“Non faremo dei reportage giornalieri per ogni singolo giorno del Bermuda, parlarvi del primo giorno però ci è sembrato qualcosa di obbligatorio!”. Così eravamo partiti il 3 Novembre, poi però ci siamo resi conto che c’erano talmente tante cose da raccontarvi che fare resoconti dettagliati giorno per giorno era inevitabile. Siamo giunti dunque all’atto finale, alle ultime 24 ore del BerMuDa: il Fly! Forse è proprio questo il momento più delicato di questi 4 giorni, il più delicato ma allo stesso tempo quello che meno rappresenta l’essenza dei Berlin Music Days. Infatti questa grande festa di chiusura è l’atto che più si avvicina al concept di tutti i grandi festival europei: location di dimensioni mastodontiche, un impianto decisamente potente, visual straordinari, gente “cappottata” da ogni parte degli hangar e un pubblico proveniente da ogni angolo della terra. D’altronde, come ci avevano detto Steffen Hack e Ulrich Wombacher, il Fly, oltre ad essere un gran festone, è soprattutto il mezzo che permette allo staff di accumulare soldi al fine di organizzare un nuovo BerMuDa nel 2012.
Come vi avevamo anticipato, al Berghain, durante la penultima nottata della nostra permanenza, abbiamo infastidito un po’ di veri Berlin-Berliner per sapere come loro vivessero questi 4 giorni. Un termine che può decisamente riassumere tutte le loro parole è “indifferenza”. I berlinesi sicuramente non odiano il BerMuDa, ma di sicuro non lo amano. Abbiamo sentito in maniera molto forte lo stacco fra gli addetti ai lavori e i clubber. E’ ancora molto viva fra il popolo della notte berlinese l’idea che se una cosa è troppo conosciuta o troppo frequentata non è poi così interessante – un po’ ovunque è così, ma qui la cosa è un’anticchia più sentita. Proprio per questo motivo locali come il Berghain, che da noi sono visti come il “top dell’underground”, lì non sono affatto reputati tali. Non vi faremo assolutamente una lista dei club che ora sono considerati underground, sarebbe veramente un nonsense, per scovarli basta partire per Berlino e parlare un po’ con la gente. Ah, un’altra fantastica cosa che abbiamo visto al Berghain: avete presente quando Richie Hawtin nel Ottobre 2009 fu bandito dal locale per aver dato libero sfogo al suo lato istrionico (tanto per prenderla alla larga?) Ecco, 2 anni dopo il club non solo non se l’è scordato, ma ci tiene che nessuno se lo dimentichi. Mentre aspettavamo che l’uomo delle liste trovasse il nostro nome, scorgiamo nell’ultima pagina una scritta rossa in stampatello maiuscolo, diceva “RICHIE HAWTIN” con sopra un’indelebile linea blu. Non è per sfottere, le cazzate le facciamo tutti, ma è evidente che al Berghain non ci passano tanto sopra!
Prima di dirigerci verso il Flughafen Berlin-Tempelhof ci fermiamo qualche minuto al numero sette di Alexanderstrasse, saliamo al nono piano dello stesso palazzo che ospita il Weekend. “Made”, così è chiamato uno degli spazi più progressive e stimolanti di tutta Berlino. Qui tiriamo un po’ le somme di questi quattro giorni, parliamo delle serate che a nostro parere sono state più entusiasmanti, dei workshop più illuminanti, parliamo dell’organizzazione e delle nostre impressioni. Il giudizio complessivo (quello di tutti i reporter che sono stati invitati) è sicuramente più che positivo: il BerMuDa è ben organizzato, è interessante, è innovativo, è grezzo e raffinato allo stesso tempo. Le note per così dire negative riguardano più che altro la difficoltà che abbiamo avuto nel ritagliarci dello spazio per lavorare ai nostri pezzi… Ma alla fine non possono decisamente esser considerate come note negative. Più che altro, quello che io ho notato è che è stato molto difficile trovare tempo per uscire dall’organizzazione giorno per giorno e immergersi nel vero sound berlinese, ma anche qui la cosa è stata risolta con un po’ di impegno.
Saliamo in macchina e ci dirigiamo finalmente verso lo storico aeroporto della zona sud del quartiere Tempelhof-Schöneberg (andate a sbriciare un po’ nella storia di questo aeroporto, i suoi muri sono intrisi di vita e di morte). Scendiamo di qualche metro e passiamo sotto a dei fari accecanti dopo i quali vediamo l’involucro della location: impressionante! Prima di soffermarci sulla musica ci facciamo un giro per avere un’idea dell’organizzazione. Le sale sono enormi, quella dell’Hangar 1 poi è spaventosa. Per i drink è necessario fare due file, una per comprare una o più tessere del valore di 10 euro e un’altra per farsi scalare il credito e acquistare il drink.
Ogni sala ha la sua cassa e il suo “bar”. Ci spostiamo poi verso un’immensa sala priva di palco, la sala: “prima di esser sicuro di voler morire, fermati qui”. E’ organizzata al meglio: divani e particolari poltrone ovunque, chioschi per rifocillarsi, punti informativi e un ottimo impianto audio che diffonde in tutto lo spazio il suono dello scrosciare dell’acqua di un ruscello, il cinguettio degli uccelli e vari suoni della natura più pura. E il guardaroba? Qui, per quanto riguarda l’organizzazione, hanno veramente raggiunto il top: con 12 euro acquistiamo la chiave personale del nostro armadietto privato (5 euro ci verrano poi restituiti nel momento in cui riconsegneremo la chiave). Non vi azzardate a dire che 7 euro è eccessivo perché perdersi chiavi di casa, iPhone, giacche e portafoglio è sicuramente peggio; inoltre l’armadietto può esser aperto e richiuso da noi un numero infinito di volte e sfruttato fino ad esaurimento spazio (noi ci abbiamo riposto 2 giacche, 2 felpe, e una grande borsa per la macchina fotografica, non male è?!). L’unico aspetto negativo della gestione degli spazi e stato quello di situare i bagni solo in quest’ultimo hangar. Dall’hangar 1 fino a quello dell’area relax era una bella camminata e vista la quantità di liquidi che si ingeriscono (soprattutto considerando quanto vada forte la birra in Germania), sappiamo tutti quanto siano importanti i bagni in queste situazioni (no, non ci provate, mi sto riferendo solo a bisogni di tipo fisiologico!).
Ma passiamo ora a ciò che veramente conta: la musica! Come dicevo l’impianto era un signor impianto, anche se a mio parere un po’ più di bassi non avrebbero fatto male. Ci soffermiamo prima nell’hangar 2 per ascoltare la chiusura del duo “Oliver Koletzki & Fran”, niente male! Restiamo lì e ci sentiamo i primi 45 minuti dei fratelli “Tiefschwarz”, è stato il primo set che ha iniziato a spingere sul serio, il pubblico saltava per saltare! Poi come un bambino che vuole il suo giocattolo preferito corro all’Hangar 2: all’una e quindici partiva James Holden! Sgomito a testa bassa per arrivare sotto la consolle… Ascolto i primi 30-45 minuti, vedo che mi muovo poco, la musica non mi avvolge, così prendo la mia Moleskine e mi appunto “James Holden: deboluccio”. Sì, io l’ho trovato deboluccio e mi dispiace anche molto. Per una tale situazione è stato troppo ricercato. Ci sta che mi tieni sulle spine a tempo indeterminato, e io adoro questo cose, ma prima o poi una cassa o una linea di basso veramente avvolgente la devi mettere! Un po’ deluso torno dai Tiefschwarz che continuavano imperterriti a minare l’Hangar 1; in quella zona la festa era veramente partita ormai! A far decollare l’Hangar 2 ci ha pensato Fritz. Devo ammettere che il suo non è proprio il mio genere preferito, sta di fatto però che con lui l’Hangar 2 ha preso il volo, la gente ha iniziato a invadere ogni centimetro quadrato di quello spazio. Ciò che ci ha colpito veramente sono stati i visual utilizzati durante il suo set: foto e video fantastici di moltissime città del mondo, da Berlino a New York City. Veramente emozionante! Prima di affrontare il sound dei due mostri, ci andiamo a ricaricare al Beatport Stage con un po’ di “strange&dark techno”: Sigha! Ammetto che sono di parte, ma il suo stile è fantastico, duro e caldo come sempre. Ci dirigiamo nuovamente verso l’Hangar 1, passiamo per il numero 2 e ci ricordiamo che sta per iniziare Ellen. Perché non sentirci l’opening del suo set? Questa è stata la domanda più furba che ci siamo fatti in quelle ore! Ho messo ora in cuffia la registrazione che abbiamo fatto… Mi sono venuti nuovamente i brividi! Ellen parte subito con la cassa, ma non esagera, la sfuma e fa entrare un’ondata melodica di synth. Entrano gli hi-hat. Eccolo, il crescendo… Ma improvvisamente chiude tutto e lascia solo la linea di basso, fa entrare un potente coro… Taglia tutto lasciando sfumare gli sgoccioli del chorus e del delay… 5 secondi di attesa con le mani in aria ed eccola: Ellen Allien parte come un treno. Grandiosa!!!
Dopo queste forti emozioni ci spostiamo nuovamente all’hangar 1. Ci facciamo 3 ore di fila fra Sven e Richie. Non è stato facile, ma ce l’abbiamo fatta! Su Sven niente da dire, sa esattamente come far esplodere l’audience, è quasi impeccabile nel suo tipo di selezione e nel preparare l’atmosfera per l’entrata di una bomb-track. Su Plastikman qualcosina da dire invece ce l’ho. Partendo dal presupposto che, nella sua totalità, lo show è veramente mozzafiato, mi sono però reso conto di come si perda veramente il 90% della vitalità di una festa. E’ come se l’obbiettivo fondamentale fosse quello di esagerare! Mi riferisco soprattutto al campionamento di quegli snare che vanno via via stringendosi e che distruggono la testa. Sì, veramente molto interessante, specialmente i giochi fra video e audio, ma penso che una persona in condizioni normali dopo esserselo fatto una volta possa anche aspettare il live 7.5 prima di rifarselo. Lo ammettiamo alle 5.30 le nostre gambe chiedevano pietà, Richie ci aveva distrutto. Ci risolleviamo un po’ con lo spirito da festa che solo Ricardo sa infondere, dopodiché decidiamo di sfruttare anche noi un po’ l’area relax!
Appena vediamo la luce del sole capiamo che non eravamo ancora pronti per affrontarla, così ce ne andiamo un po’ da Magda dove tutto era ben serrato. Quando però scorgiamo le mani alte della gente che ballava illuminata dall’alba, sotto la selezione di Villalobos ci riprendiamo al volo e abbandoniamo Magda. Che energia nell’Hangar 1 alle 7 del mattino, veramente incredibile! Stavamo nuovamente per cedere quando vediamo scritto che alle 7 e mezza avrebbero attaccato i Pan-Pot: mi sono ricordato della vitalità che mi avevano regalato in un piccolo club italiano… Non potevamo rinunciarci! Quando sono entrati loro è stato veramente come se la festa fosse appena ripartita: Tassilo e Thomas giocano con il pubblico, ridono come dei matti mentre procedono con una selezione non così ricercata, ma a dir poco entusiasmante! Verso le 10 torniamo al nostro caro armadietto, ci rivestiamo di giacche e compagnia bella, ritiriamo i nostri 5 euro e torniamo alla vita reale, dove i tassiti si fermano solo se gli va, altrimenti tirano dritto.
Arrivati in albergo incontriamo i nostri amici reporter che si sono appena svegliati e stanno per avviarsi verso l’aeroporto. Ci salutiamo e le nostre strade si separano. Dormiamo fino alle 14.00 poi veniamo buttati giù dal letto per fare il check-out. L’appuntamento per andare a prendere l’aereo era per le 18.30 nella hall. Dopo il packing time del ritorno lasciamo le nostre valige in hotel e iniziamo a vagare per la città, cosa a cui non avevamo potuto dedicare troppo tempo nei giorni precedenti. Ritornando in albergo è stato come se qualcuno ci avesse organizzato un saluto a Berlino: passando sopra Warschauer Straße, nel punto in cui la strada si rialza per passare sopra all’omonima stazione della metro, sentiamo in lontananza un battito, capiamo solo dopo che è un beat, che è musica… Poi sfuma, leggiamo la grande insegna illuminata del “Michelberger Hotel” a qualche centinaia di metri. Alla nostra sinistra, dall’altra parte della strada, una ragazza bionda con un grosso cappotto peloso suona la chitarra e canta musica Folk. Appena smette lei ecco ritornare quella calda pulsazione; ci affacciamo dal ponte per capire da dove provenisse ma niente, non c’erano luci, non c’erano file di persone da nessuna parte, si sentiva in maniera distinta solo questa cassa calda. Da qualche parte c’era qualcuno che alle 18.20 non era ancora stanco, qualcuno che ne voleva ancora, qualcuno che non aveva bisogno di grandi eventi per sentirsi vivo e se vi soffermate un attimo a pensarci veramente, se avete letto di questi 4 giorni, capirete che non è poi così scontato e semplicemente romantico dire che quel qualcuno era proprio Berlino.
Pics by Chiara Ernandes