non per la performance dei Muso o quella del – come li definisce Wikipedia – “quartetto psichedelico britannico” Django Django.
Ma l’arcano si scopre quando entra Mr. Kalkbrenner. Mini consolle con velo nero ultra basic, niente visual particolari (anzi, visual che definirei molto artigianali), t-shirt nera senza scritte e sigaretta d’ordinanza. Al saluto quasi militare di Kalkbrenner, più simpatico che altro, il pubblico risponde con un’ovazione. Durante il suo live ce ne saranno altre di ovazioni, soprattutto verso la fine, ma nessuna come quella che ha accompagnato l’intramontabile (e per l’occasione ritoccata) ‘Sky & Sand’. Vi dirò la verità, per quanto mi piaccia Kalkbrenner – soprattutto quando suona nei club – non posso negare che il pezzo ormai ha stufato un po’ tutti. Ma una cosa è sicura: poche canzoni sanno emozionare, unire e far volare la gente come invece è capace di fare lei. A Berlino poi non ne parliamo. Così anchi’io, quando alzo gli occhi al cielo quasi infastidito penso: manca la sabbia. Altri picchi di grande godimento sono stati raggiunti durante ‘Aaron’ (pezzo semplice ma geniale… la mia ragazza si elettrizza ogni volta che lo sente) e ‘Square 1’, a mio parere la traccia più bella del caro vecchio Icaro.
In generale avrei da dire parecchie cose in merito a Paul Kalkbrenner. La prima è che, secondo me, rimarrà per sempre un grande della musica elettronica, perché mentre calava il buio sugli occhi e sulla fantasia dei nostri eroi tecnologici, e in generale su gran parte della scena techouse, lui ha risposto con una grande intuizione. Ha risposto con la creazione di un paio di album molto personali e di un sottogenere che, per quanto già in esaurimento, è stato capace di catturare l’interesse del pubblico e dei media, oltre all’invidia di moltissima gente. E sto parlando della musica, non mi riferisco al film. Adesso vi saluto che se scrivo in taxi mi viene la nausea. Ellen Allien ci sta aspettando al Watergate.
Avrei chiuso così, ma una conclusione non ci sta poi così male, vero? Vorrei lasciarvi con due parole belle, quasi poetiche, ma fra recensioni varie e questo reportage mi son volate via tutte. Allora, a corto di lessico, preferisco dare qualche numero. Anzi, qualche voto finale sul Berlin Festival 2012.
Organizzazione: 9
Pubblico: 9 (per quantità e simpatia)
Line Up: 8
Qualità del suono: 9.5
Volume: 5 (solo per gli Orbital hanno alzato!)
Merchandise: 5
Prezzi: 7
Fantasia: 10 (il ‘Silent Arena’ imbattibile, ve ne parlerò in uno special ad hoc)
Orbital: 8
Sigur Ros. 9.5
Kalkbrenner: 7
Nicolas Jaar: 7.5
Killers: non pervenuti
Ci tornerei?