Seguiamo e riferiamo da tempi non sospetti sulla Biennale Musica veneziana, più volte avete visto report su queste pagine e, al netto delle differenze edizione per edizione, un messaggio è sempre stato costante: il mondo della classica contemporanea – accademico, paludato, cerebrale, qualche volta apparentemente anemico – molto spesso e molto volentieri e molto a sorpresa sa essere più coraggioso dell’ultima musica “coraggiosa”, dopo il punk e il rap, che è arrivata nella contemporaneità: l’elettronica, più o meno da club.
Techno e house erano arrivate per scompaginare vecchie abitudini (l’attenzione “frontale” verso il palco, il performer) e vecchi suoni (il digitale, le “macchinette fatte male” e il software al posto dei tradizionali strumenti) così come vecchie dinamiche sociali (ritrovarsi per ballare in spazi “nuovi” e intrisi di futuro, e/o di senso di sfida). Cosa è rimasto di tutto questo oggi? Poco. Qualcosa è rimasto. Ma poco. Ha molto più peso invece il consolidamento industriale e professionale avuto da tutta questa galassia: e, a scanso di equivoci, questo per noi è un fattore comunque positivo e fisiologico (non fosse arrivato, techno e house sarebbero probabilmente scomparse e basta).
…ma è altrettanto vero che l’arrivo dei soldi e della professionalità ha portato ad un grande impigrimento ed impoverimento socio-creativo. House e techno sono diventate musiche prevedibili, purtroppo; gli eventi che ne sono contrassegnati sempre più spesso non hanno niente di atipico o di particolare (quindi: prevedibili anch’essi); prevedibile è anche il rapporto che c’è col pubblico, basato sempre più non sull’essenza-musica o sull’essenza-ballo ma sul valore sul mercato e sui social media di quanto viene proposto in line up.
Vedere che un mondo e un contesto tendenzialmente “impolverato” (lo è per pubblico, per modo di presentarsi, per circuitazione dei messaggi, per percezione esterna) come quello della musica classica aveva invece nei confronti del contemporaneo un approccio di suo spesso molto cazzuto, spesso tagliente, spesso coraggioso ai limiti dell’incoscienza senza paura di sbagliare o di deludere il grande pubblico è stata una vera lezione. E un campanello d’allarme. Nel nostro micro-piccolo, abbiamo tentato di farlo suonare, con vari articoli nell’arco degli anni. Il punto non è portare Hawtin alla Biennale Musica (come peraltro è anche successo, in passato): perché a vederla così, si ricade nell’errore di giudicare tutto dal cartellone e stop, rientrando così nella logica-del-nome che sta svuotando dall’interno la forza creativa e rivoluzionaria della musica elettronica “popolare”, quella insomma postulata non nei laboratori d’avanguardia di università e conservatori ma forgiata da rave, club, party, festival popolati da un pubblico giovane, danzante, euforico.
No. Il punto è un altro.
Il punto è cercare sempre e comunque di andare oltre. La Biennale Musica – così come molti altri festival colti, anche nel campo del jazz – ha provato a farlo, ma per mille motivi spesso la sua “voce” è rimasta quasi sempre confinata nei soliti circoli. Ovvero, parlando dell’Italia: i cenacoli di appassionati di contemporanea, l’ottimo lavoro di Rai Tre, qualche testata specializzata, uno zoccolo di appassionati poco propensi ad uscire dal loro guscio, infine una parte di pubblico che agli eventi di musica classica – anche contemporanea – ci va fa perché “fa prestigio”, non perché sia interessato al contenuto (…ma d’altro canto anche nel clubbing sempre più spesso si va in certi posti perché “fa curriculum” da viveur fashionista, mica per altro: e quindi, abbiamo poco da sfottere e fare i superiori, abbiamo e portiamo avanti gli stessi approccio “comodi” e conservatori).
Quest’anno però succede qualcosa di molto particolare, grazie alle scelte della direttrice artistica Lucia Ronchetti (compositrice di vaglia e personaggio mica male dietro all’apparenza tranquilla), alla sua terza edizione in questo ruolo: se nelle prime due edizioni ha tenuto un profilo relativamente moderato e rigoroso seppure interessante, ora ha tirato fuori i fuochi d’artificio. Mai come quest’anno, infatti, il mondo “nostro” dei festival di musica elettronica un po’ più alti e preparati irrompe nello schema e si mette a confronto col mondo della classica contemporanea, proprio in uno dei suoi santuari (la Biennale Musica è il più vecchio festival italiano dedicato alla contemporanea, quasi un secolo di vita).
Ci sono gli Autechre. C’è Kode9. C’è Dj Rupture. C’è la “madonna pellegrina” di tutti gli elettronici e gli illuminati, Brian Eno. C’è Loraine James. C’è Monolake. C’è Kali Malone. Tutti nomi che potremmo vedere, per dire, ad un festival come ROBOT a Bologna (che si celebra proprio questo weekend ora in arrivo, con una line up bellissima, colma di gusto e competenza), uno dei festival “nostri” per eccellenza.
Ci sarà tutto questo, ma ci saranno anche nomi come John Zorn (leggenda del jazz più iconoclasta e beffardo) impegnato in un inusuale concerto organistico, lui, sassofonista, incendiario, ci saranno omaggi a menti pazze della psichedelia (Fausto Romitelli), tanta classica contemporanea (tra cui anche le creazioni della “cantera” della Biennale, sotto il marchio Biennale College Musica), la collaborazione con quell’eccellenza che è il Sonic Acts amsterdamiano. Ogni singolo set, e questo è fondamentale, non è solo una esibizione-all’-interno-di-un-tour ma ha una storia da raccontare, ha un senso all’interno del programma, ha un messaggio da lanciare. La musica classica contemporanea, molto più purtroppo del clubbing, ha ancora una urgenza etico-letteraria nel farsi e nel rappresentarsi, mentre noi sempre più spesso ormai contiamo solo sulla fama del nome e sull’incasso che può generare.
E poi c’è Venezia. Gli spazi della Biennale Musica sono, da sempre, qualcosa di incredibile. Semplicemente incredibile. Un valore aggiunto strepitoso di per sé. A partire dalla Fenica riservata a Brian Eno, proseguendo per le Tese dell’Arsenale o il Conservatorio non lontano dall’Accademia. Difficilmente vi capiterà di vedere gli Autechre o Kode9 in un luogo più suggestivo.
…e poi, probabilmente, ci sarà un’altra cosa interessante da osservare con molta attenzione: il “clash” fra pubblici diversi. La Biennale Musica ha uno zoccolo duro di appassionati – quelli appunto della contemporanea – che quest’anno come mai vedrà apparire di fronte a sé noialtri “barbari”, noialtri che (colpevolmente!) non abbiamo mai troppo frequentato i cenacoli dove si forgia la classica e la sperimentazione accademica del ventesimo e del ventunesimo secolo. Cosa ne verrà fuori? Onestamente, non lo sappiamo. È come una maionese che potrebbe venire fuori benissimo, o potrebbe impazzire.
Sia come sia la sessantasettesima Biennale Musica, ovvero questa edizione 2023, potrebbe davvero essere una di quelle edizioni da ricordare, come lo fu ad esempio quella artisticamente diretta ad inizio millennio dal jazzista Uri Caine che scompaginò parecchio, fece discutere i cenacoli “alti”, ma fu un indubbio successo di pubblico e di attenzione mediatica fuori dai soliti conclavi. In più è davvero l’edizione più “clubbing” di sempre: i popoli clubbari se ne accorgeranno e vorranno mettersi alla prova, venendo a vedere l’effetto che fa? O dobbiamo rassegnarci ad essere racchiusi in un eterno circoloco elrowiano che pensa di darsi una botta di vita e di alternatività quando viene a vedere se c’è ancora Sven che dice “Not Tonight” lì dalle parti di Am Wriezener Bahnhof? Abbiamo insomma la speranza di diventare meglio del luogo comune di noi stessi, cosa che invece stiamo diventando sempre di più, e non solo maniera macchiettistica di Clebberio?
I biglietti per gli spettacoli della Biennale Musica, dal 16 al 29 ottobre, lì potete trovare qui. Il programma, qui. Fatevi un favore: regalatevi qualche giorno a Venezia. Non si vive solo di solite cose, nel clubbing e nell’elettronica “nostra”; o no?
Infine, chiudiamo con un estratto dalla presentazione dell’edizione di quest’anno scritto dalla direttrice artistica Lucia Ronchetti. È divertente la differenza di tono rispetto alla comunicazione “nostra”. Ma una volta di più, la comunicazione è bella, ma la musica conta di più.
Il 67. Festival Internazionale di Musica Contemporanea Micro-Music è dedicato al suono digitale, alla sua produzione e alla sua diffusione nello spazio acustico, attraverso tecnologie avanzate e ricerche sperimentali.
Il Festival presenta un ampio spettro di tendenze stilistiche e ricerche creative innovative della scena musicale internazionale, secondo forme installative, performative e online, con molte prime assolute commissionate dalla Biennale Musica e coproduzioni con i più importanti festival internazionali. Micro-Music intende evocare la musica generata attraverso captazioni microfoniche e indagare la natura microscopica del suono. È un Festival che mira a esaltare la bellezza e la complessità del suono digitale e dei nuovi orizzonti compositivi. L’impronta acustica specifica di ogni paesaggio e l’atto dell’ascolto come lettura dello spazio circostante, attraverso i riverberi articolati e mutevoli che l’ambiente ci rimanda, emergono nelle creazioni elettroniche delle diverse sezioni del Festival, volte a ricercare l’incanto sonoro nel contesto architettonico degli edifici veneziani.
Gli artisti invitati, provenienti da tutto il mondo, sono scultori di nuove entità sonore digitali, archeologi musicali alla ricerca di antichi suoni scomparsi, ricercatori della misteriosa, transitoria e magica natura del suono e creatori di inediti incantesimi acustici capaci di coinvolgere il pubblico con vasti affreschi musicali. L’ascolto del suono digitale, privo della visualizzazione delle sorgenti sonore e del contesto gestuale dell’esecuzione e della produzione, invita alla pura percezione acustica per una rinnovata ontologia musicale, resa possibile dall’evoluzione delle tecnologie legate alla riproduzione e diffusione del suono nello spazio. Così come possiamo entrare all’interno della materia grazie al microscopio, allo stesso modo possiamo ampliare la facoltà di ascolto e svelare la complessità del mondo auratico attraverso il microfono e la riproducibilità di ogni evento acustico, per quanto liminale, grazie al trattamento digitale delle informazioni captate nella sfera dell’inudibile, rivelando un mondo sonoro che sembrava precluso alle nostre facoltà percettive.
Micro-Music, attraverso eventi teorici e performativi, presenta gli attuali campi di ricerca sul fenomeno dell’ascolto, la verifica di dati scientifici attraverso processi di sonificazione e diversi modelli di biotecnologia applicata alla generazione del suono.