Non mi è facile iniziare a scrivere queste righe. L’amarezza è una ferita ancora piuttosto fresca e, anche se può sembrare eccessivo, frizza e fa un male cane. Potreste argomentare che in fondo si trattava solo di un festival e non è il caso di farne una tragedia. Ed avreste ragione. Ma sappiamo tutti che a volte, per alcuni di noi, un festival è molto più di un semplice festival, e la quantità di aspettative che avevo riposto in questo weekend difficilmente riuscirò a farvela percepire nella sua immensità. Come avrete probabilmente già letto, questa edizione del Bloc (un festival fino a venerdì sera dalla reputazione impeccabile) non si è svolta esattamente come era previsto che andasse. Io, per fortuna o mio malgrado, ero presente in qualità di inviata di Soundwall con un fidato “più uno” che mi avrebbe accompagnato in quella che credevo sarebbe stata una delle migliori avventure dell’estate londinese. Vorrei poter scrivere il report che mi ero immaginata di scrivere mentre facevo il conto alla rovescia per l’inizio del festival, carico di entusiasmo e di belle impressioni, ma per ovvi motivi così non potrà essere e spero che possiate capirlo. Ma andiamo per ordine.
Sono le 7.30 di venerdì e, con un e-ticket in borsa ed un pezzo di carta con su scritta una line-up che farebbe impallidire la grande maggioranza dei festival europei, sto litigando con un tassista dall’inglese improbabile che si ostina a volermi far scendere a chilometri di distanza dal cancello a cui devo presentarmi per avere accesso alla location. Per non rovinare il mio umore (che è incredibilmente alle stelle) decido di dargliela vinta e cercare il cancello a piedi. La stampa entra dal cancello 4, a quanto ci è stato detto in una mail arrivata il giorno prima insieme ai biglietti (un po’ tardino forse?), e quindi ci mettiamo a cercare questo benedetto cancello numero 4. Camminiamo intorno al London Pleasure Gardens a passo svelto, non c’è tempo da perdere. Alle 8 tocca a Jaar nel Resident Advisor Hub, ed è il primo act nella mia schedule tiratissima. Questa sera, a fare compagnia al cileno del momento ci sono Amon Tobin, Shackleton, Mosca, Hawtin, Nathan Fake, Art Department, Carl Craig, Jamie Jones, Hudson Mohawke e Addison Groove. E credetemi, ne ho dovuti lasciar fuori tanti capendo che non potrò essere in due posti allo stesso momento. Camminando intorno al recinto assisto ad uno spettacolo indecoroso ma in fondo simpatico: una quindicina di persone (ad occhi e croce spagnoli) si aiutano a vicenda a scavalcare un recinto facendo scaletta. Sicuramente sarete familiari al termine scaletta, ma nel caso fosse un’accezione solamente toscana vi basti sapere che alle scuole elementari mi ci sono sbucciata le ginocchia un centinaio di volte. “La scaletta? Dai non può essere..secondo me non ce la fanno”, dico a Ryan. Tanto per la cronaca, Ryan (il mio “più uno” in questa avventura targata Soundwall) è nato e cresciuto a Londra. Dal lunedì al venerdì lavora in finanza nei grattacieli di Canary Wharf. Un motivo che lo induce dal venerdì sera alla domenica (o nei giorni di festa) a girare il paese rincorrendo come un pazzo musica, festival e DJ. Sarà per questo che andiamo d’accordo. Comunque, preamboli a parte, Ryan sostiene che in Inghilterra non ci si infiltra ai festival. E’ impossibile, dice. Sarà, ma 6 persone son già dall’altra parte che saltano e una ragazza con tacco 10cm firmato Topshop si aggiunge al gruppo. Scavalcare con i tacchi è un’impresa notevole, non c’è che dire. Mentre continuo a camminare mi chiedo perché uno dovrebbe voler pagare 100 sterline per vedere poi altri che si infiltrano senza alcun problema a costo zero. Ma questa è solo una delle tante domande a cui non saprò rispondermi oggi, e continuo a camminare. Girato l’angolo troviamo una sorpresa alquanto inaspettata: ci sono centinaia e centinaia (forse migliaia?) di persone che fanno la fila alla base di una collinetta e la fila è talmente lunga che non riesco a vedere dove finisce. La coda si ripiega su sè come un serpente più e più volte fino alla cima di questa collina dove, suppongo, ci sia l’effettivo ingresso del festival. Strano, sono quasi le 8 e c’è ancora tutta questa fila. Che sia colpa di un cancello troppo piccolo? Magari troppa poca sicurezza a perquisire all’ingresso? Oppure sono arrivati tutti tardi per motivi di lavoro? Speculare non aiuterà certo a trovare il cancello 4, continuiamo a camminare ma nell’aria c’è qualcosa che non va. Non so bene come spiegarlo, ma mi sembra di avere nel cervello dei piccoli tarlini bastardi che provano ad intaccare il senso di eccitazione che sto vivendo. Come se qualcosa dovesse andare per forza storto. L’atmosfera è tesa, qualcuno urla, altri spingono. “Certo, non deve essere piacevole farsi 3 ore di fila dopo aver pagato il biglietto”, penso. Mi dispiace essere egoista ma non ho tempo per questo. Così andiamo avanti e finalmente troviamo questo cancello 4, ci facciamo dare il braccialetto, ci facciamo perquisire con zelo da un uomo che mi apre perfino le pagine del taccuino (tante volte i miei appunti in italiano fossero un qualche messaggio terroristico), ed entriamo. I tarlini scompaiono in un secondo: siamo arrivati in paradiso!
La location è mozzafiato e il cielo è limpido come raramente lo è da queste parti. I presupposti per il weekend più bello dell’estate iniziano a concretizzarsi. Fuori ancora spingono, ma quelli che sono dentro sembrano tutti di ottimo umore, e ci credo. La mia splendida mappina del London Pleasure Gardens ci aiuta a raggiungere il Resident Advisor Hub in pochi minuti. Nel farlo, passiamo accanto alla main arena: una tenda che immaginavo di dimensioni epiche e che invece è grande più o meno quanto camera mia. Scherzi a parte, la fila fuori dall’arena si estende in lunghezza sicuramente più dell’arena stessa ed un cartello appeso all’ingresso recita che lo show di Amon Tobin è stato anticipato di mezz’ora (dannazione, primo clash!). Ecco un altro tarlino bastardo. Cerco di ignorarlo e mi presento all’ingresso del RA Hub. Anche qui, una fila che non ha dell’umano. I giornalisti saltano la fila ed i paganti, forse giustamente, ci fischiano mentre entriamo. Il senso di colpa si fa spazzare via dalla contentezza quando finalmente siamo dentro al tendone. Tendone per modo di dire, perché anche questo è piccolo e strapieno. “Come faranno tutte queste persone ad entrare?”, chiedo a Ryan. “Non entreranno”, risponde. Pragmatismo inglese.
Nicolas Jaar ha iniziato, mi dicono, da poco più di dieci minuti. Sebbene ci sia tanta polemica a giro su quanto questo ragazzo sia sopravvalutato, la sua “avant-garde-techno-disco-bullshit” (come ho sentito definirla ad un gentiluomo di Bristol che mi stava di fianco) mi strega ed affascina. Le luci sono a tratti di un giallo intenso e a tratti rosse scarlatte. Il ragazzo dimostra di avere un gusto straordinario, e la sua selezione sarebbe tutta da ballare. Se non fosse che non ho spazio nemmeno per tirare fuori il telefono dalla borsa, figuriamoci ballare. Quello che potrebbe essere un momento incredibile per chi ama l’elettronica si trasforma inevitabilmente in un miscuglio di sudore e disagio e, anche se apprezzo ogni singolo pezzo, a malincuore comincio a pensare che ho bisogno di aria se non voglio finire a terra in preda al tipico svenimento da concerto. Prima che io possa anche solo iniziare a valutare l’idea di andarmene Nico decide di chiudere i lavori con dieci minuti di anticipo. Space Is Only Noise è bellissima, ma il sound non è certo dei migliori e Nico si becca lo stesso qualche malcommento. Ringrazia, si inchina, se ne va. Non c’è molto tempo per riflettere sulla mia cotta adolescenziale perché Tobin ha già iniziato da 20 minuti e a sentire tutti il suo ISAM show è davvero imperdibile. Ancora una volta si salta la fila (lo so, non è giusto) e ci troviamo nella main arena dove il brasiliano sta eseguendo il suo incredibile spettacolo tridimensionale: un’esplosione per occhi ed orecchie. Ed anche se la sua elettronica drum and bass/trip hop/post-dubstep – o come diavolo la si voglia chiamare – non è tra le mie preferite, lo show è mozzafiato, poco da dire. Vien da chiedersi se questa sia la location giusta, ma direi che le domande ed i dubbi su questo festival stanno diventando decisamente troppe. Maledetti tarlini rovina-festival.
Quando il caro Amon finisce è il turno di Shackleton, ma visto che c’è ancora mezz’ora di tempo decidiamo di fare un salto sulla Ms Stubnitz. Immaginatevi il posto più incredibile nel quale siate mai andati a ballare. Ecco, probabilmente nemmeno adesso ci siete vicini. Ms Stubnitz è un vecchio colosso della Germania comunista che gira il mondo ospitando party incredibili. Di tutte le attrazioni del festival senza dubbio ne è la più straordinaria, il fiore all’occhiello del Bloc2012 e, ironia della sorte, ne sarà anche la causa del fallimento. Non c’è voluto molto per capire che non fosse un’idea brillante. Bella, bellissima, per carità. Ma ad ogni passo che faccio mi continuo a chiedere se gli organizzatori hanno tenuto una minima considerazione del concetto di sicurezza. Catene, botole, scalini su scalini, vecchie lastre di ferro arrugginite. Insomma, tutto quello che ci deve essere in una nave del dopoguerra c’è, ma forse non è proprio l’ambiente più adatto ad un’ area festival. Un party esclusivo a capienza limitata, forse. E poi quelle inglesine mezze nude (perché per loro è sempre estate) sedute sul bordo della nave che ondeggiano a tempo di UK garage mi mettono, come dire, un minimo a disagio. Comunque, pare che in mare non ci sia finito nessuno, grazie al cielo. Ryan la definisce la “death trap” più bella che abbia mai visto in vita sua. Il BOILER ROOM (istituzione per gli amanti del genere qui a Londra) sta trasmettendo live dalla pancia della nave e devo ammettere che in effetti, lasciando perdere per un attimo le mie ansie da norme di sicurezza, l’atmosfera è unica.
Poi l’inizio della fine. Usciamo dalla nave per andare a salutare Shackleton, e nel farlo assistiamo ai primi segni di cedimento del festival. Un ammasso informe di persone (100?200? Di più?) che spingono e cercano di salire sulla nave. La sicurezza si guarda intorno spaventata e a disagio, sembra che non sappiano cosa fare. C’è una signora col megafono che urla “You’re not going to get on this boat tonight, deal with that”. Simpatica. Decidiamo di rimanere per capire che sta succedendo, arrivano le prime voci che la polizia stia arrivando a chiudere tutto e non è neanche mezzanotte. Attimi dopo, si vocifera che Snoop Dogg non sia neanche montato sul palco e che la maggioranza degli artisti siano bloccati fuori senza riuscire a passare la calca. Convinta che sia l’ennesima bufala per riuscire a scoraggiare tutti quelli che vogliono montare ad ogni costo sulla nave me ne scappo in cerca di Shackleton, ma mentre mi guardo attorno è chiaro che la situazione sta sfuggendo di mano. Tanta, troppa gente. Ormai la fila è chilometrica ovunque: per mangiare, per andare in bagno, per entrare in ogni arena, per montare sulla nave e, a quanto pare, anche per entrare al festival. Sì, alcuni sono ancora fuori che aspettano. “That’s bullshit”, dice Ryan col suo solito pragmatismo inglese. Nel frattempo, @BLOCWKND twitta come se niente fosse. Mi vengono quasi in mente i violinisti del Titanic – abbiamo anche la nave per l’appunto – e mi rassegno al fatto che stiamo per affondare.
Il Resident Advisor Hub è, se possibile, ancora più invivibile di prima. Il sound è terribile ed in lontananza vedo un piccolo omino (Shackleton) che salta da un lato all’altro del palco. Mi dispiace Sam, ma non ce la faccio. E via di nuovo fuori a camminare, questa volta verso il Carhartt Dome. “You’re not going to get in this tent, go somewhere else”, dice un altro ragazzo della sicurezza chiaramente sfinito. Dentro, un’addetta ai lavori sbraita al telefono confusa mentre la gente continua a spingere per entrare. La tensione è alle stelle. Il dome non è altro che una gigantesca palla da golf con una consolle al centro. La musica è talmente bassa che io e Ryan riusciamo a conversare senza problemi col barista, cosa che in anni ed anni di clubbing raramente mi è riuscita. Gira voce che abbiano fatto abbassare la musica perché è tardi e siamo vicino ad un’area abitata. Tardi?! Will Saul sta finendo il suo set (in netto ritardo) e Mosca lo aspetta accanto paziente. Mosca comincia il suo set con Nasir Jones aka Nas, la sua shifting bass music è divertente e coinvolge ma purtroppo è bassissima, e anche se ci spostiamo non riusciamo a sentire molto. Decidiamo di andarcene – sbagliando – scoprendo soltanto il giorno seguente che Mosca ed il Carhartt Dome saranno gli unici a rimanere in attivo nelle ore seguenti. Peccato.
Nel frattempo, la polizia è arrivata e continuano a girare voci che il festival stia per essere chiuso e conseguentemente annullato per il giorno dopo. Ms Stubnitz è chiusa (quelli che sono dentro sono fortunati prigionieri), e quelli che sono fuori stanno perdendo la calma. Accanto a me, un ragazzetto non riesce ad entrare nemmeno spiegando alla sicurezza che su quella nave ci deve suonare. “Who are you?” “I am Addison Groove..” “I don’t care, you’re not getting on”.
Il povero Addison è sconfortato quanto tutti i poveri paganti che continuano a spingere. Poi, purtroppo o finalmente, arriva l’annuncio ufficiale: “Go home. The festival is over”.
Inutile dire che non l’abbiamo presa benissimo. E’ il caos un po’ ovunque, ma riconosco una calma generale che forse in Italia non sarebbe stata nemmeno lontanamente pensabile. Cordoni della polizia ci invitano gentilmente ad uscire ma noi siamo testardi e proviamo ancora una volta ad entrare in ognuna delle tende. Niente da fare, tutte chiuse e quelli che sono dentro sono prigionieri fino a che il sito non verrà sfollato. La cosa mi pare un attimo poco ragionevole e comunque i tarlini ormai hanno decisamente preso il sopravvento, quindi decido di andarmene. Mentre cammino verso un’uscita dove mi aspetterà uno shuttle (che sarà chiuso e verrà sfondato a pedate, ndr), mi chiedo che cos’è che abbia potuto fare affondare un festival del genere. Non riesco a trovare una giustificazione, sono arrabbiata e delusissima, ma il pensiero va soprattutto alla ragazza che mi sta accanto che è venuta dal Belgio e per la quale Bloc era la tanto aspettata vacanza estiva. Che dire.
Adesso che siamo al sicuro sullo shuttle (non senza però aver passato una buona mezz’ora di terrore in mezzo alla calca), il pensiero principale va al giorno successivo. Sicurezza, polizia, organizzatori, tutti hanno detto che il giorno dopo faremo meglio a rimanere a casa e risparmiare i soldi del viaggio. Che rabbia.
Sabato mattina. Mi sveglio con un gran mal di testa e come prima cosa controllo il sito ufficiale del Bloc: non ci sono delle scuse nè tantomeno c’è scritto cosa diavolo sia successo. La pagina Facebook è stata momentaneamente chiusa e London Pleasure Gardens si limita a fare un annuncio che definirei quasi offensivo, lavandosi totalmente le mani sull’accaduto e rassicurando che il calendario eventi resta immutato. Grazie! Le migliaia di persone che hanno pagato ed attraversato il paese per il festival impazzano sui social media e si definiscono devastate, frustrate, rapinate. Sussegue una breve lista di annunci ufficiali dal Bloc al quale pone fine lo statement di lunedì sera (vi risparmio le versioni precedenti nelle quali nemmeno figurano delle banali scuse), che recita così:
We wanted to reiterate that we have launched an investigation into the events of Friday night. To that end we have opened an email address to which we would like you to submit any information you think may be relevant. We are keen to hear from you so we can build the most accurate picture and report of what happened. As ever, you guys are at the heart of what we do so please drop us a line with any comments on bloc2012@baselogic.net.
Our primary concern has always been the safety and enjoyment of those attending Bloc. This is why we acted swiftly on the advice of our health and safety team who were on site on Friday evening. It was a decision that saddened the crew who have staged this festival with great success over many years.
However, the safety of those attending is our paramount concern at all times. As we have previously said, our heartfelt thanks go out to all involved in the peaceful and safe evacuation.
We would also like to make it clear that we are deeply sorry for all of the frustration and disappointment this situation has caused all of you. No one is more gutted about it than us.
Please do continue to check the site, our facebook page and follow us on twitter for further updates including information on refunds.
The Bloc team x
C’è da chidersi se la nostra “safety” fosse davvero “paramount concern all the times”. O se non fosse stato meglio pensarci prima di vendere migliaia di biglietti oltre la capienza. O magari costruire cancelli e recinti che non fossero aggirabili perfino da una ragazzina con i tacchi. O magari spendere un po’ meno soldi in video promozionali ed un po’ più soldi in sicurezza (che comunque, va detto, ha fatto davvero il possibile).
Se anche i soldi dei biglietti venissero restituiti tutti fino all’ultimo penny, nessuno potrà ripagare tutta l’amarezza che questa serata ci ha lasciato addosso. Forse è ancora presto per poter dare la colpa a qualcuno in particolare, ma resta indubbio che le cose che non andavano erano troppe per poter essere considerate catastrofi imprevedibili. E’ incredibile che tutto ciò sia accaduto proprio in Inghilterra, dove la cultura del festival musicale è importante quanto quella del calcio (e forse più). C’è una filosofia del lasciarsi andare, del dimenticarsi l’ufficio e le bollette, del condividere un’esperienza magica con degli estranei, che è unica e tipica solo di questo meraviglioso e complesso paese. E’ vero anche che, per concluderla in breve, come si dice da queste parti “shit happens”. Solo che sarà difficile adesso fidarsi di nuovo.