Certe volte, per capire ed apprezzare al meglio le cose che ami, devi imparare a starne lontano. Ecco, questo è il piccolo appello che vorremo fare a tutte le persone – soprattutto agli amanti del clubbing come voi che leggete Soundwall – che hanno eletto, giustamente, Berlino come meta meravigliosa&irrinunciabile. Li conoscete anche voi, magari lo siete voi stessi, e di sicuro lo è stato più volte chi vi sta scrivendo queste righe: stiamo parlando degli “Easyjet ravers”, come li definiscono con un filo di sarcasmo i berlinesi doc, ovvero quelle persone che si imbarcano su un volo low cost, atterrano nella metropoli tedesca, si succhiano tutta la meravigliosa linfa del clubbing come non ci fosse un domani e in 48/72 ore spendono tutte le cartucce fra Berghain, Watergate, Katerholzig, Club Der Visionaere, fra line up dove i nomi in console sono più invitante dell’altro, fra spazi che non hanno limiti d’orario, talora di comportamento, di sicuro di abitudini, fra luoghi dove è pieno di gente che vuole semplicemente stare bene accompagnata dal battito di un’elettronica di qualità e vuole farlo in modo viscerale, appassionato, totalizzante.
Bello. Liberatorio. Necessario, anche: per vedere che esiste un altro mondo dove la club culture è vita e civiltà, è al centro di cuori e passioni, è qualcosa che esula dal bullismo di certi contesti italiani e non italiani, dove la faccende danzettare sono lo si voglia o no considerati uno sfogatoio dove massimizzare i profitti, provare ad esercitare divieti legislativi anacronistici o pelosi. Tutto questo è Berlino. Assolutamente. E assolutamente va provato.
Ma c’è anche molto altro. E sarebbe stupido perderselo. C’è la normalità. Un aspetto che l’Easyjet raver tende a non considerare, ingolosito dalla possibilità di essere nel suo personalissimo paese dei balocchi e di non volersene perdere manco una virgola. In realtà però quello che perdi, a fare così, è parecchio.
Permettete allora qualche piccolo consiglio. Perché comincia a piangerci un po’ il cuore a vedere gente che riduce la capitale tedesca solo al perimetro di certi posti, anzi, del “dover andare” in certi posti. Quest’anno per la settimana che ruota attorno a Capodanno abbiamo deciso di spendere una settimana a Berlino: la reazione di molti è stata “Uh, ma chissà che party ti farai, chissà al Berghain a Capodanno, chissà gli after al Katerholzig, chissà quante ore di fila a ballare al Panorama Bar e chissà le serate pre e post Capodanno al Watergate o al redivivo Weekend”. Noi però abbiamo già smesso da tempo di essere dei forzati del divertimento.
Sia chiaro: al Berghain ci siamo andati. Ma abbiamo accuratamente evitato il Capodanno, non solo per il suo prezzo d’ingresso ormai preoccupantemente alto ma anche per l’hype che lo circondava, coi biglietti in prevendita (a 40 euro) esauriti ancora ad inizio dicembre. Ci siamo andati qualche giorno prima, facendo quello che sinceramente vi raccomanderemmo di fare: dopo un sabato sera relativamente tranquillo, dopo una bella colazione/pranzo la domenica mattina, è il caso di arrivare davanti alle porte dell’edificio del “tempio” nelle primissime ore del pomeriggio, sani, sereni, rilassati, e godersi le ultime ore del lungo weekend. All’ingresso Sven o i suoi colleghi proveranno sicuramente a rimbalzarvi: basta mantenere i nervi saldi, il sorriso aperto, spiegare perché si è arrivati a quell’ora e chi si vuole vedere in line up (documentatevi sugli orari, sono sempre sul sito), non cadere nel tranello quando alle due del pomeriggio vi diranno “Tra mezz’ora chiudiamo, lascia stare” e vedrete che quasi sicuramente vi faranno entrare. Certo, sarà anche un po’ strano essere lì belli e tranquilli attorniati da molta gente felicemente stravolta perché è lì dentro da otto e passa ore: ma voi siete lì prima di tutto per la musica, vero?, e quella di solito non tradisce mai. Dopo mezz’ora di ambientamento, vi sentirete perfettamente a vostro agio. E avrete la vostra fetta di esperienza-Berghain senza per forza la “scesazza” e l’hangover del giorno dopo.
Così come per Capodanno abbiamo scientemente scelto una delle location meno hype in assoluto fra gli Easyjet ravers, anzi, a occhio bellamente ignorata: siamo finiti al Gretchen, posto che in parte raccoglie l’eredità dell’Icon e che per la notte del passaggio dal 2013 al 2014 proponeva una line up “intelligente” con Emika e Clark come headliner. Gente non tanta, locale non incredibile (bello, ma non incredibile), quasi tutti tedeschi, qualche sparuto inglese, facce pulite e sorridenti sia nella main room che nella sala drum’n’bass. Nulla di estremo, ma qualcosa di comunque gradevole. Da provare. Perché farsi un Capodanno in mezzo a persone che non sentivano l’urgenza di (stra)fare con la scusa del 31 dicembre e della notte più lunga dell’anno è una scelta da mettere in considerazione, fidatevi. Anche a Berlino.
Al Watergate ci siamo passati, abbiamo fatto la classica cosa “da italiani” (il party Life&Death) e ci siamo stati pure bene. Ma è stata l’unica concessione. Al Katerholzig ci siamo passati, un po’ perché resta un posto magico, un po’ perché a quanto pare stanno per chiuderlo e raderlo al suolo per colpa dei dissennati progetti urbanistici denominati Media Spree che stanno riempiendo le rive del fiume berlinese di avveniristici palazzoni di uffici che in realtà, complice la crisi, chissà che utilità avranno. Ok. Però ci siamo passati addirittura il 3 gennaio, subito dopo cena, con solo una saletta aperta e molta gente attorno ad un falò a bere birre (certo, non mancavano i fattoni pittoreschi a pupille pericolosamente dilatate, ma per loro provavamo simpatia, non invidia).
Il punto è che a Berlino certe qualità sono importanti, rare e preziose tanto quanto il clubbing e i suoi santuari. Dovete viverla di giorno, e da sani e riposati, per apprezzare la spazialità dell’urbanistica cittadina, spazi larghi ed improvvisi “buchi” lasciati in eredità dal Muro e da uno sviluppo della topografia cittadina che è stato pacificamente schizofrenico vista la complessità della storia berlinese nei secoli (molto interessante ed illuminante ad esempio questa intervista). Qualcosa che è unico tanto quanto il Berghain e il Club Der Visionaere, e che non ritroverete in altre capitali europee, men che meno nella caotica Italia. Camminare per Kreuzberg negli spazi attorno a Mariannenplatz è tanto appassionante quanto paracadutasi nella zona di Schlesisches Tor (che, come molti di voi sapranno, è quella del Watergate, del Club Der Visionaere, dell’Arena). Scoprire le residue baraccopoli punk che ancora vi si annidano è entusiasmante quanto un set di Dettmann, ed è anche un modo per assaporare l’etica ed estetica che sta dietro al Katerholzig a) senza dover pagare un biglietto b) senza dover sottostare agli sprezzanti interrogatori della tipa all’ingresso che non vuole per principio far entrare gli italiani.
Un’altra cosa che consigliamo parecchio di fare è andare alla ricerca del tedesco vero, del tedesco medio. Ok, Berlino è fantastica perché è un concentrato di nuove intelligenze – creativi, musicisti, designer, liberi pensatori, bohemienne 2.0, perfino gli hipster sembrano molto più svegli, ragionevoli e simpatici rispetto a quelli che trovi, per dire, a Milano. Ma sbagliate se volete ridurre la città a loro o all’esercito di immigrati di prima e seconda generazione impegnati a portare avanti ristoranti dove sfamarvi divinamente a prezzi ridotti (ah, un paio di consigli: se amate la cucina giapponese e i ramen andate al Cocolo Ramen, una sede vicino a Hackescher Markt una a Kreuzberg vicino a Hardwax, se amate il messicano il Santa Maria in Oranienstrasse 170 nel cuore di Kreuzburg è commovente, infine il sottoscritto non può che suggerirvi una cena di carnazza slava al Restaurant Split vicino a Kottbusser Tor). Cercate un po’ i tedeschi. Quelli veri. Anche un po’ grossolani. Quelli che non ascoltano elettronica, non vanno nei club, ascoltano invece i brani da classifica o gli epigoni crucchi di Vasco Rossi et similia. Quelli che hanno lavori banali – ma sono i lavori che fanno andare avanti un’economia e che permettono alla Germania di poter mantenere quel goloso Luna Park che è Berlino, città dal bilancio economico comunale abbastanza disastroso. Il modo migliore per trovarli è andare allo stadio: facile farlo andando a vedere le partite in casa dell’Hertha Berlin, la più forte squadra cittadina, che gioca i suoi incontri casalinghi nello stadio dove Zidane prendeva a zuccate Materazzi e Cannavaro sollevava la Coppa del Mondo, più difficile ma molto meglio spingersi nella lontana periferia est per arrivare allo stadiuolo dell’Union Berlin, una delle più belle esperienze calcistiche-sociali che ci sia mai capitato di vivere. Eccezione rispetto alle regole tedesche, buona parte delle tribune non hanno posti a sedere, si canta ovunque dal primo all’ultimo minuto della partita, per entrare nella curva dei tifosi più accesi bisogna farsi una camminata di cinque minuti in mezzo ad un bosco (esatto: un bosco!). La squadra è sfigata, traccheggia di solito a metà classifica della B tedesca, ma l’atmosfera è super e la storia del club è interessante (ai tempi della Germania Est era la società rompicoglioni e dissidente, quella legata alla parte più riottosa dei lavoratori, mentre la più forte Dynamo era un feudo della terribile Stasi, la polizia segreta tedesco orientale; il suo inno ufficiale è stato composta dalla stella del punk tedesco Nina Hagen; quando si è ritrovato in feroci difficoltà finanziare ha chiesto ai suoi tifosi di donare sangue negli ospedali tedeschi e devolvere il ricavato – in Germania se lo fai ti pagano – alle casse del club; c’è infine la bella tradizione della “Notte di Natale dell’Union”, con tifosi anche di altre squadre che arrivano da tutta la Germania a cantare, bere vin brulé e farsi gli auguri).
Se gli stadi per voi sono un’esperienza un po’ troppo briosa e un po’ troppo da “Domenica Sportiva” allora cambiate target e fatevi una gita a Wannsee, lago nell’ovest cittadino, arrivandoci in S-Bahn e prendendo il battello fino ad Alt Kladow (incluso nel vostro abbonamento trasporti BVG, sappiatelo), passeggiando poi nel circondario: zona di villette di vacanza e di pensionati, o di normale borghesia che vuole evitare il caos cittadino e si prende la casa in estrema periferia. Molto riposante. Molto “normale”. Molto istruttivo, per capire usi ed abitudini del tedesco medio – cosa che aiuta anche a capire meglio quanto particolare invece sia Berlino a Kreuzberg o Prenzlauer Berg coi suoi club, i suoi creativi, il suo turismo da clubbing.
Ma se proprio del tedesco medio non ve ne frega nulla e anzi vi fa ribrezzo, allora santiddio invece di rinchiudervi tutto il tempo in uno o due club per x ore di fila cercate di parlare coi musicisti, producer e dj che si sono trasferiti in città. Tantissimi, come ben sapete. Magari non cercate i “soliti” nomi, quelli che ogni tre per due vedete pure nelle console italiane e con cui scambiate chiacchiere euforiche da serate, fotografie, free drink e abbracci, ma andate alla ricerca di artisti più offstream. Noi, nella nostra settimana di Capodanno, ci siamo ritrovati in studio con Philipp Gorbachev, stretto sodale di Matias Aguayo, che ci ha fatto sentire il work in progress del suo nuovo album (in uscita verso metà 2014 sulla Cómeme di Aguayo), roba piuttosto fragrante ed anticonvenzionale nel ripescare certe sonorità no wave fondendole con electro ed acid, ma che soprattutto ci ha fatto fare bellissimi excursus musicali sul post punk sovietico (chi scrive ha sempre avuto una passione per gli Zvuki Mu, che per Gorbachev per motivi anche famigliari sono dei veri e propri mentori) ma anche in generale sulla quotidianità berlinese, su zone non battute da turisti, su studi di registrazione che si affaccino su cimiteri (bello ed inquietante…), su dove trovare un buon caffé italiano a Berlino (e detto da un mezzo russo come lui…). Berlino è piena di gente così. Scovateli. Cercateli. Contattateli. Di solito, se voi vi mostrate amichevoli, rispettosi ed informati, tendono a darvi corda, tanta, perché la vita nella metropoli tedesca è rilassata e di conseguenza rilassati diventano i suoi abitanti, artisti compresi.
Ecco. Come vedete ci sono tante cose a Berlino, oltre ai soliti santuari del clubbing. E non abbiamo parlato dei musei, delle manifestazioni culturali, dei festival d’arte, dei concerti di musica classica, delle librerie e dei bar particolari. Perdersele solo perché rosi dall’ansia di non farsi rimbalzare al Berghain o al Kater per poi starci dieci ore di fila e poterlo raccontare agli amici è, permettetecelo, non del tutto furbo. Una volta ogni tanto va fatto, di essere il mero Easyjet raver, non c’è nulla di male, ed è bello, e tutti noi che ci siamo stati siamo caduti nel tranello di dire tutti contenti “Oh, sono entrato al Panorama Bar che era sabato notte e ne sono uscito la domenica pomeriggio, che figata!”; ma non c’è solo questo. Se avete la chance di tempo e soldi di poter tornare a Berlino una seconda, terza, quarta volta considerate di vivervela, una tantum, da quasi pensionati, da gran tranquilli. Sarete ripagati. E capirete ancora meglio il valore della città che tanto amate, tanto amiamo.