Berlino. Incroci e scambi di idee tra Dario Di Pace, Massimo Di Lena e Pellegrino Snichelotto, fondatori del giovane progetto discografico Early Sounds Recordings, nonché protagonista del Beyond The Label di oggi. In catalogo l’etichetta può contare al momento una decina di uscite, sufficienti per affermare il potenziale dei tre ragazzi di origini partenopee che forti delle diverse esperienze in ambito musicale, hanno saputo guardare oltre, elevandosi verso nuovi modelli espressivi. Early Sounds Recordings diventa così un contenitore dalle molteplici ispirazioni, che contribuiscono a disegnare un pensiero in continuo divenire, che in occasione dell’ultimo album approda nello scenario avveniristico di un pianeta utopico. Qui l’esplorazione di un altrove sonoro è lo specchio di un mondo interiore ricco di suggestioni. In una parola: Solaria.
Per iniziare, con quale scopo avete concepito l’etichetta Early Sounds Recordings e in cosa risiede la sua unicità?
P: Universalmente come un’esigenza, che poi è proprio ciò che ne determina lo scopo. Nel nostro caso l’obiettivo è quello di mantenere l’integrità del prodotto scegliendo di pubblicare solo ciò che ci piace, come ci piace, scevri da qualsiasi influenza esterna, regola di mercato o moda del momento.
É un obiettivo molto chiaro. In quali circostanze vi siete conosciuti e cosa vi ha spinto ad iniziare questo percorso insieme?
P: Con Dario ci conoscevamo già da tempo, ben prima di entrare nel mondo della musica. L’incontro con Massimo invece è avvenuto intorno al 2011, quando aveva già un suo percorso musicale ed un certo interesse internazionale. Tutti e tre poi insieme abbiamo unito le forze con l’intento di fare qualcosa di personale: nel 2013 abbiamo rilasciato il nostro primo disco “The Early Sounds Collective Vol. I”.
A livello gestionale ed artistico come si suddivide il lavoro all’interno dell’etichetta?
P: Con il tempo e dopo alcune difficoltà abbiamo deciso di assegnare dei ruoli a ciascuno ottimizzando così i tempi e focalizzandoci ognuno sulle rispettive prerogative, essendo comunque tutti impegnati nei nostri rispettivi progetti solisti, spesso condivisi. Io mi occupo della parte gestionale, Dario dei concept e Massimo cura maggiormente i contatti con il mondo artistico.
Al di là delle diverse mansioni di ognuno, esiste un aspetto che accomuna tutti e tre?
P: Onestamente pochi, probabilmente però è proprio grazie a quei punti di vista diversi che nasce un confronto continuo, alla base della nostra crescita, sia personale che dell’etichetta Early Sounds Recordings. C’è una sorta di copione comune che alla fine di ogni processo o analisi condividiamo e che ne determina bontà, validità e fattibilità.
Poco fa parlavi di difficoltà, vi è mai capitato di averne riscontrate nel panorama musicale di oggi?
P: A dir la verità finora siamo sempre stati fortunati, le nostre scelte sono sempre state ben accolte dal pubblico che ci supporta, inseguendo la nostra strada. Considerando che non abbiamo mai fatto affidamento su meccanismi di marketing e nessun canale di promozione, i risultati sono sempre stati in linea con le nostre aspettative, in alcuni casi anche sorprendenti, e questo ci ha reso ancor più motivati a proseguire per la nostra strada.
Descrivete il vostro studio. Da cosa è composta la vostra strumentazione?
P: Il mio studio principale è ubicato in uno spazio intimo e rilassante, che divido tra la musica e la passione per la fotografia, il quale mitiga un po’, per quanto possibile, il mio approccio frenetico alla fase produttiva. Il collante dell’ambiente è sicuramente il mio “disordine ordinato”, un insieme ibrido composto da strumenti acustici e non, percussioni, batteria che ho recentemente rispolverato per il mio prossimo EP su Early Sounds Recordings, tastiere varie, synth prevalentemente a sintesi sottrattiva, workstation e FX (Roland, Boss, Lexicon, Sony, Alesis) sui quali sto sperimentando parecchio ultimamente, campionatori e sequencer, drum machine varie e registratori.
D: Divido lo studio con Enrico e Raffaele dei The Normalmen. Si tratta di un accogliente dependance di legno collocata in un giardino e piena di tappeti. Trovo che non sia solo una questione di strumentazioni – numerose, impolverate, datate e spesso poco funzionanti – ma soprattutto di ricerca, idee ed intuizioni. In sostanza abbiamo tutto ciò che ci serve: sintesi FM (Yamaha), Casio, sintesi analogica, campionatori da 8 a 16 bit, sequencer, registratori a cassetta, batterie elettroniche, toy keyboards, piano elettrico, basso e chitarra acustici. Alcune regole semplici? Fumo libero e le attrezzature vanno usate, non guardate.
M: Il nostro studio (mio e di Lucio Aquilina) è composto da molta strumentazione cheap (fra cui alcune copie russe dei più famosi sintetizzatori e FX), da sintetizzatori analogici polifonici e monofonici, campionatori, strumenti percussivi, un talkbox assemblato da noi (difficilmente utilizzabile con buoni risultati), un Fender Rhodes mk1 ed un basso per principianti. Nel nostro caos sono liberi di entrare musicisti e persone coraggiose.
In cosa consistono le vostre fonti d’ispirazione, qual è il vostro immaginario di riferimento per i vostri dischi?
P: Non saprei individuarne nello specifico, il riferimento è dato sia dagli ascolti che dal proprio patrimonio culturale che sono eterogenei e spaziano in vari campi, influenze consce ed inconsce che si manifestano in maniera del tutto naturale, processi astratti dell’immaginario che trovano sfogo nell’avvicinarsi ad una sonorità come punto di arrivo di una ricerca musicale e stilistica istintiva, in perenne mutamento e della quale, in fondo, non si è mai abbastanza appagati.
D: L’ispirazione è estremamente varia, non necessariamente legata alla musica stessa, magari indotta attraverso un concetto o una visione. La palette di colori è ampia. Ci piace immaginarci indietro nel tempo, o meglio, collocati in diverse situazioni temporali ed ambientali. La suggestione gioca un ruolo fondamentale durante il processo creativo, crea scenari.
M: Abbiamo sempre in mente dei colori e delle atmosfere. Degli scenari visivi come ha detto Dario che immaginiamo e che ci indicano una direzione musicale. Scenari ibridi quali ambienti metropolitani immersi in distese di vegetazione; ambienti naturali contaminati da automi e tecnologia.
Quindi tra ritmi house, synth e scenari utopici, noto che il vostro catalogo si inscrive in un filone contemporaneo con un diverso approccio al suono elettronico di oggi: produzioni dalle accezioni al confine tra molteplici culture e complici di un interesse ormai diffuso su nuove sonorità provenienti dal resto mondo e dall’ambiente che ci circonda, adesso di facile reperibilità grazie a internet. É così?
P: Crediamo che la ricerca di un determinato stile sonoro nasca da molteplici fattori. Principalmente le radici, che affondano nel background musicale e culturale di ognuno di noi, che non si è formato assolutamente attraverso i moderni canali di informazione come potrebbero essere Internet o le nuove tecnologie nonostante queste ultime rappresentino oggi uno strumento aggiuntivo, utile per approfondire certi aspetti dei propri interessi e la comunicabilità.
“Solaria” è l’album che preferisco. Quali delle numerose identità (mistiche) si cela dietro l’alias “The Mystic Jungle Tribe”?
D: La componente mistica è solo relativa al concept, nato come un valore aggiuntivo del mio progetto solista Mystic Jungle che semplicemente si evolve in “Tribe” quando incontra i The Normalmen. Questa evoluzione che doveva essere inizialmente un diversivo, in realtà è diventata una collaborazione stabile coadiuvata dai corrispettivi progetti indipendenti.
Data la vostra dichiarata passione per un approccio più d’improvvisazione, avrei il piacere di chiedervi, come fate a selezionare le parti o i pezzi utili per comporre una traccia da poter poi rilasciare. Vi è una logica alla base o agite seguendo l’istinto?
D: Agiamo d’impulso, senza una logica chiara. Il brano viene spesso “scritto” su carta, almeno per quanto concerne il corpo principale, e suonato più volte cercando di ottenere un arrangiamento soddisfacente. Poi passiamo ad una fase di sovraincisione per arricchire e dare un senso al tutto. Generalmente questo processo è estremamente utile nel momento in cui dobbiamo organizzare una performance live in pubblico. Durante la fase creativa c’è una precisa etica di lavoro, estremamente attenta al dettaglio ed artigianale sfruttando al massimo l’obsoleta strumentazione di cui disponiamo. Successivamente stabiliamo delle giornate in cui riversiamo tutto il materiale registrato sulle cassette in un computer per fare operazioni di cutting e montaggio dove necessario.
Il brano, magari tratto dal vostro ultimo LP, che meglio rappresenta l’anima odierna del vostro progetto discografico.
Avendo in catalogo poche release oggettivamente diverse fra loro è difficile trovare delle tracce “iconiche” per noi, sicuramente l’ultimo disco ad essere stato pubblicato sarà sempre quello più rappresentativo, senza mai rinnegare i lavori fatti in precedenza, ognuno dei quali rappresenta un tassello in più nella nostra crescita personale e dell’etichetta. Ovviamente ognuno avrebbe una sua preferenza ma riassumendo diremmo “Ocean FM” (Nomen omen) e “Plastica Razionale“.
Come avviene la selezione degli artisti con cui collaborare e con chi altri vi piacerebbe farlo?
Beh diciamo che il nucleo del nostro gruppo si è venuto a formare un po’ per caso o per selezione naturale, avendo la fortuna di avere già in squadra i nostri produttori preferiti. Probabilmente se dovessimo scegliere un progetto non ancora realizzato ci farebbe piacere lavorare tutti assieme, ovviamente c’è molta condivisione e collaborazione tra di noi e nel lavoro di ognuno però, per questioni logistiche (siamo divisi fra Napoli e Berlino), non siamo mai riusciti a mettere in piedi concretamente un progetto musicale comune a tutti.
Potrebbe essere uno dei buoni propositi per il 2016. In conclusione quali saranno i vostri prossimi passi? A cosa vi state dedicando in questo momento?
P: Ci stiamo dedicando al nostro sito che andrà online in questi giorni. Io ho da poco ultimato il mio EP in uscita prossimamente con un nuovo alias. I Nu Guinea (Massimo Di Lena e Lucio Aquilina ndr) hanno avuto l’opportunità di ricostruire dei pattern di Tony Allen e di reinterpretarli secondo una loro chiave aggiungendo synth e drum machine, in collaborazione con l’etichetta discografica di Allen Comet Records. Il 12″ si intitolerà “The Tony Allen Experiments” e verrà pubblicato a breve su Early Sounds Recordings. Inoltre ci occuperemo sempre di altri lavori, che saranno poi alla base di alcune nostre uscite future, tra cui segnalo del materiale inedito risalente a ben trentacinque anni fa. Oltre a tutto ciò, fondamentalmente, continueremo a fare dischi.