Viviamo il tempo in cui ogni venerdì – almeno da quando l’“International Federation of Phonographic Industry”, l’organizzazione che rappresenta gli interessi dell’industria discografica mondiale, ha deciso che i nuovi dischi sarebbero usciti in questo giorno della settimana – vengono dati alle stampe moltissimi titoli e, tra questi, ancora di più sono le ristampe di lusso, che riportano alla luce, spesso debitamente rimasterizzate, perle più o meno note del passato. Quelle che seguono sono colonne sonore, raccolte, dischi autografi e di remix, c’è il minimalismo e l’industrial, l’elettronica d’ascolto e quella da club, nessun limite di genere, semplicemente i dischi che sono tornati per restare. Se non li avete già, recuperateli, ne varrà davvero la pena.
Alice Coltrane “World Spirituality Classics 1: The Ecstatic Music of Alice Coltrane Turiyasangitnanda”
Luaka Bop
Emiliano Colasanti
Un documento storico di portata inestimabile: la testimonianza dell’ultima fase della vita musicale e spirituale di una delle donne afroamericane più influenti di sempre.
Negli ultimi trent’anni si è sempre parlato con aurea mitica di queste presunte registrazioni – tutte su cassetta – effettuate da Alice Coltrane – tra il 1980 e il 1995 – insieme ai membri dell’ashram da lei fondato (si può fondare un ashram?). Pochissimi elementi: la voce di Alice, il coro, una tastiera e dei droni, per un disco di pura musica devozionale che trasuda anima da tutti i pori.
Tecnicamente non è neanche una ristampa, visto che è la prima volta che le registrazioni vengono ufficialmente divulgate, ma tant’è.
Uno dei dischi più belli di quest’anno, una vera e propria esperienza sonora. E per questo dobbiamo ringraziare Luaka Bop, l’etichetta di David Byrne e l’ottimo lavoro di archeologia musicale che svolge da decenni. E Alice Coltrane, ovviamente.
Sempre grazie Alice Coltrane.
B12 “Electro Soma”
Warp Records
Giulia Scrocchi
All’inizio degli anni ’90 in Inghilterra la musica cambia. Gli acidi impulsi della scena rave lasciano il posto a quella che poi sarebbe diventata “brain dance”: musica pensata per far ballare le cellule celebrali di chi si sentiva saturo degli eccessi della jungla-urbana. Presto, la saga “Artificial Intelligence” ideata dalla Warp Records, diventò bandiera di una nuova Londra.
Sì, forse “Electro Soma” potrebbe non avere lo stesso retaggio storico delle versioni su “Artificial Intelligence” firmate da Autechre e Aphex Twin, ma rimane un lavoro incredibilmente profondo, dimostratosi poi seminale per il genere e per la definizione dell’IDM.
Circa 24 anni dopo, quelle melodie gloriosamente atmosferiche brillano ancora come un aureo giorno d’inverno su un pianeta lontano, attribuendo all’album un senso di astratta immortalità.
“Electro Soma” si colloca lì, tra classiche melodie d’ispirazione Kraftwerk, freddi “bip” nord-europei e le forti suggestioni delle loro radici inglesi.
Time Machines “Time Machines”
Dais Records
Viviana Gelardi
“Time Machines” non è un disco: è un’esperienza sonora di trascendenza e annullamento del sé, è un medium per attraversare il tempo fino a sentirlo dissolversi, è un veicolo per espandere la coscienza e aprire le porte della percezione di huxleyana memoria. Non è musica in cui play, pause e stop hanno il solito significato. Quattro lunghe piece, ciascuna intitolata con il nome della sostanza allucinogena alla quale è ispirata, provate e riprovate in studio per raggiungere il massimo effetto psicotropo e “facilitare il viaggio attraverso il tempo”. Concepito come un’importante svolta – concettuale e stilistica – all’interno della discografia dei Coil (che infatti lo pubblicano nel 1998 con un altro moniker, Time Machines appunto), “Time Machines” è un, se non il, capolavoro drone: non è facile trovare un’altra opera del genere che abbia saputo eguagliarne il potere ritualistico e la capacità di aprire canali percettivi normalmente obliterati. “Time Machines” è, per definizione, senza tempo: oggi, come vent’anni fa, scavalca i comuni canoni musicali e vibra in un’eternità che forse non ci è dato di comprendere del tutto.
Ennio Morricone “John Carpenter’s The Thing”
Waxworks Records
Emiliano Colasanti
Già solo l’annuncio di questa ristampa aveva generato un caos senza pari: il sito della Waxworks preso d’assalto; l’edizione limitatissima, quella con la copertina che si apre tipo ghiaccio che si rompe, esaurita in mezz’ora; l’altra – vinile bianco – in più o meno mezza giornata; l’arrivo di una ristampa-della-ristampa che ha fatto incazzare quelli che si erano svenati col pre-order e tutta una serie di polemiche che hanno accompagnato “The Thing” fino al giorno in cui è finalmente arrivata nelle nostre case.
D’altronde in questi anni c’è stata gente che si è svenata per comprare il CD, figuriamoci il vinile.
Giusto Pio “Motore Immobile”
Soave
Maurizio Narciso
Mai titolo fu più rappresentativo per il contenuto di un disco: un “motore immobile” che rompe il silenzio; due pezzi in totale, uno per facciata, a ribadire quanto Gusto Pio fosse un grande arrangiatore musicale, oltre il sodalizio artistico con Franco Battiato (che produce il disco). Vibranti geometrie sonore nascono, si muovono pachidermiche, e scompaiono, condotte dalla presenza/assenza di pochissimi elementi: un drone di organo elettrico, unisoni vocali, il suono del violino (lo strumento per eccellenza di Giusto Pio) e quello del pianoforte. La Soave ristampa in cinquecento pezzi, di cui le prime cento in lacca trasparente, un lavoro di post avanguardia che vale una seduta di meditazione trascendentale.
Iury Lech “Musica Para El Fin De Los Cantos”
CockTail d’Amore Music
Viviana Gelardi
In questa era di riscoperte musicali – troppo citazionismo in molta musica d’oggi per non attingere direttamente alle fonti? – era solo questione di tempo perché “Musica Para El Fin De Los Cantos” fosse riportato alla luce. A farlo è la italo-berlinese CockTail d’Amore, che rende finalmente abbordabile questo gioiello di Iury Lech, artista transdisciplinare ucraino, membro della scena audiovisiva sperimentale spagnola degli anni ’80. Composto a Barcellona tra l’89 e il ’90 e allora erroneamente definito New Age, “Musica Para El Fin De Los Cantos” è disco difficilmente classificabile: ‘future classic’ forse potrebbe essere una definizione ancora oggi calzante. Disegna trame circolari con i motivi balearic marchio dell’epoca su paesaggi sonori astratti ed eterei. Si espande con le sue ripetizioni minimaliste e oniriche. Avvolge l’ascoltatore come una nebbia di musica enigmatica, meditativa, ipnotica. Una riscoperta d’eccezione.
Jan Jelinek “Loop-Finding-Jazz-Records”
Faitiche
Viviana Gelardi
Per le tante persone che lo amano da sempre, questo disco è avvolto in una nuvola di intimità, come fosse stato la colonna sonora di un pezzo di vita. Ma “Loop-Finding-Jazz-Records” può suonare incredibilmente familiare anche a chi lo ascolti per la prima volta. Perché è caldo, placido e avvolgente, dotato di una sensualità delicata e suadente, capace di addolcire anche le orecchie più dure. È la definizione di home-listening. Uscito nel 2001 sulla oggi defunta ~scape e assunto, negli anni, a manifesto del ‘warm glitch’ e della microhouse, “LFJR” è diventato uno standard del sound fine ’90-primi 2000 e un vero e proprio oggetto di culto (e quindi di speculazione discogsiana): dopo sedici anni, tramite la sua label Faitiche, Jelinek lo riporta sugli scaffali dei negozi con una ristampa perfetta e arricchita del B-side dell’EP coevo “Tendency”. Sedici anni di perfetto invecchiamento, come in botti di rovere, che ci consegnano un disco essenziale.
Jan Schulte “Tropical Drums Of Deutschland”
Music For Dreams
Ludovico Vassallo
Attenti al titolo, perché potrebbe spiazzarvi senza bisogno di ascoltare l’album. Mentre le canzoni all’interno della compilation fanno esattamente questo: spiazziano. Ed è bellissimo che la musica dia questa sensazione di disorientamento. Tutto quello che c’è dentro “Tropical Drums Of Deutschland” è intrigante e ci fa sognare allo stesso tempo ad occhi aperti, per merito delle preziose abilità di Jan Schulte, DJ resident al Salon Des Amateurs, di dare voce ad un piccolo movimento di “musica tropicale” nato in Germania a metà degli anni ’80. Le tredici canzoni formano un viaggio musicale attraverso spazi mai visitati prima d’ora che assorbono totalmente il DNA del continente nero rielaborato per mano di alcuni produttori di quei tempi come Om Buschman, TCP e Rudiger Oppermann’s Harp Attack. Affascinante.
Kenji Kawai “Ghost In The Shell”
We Release Whatever The Fuck We Want Records
Maurizio Narciso
Semplicemente una delle colonne sonore più iconiche di sempre, tratta da uno degli anime più iconici di sempre. Nulla a che vedere con il recente riadattamento cinematografico hollywoodiano, stiamo parlando del Ghost In The Shell del 1995 firmato da Mamoru Oshii, da cui hanno tratto ispirazione anche i fratelli Wachowski per la saga di Matrix. Tra suoni dark-ambient e orchestra vera, tra digitale e organico, l’accompagnamento musicale gela il sangue nelle vene anche senza la controparte visiva. La ristampa è su un disco, più eventuale bonus 7” solo per la prima tiratura, ed è curata dalla We Release Whatever The Fuck We Want: garanzia di qualità.
Lab Rat XL “Mice Or Cyborg”
Clone
Giulia Scrocchi
“Mice Or Cyborg” è un album importante per almeno tre motivi: ha avuto l’onere di scrivere l’ultimo capitolo della storia di James Stinson, risponde al principio drexciyano R.E.S.T. (ricerca, sperimentazione, scienza e tecnologia) e segna la fine dei “7 Storms”.
L’album, postumo alla morte del suo creatore, consiste in 6 fasi di sperimentazione; 6 tracce riconosciute con il codice di produzione “Lab Rat XL” e distinte con un numero da 1 a 6. La prematura scomparsa di Stinson (R.I.P.) non ha permesso la stesura di una precisa ideologia connessa all’album, ma nonostante non siano state lasciate indicazioni, la tempesta sembra comunque seguire lo stesso concetto delle altre 6: preparare l’essere umano a compiere il salto evolutivo.
Con il moniker Lab Rat XL troviamo uno Stinson più maturo, capace di farci vivere un’esperienza sonora densa e raffinata senza mai perdere la crudezza che da sempre identifica il suono dei combattenti subacquei. Forse, ogni esperimento è un passo verso un utopico finale: diventeremo -o siamo- topi o cyborg?
Leo Anibaldi “Muta”
Lost In It
Maurizio Narciso
Ne abbiamo parlato recentemente con il diretto interessato, “Muta” è un disco importante: per visione – venne registrato con il proposito esplicito di creare qualcosa di inaudito – per come suona – una mistura di acid, ambient e techno che il passare del tempo non ha addomesticato, e per l’impatto che ebbe sulla scena elettronica (non solo italiana) – contribuì a mettere sotto i riflettori internazionali la scena techno romana dei primi anni ’90. La ristampa di lusso in triplo vinile a cura della Lost In It, di cui le prime cento di colore blu, aggiunge pulizia sonora e un artwork originale tirato a lucido.
Madvillain “Madvillainy (Four Tet Remixes)”
Stones Throw
Emiliano Colasanti
Nel 2005 andava tantissimo quella cosa di realizzare album illegali mettendo insieme altri due album oppure remixandoli in toto.
Ce ne sono una valanga e in qualche modo rappresentano la storia di Internet, non fa eccezione questo di Four Tet che remixa a modo suo tutte le tracce di “Madvillainy”, l’album partorito da quel mostro a due teste formato da Madlib e MF Doom.
Visto che tutto si crea, nulla si distrugge e tutto si ristampa, esce finalmente ora in vinile e digitale – per Stones Throw – dopo essere stato carbonaro per più di un decennio.
Da avere.
Midori Takada “Through The Looking Glass”
Palto Flats
Ludovico Vassallo
Reissue preziosissima dall’originale del 1983, “Through The Looking Glass” celebra la complessa e stupefacente originalità compositiva di Midori Takada, percussionista giapponese che per tutta la sua carriera è sempre rimasta, volutamente o meno, sotto traccia e che eppure, nei giusti tempi e nei giusti contesti, avrebbe potuto raccogliere molto di più di quello che ha seminato. Nonostante questo ha compensato la mancata attenzione dedicandosi a studiare il minimalismo americano di Steve Reich e Philip Glass per applicarlo alla sua cultura musicale orientale. Il primo risultato della sua piccola discografia (quattro album) è stato proprio questo “Through The Looking Glass”: un capolavoro strutturale che celebra le percussioni in un modo pioneristico per quei tempi. Chiudete gli occhi e immaginate il paradiso. Aprite le orecchie e ascoltatelo!
Underworld “Beacoup Fish”
Universal
Damir Ivic
Passato un po’ sotto silenzio – sarà perché è uscita ad agosto, il mese della morte per quanto riguarda lo span di attenzione anche dei più incalliti discofili italiani – questo è, molto semplicemente, la reissue di uno dei dischi più importanti e più belli di sempre nella musica dance di largo consumo. Gli Underworld al massimo della forma, dell’impatto, dello stile, della forza; capaci, nonostante fosse un periodo un po’ burrascoso dal punto di vista personale per la band, di fare un disco semplicemente perfetto, senza nemmeno mezzo suono fuori posto. Lo si capisce bene scegliendo di acquistare la 4 CD Super Deluxe Edition: un mare di roba, di remix, di alternate takes, quasi tutti perfetti per dimostrare che nulla supera il materiale originario, il disco così com’era uscito all’epoca. Meglio virare sul cd o sul doppio lp che riprende la release originale, con un giusto un remastering di buon livello. Questo se non siete dei malati di “Beacoup Fish”, se non lo conoscete. Se lo conoscete già, provate nei suoi confronti vero feticismo: visto che è semplicemente techno al suo stato più puro e senza compromessi e, al tempo stesso, più comunicativo e comprensibile da tutti. Una magia che nessun altro è riuscito più a ripetere. Manco gli stessi Underworld.
Various Artists “Outro Tempo: Electronic And Contemporary Music From Brazil 1978-1992”
Music From Memory
Ludovico Vassallo
La musica brasiliana di più facile consumo generalmente è quella degli Azymuth e di Marcos Valle. Oppure quella che sentiamo nei set di Floating Points, Antal e Gilles Peterson, dopo anni di digging in interminabili giri tra i negozi di musica del Brasile. Qualcuno potrebbe dire che questa musica finisce qui, invece no! Perché John Gomez ha una marcia in più come digger, e questa sua marcia gli ha permesso di scovare le canzoni di Priscilla Ermel, Nando Carneiro, Os Mulheres Negras, Anno Luz, Andréa Daltro e di tutti gli altri artisti della compilation. Di tutte le ristampe uscite quest’anno, sicuramente questa qui a cura di John Gomez mi ha letteralmente stregato. Per il fatto che è ascoltandola si ha l’impressione di entrare in nuovi mondi sonori mai calpestati. Per il fatto che qualunque genere possiate immaginare di stare ascoltando in realtà è qualcosa di nuovo mai ascoltato prima. Jazz, fusion, orizzonti new age, drum machine allucinate, trombe e chitarre allegramente andanti non sono quello state ascoltando. Questo è il Brasile più psichedelico, intenso e ipnotico che avrete l’opportunità di ascoltare.