Ok, l’alta definizione, il 3D, gli schermi Retina, quello che volete, ma manca ancora la feature che servirebbe a rendere realmente efficace nel suo essere descrittivo questo articolo. O meglio: questa feature, in realtà, potreste ricrearvela da soli in modo molto analogico. Volete sapere com’è andata la Boiler Room milanese, insomma? Bene: prima di tutto dovreste leggere queste righe in una città dove fuori ci sono 30 gradi, voi siete chiusi in una stanza e avete acceso una stufa. Boiler per davvero insomma. Perché sì, il caldo la scorsa sera negli spazi della Ex Bazzi, in zona Ventura, ha raggiunto dei livelli irreali. Irreali.
E’ una critica? Non è una critica. Anzi, a dirla tutta il fatto di avere un posto “sweaty” pare fosse stato proprio esplicitamente richiesto dalla Boiler Room stessa: beh, accontentati in pieno. Certo, magari quando i Boileristi mettono queste richieste nel rider tecnico-logistico che mandano ai promoter locali hanno più che altro in mente location anglosassoni a novembre, dove il rischio di finire in un capannone congelato in cui quando respiri fai le nuvolette è alto; e allora meglio specificare che il posto deve essere “caldo” per aiutare a rendere più “calda” anche l’atmosfera in sala. Ma con l’anticipo d’estate rovente che c’è a Milano in questi giorni, ritrovarsi a sudare è una cosa che ti succede anche all’ombra all’aria aperta se stai immobile, figuriamoci in un edificio industriale con solo due passaggi d’aria e un sacco di gente dentro che parla, beve e balla.
Un sacco di gente, sì. Come avrete notato dalle inquadrature più allargate, è stata una Boiler Room quasi fuori scala rispetto alla grandezza standard; invece delle solite 100/150 persone, alla fine si è stati in 500/600. Di questi, sempre almeno un terzo se non metà stazionavano fuori, nel cortile fumatori esterno. Ma non perché ci fosse la solita insopportabile schiatta di presenzialisti a cui non frega un cazzo del contenuto dell’evento e l’importante è solo esserci e scroccare i free drink – no, era veramente strategia di sopravvivenza. Stare più di venti minuti di fila nella sala principale, dove c’era la console, era davvero un’impresa da uomini e donne duri. O matti.
Duri, e matti, per fortuna ce n’erano pochi. Anzi, erano praticamente assenti. Ci spieghiamo meglio: è stato molto bello vedere che la prima Boiler Room italiana non si è trasformata nello showcase del peggior tipo di audience di casa nostra, ovvero quelli che vanno alle serate tutti esaltati, rigidi ed induriti e urlano scomposti cori da stadio o invocazioni fuori luogo in romanesco (anche se sono di Bolzano). In realtà questa è solo la frangia più rumorosa e pittoresca (e spesso fastidiosa e fuori luogo) di chi frequenta gli eventi di musica elettronica nello Stivale; per fortuna la maggioranza è sempre più composta da persone che vogliono stare bene, serene, e vogliono godersi la musica e la vibra. Lo si vede nei club, lo si vede ancora meglio nei festival quali, per dire, i nostri quattro partner per i festeggiamenti del nostro quinquennale nell’annata scorsa.
Alla Boiler Room milanese la fauna era variegata, presa bene, sorridente, rilassata. Erano praticamente assenti (o se c’erano, sono stati marginalizzati) quelli che confondono il clubbing con l’andare allo stadio o sollevare pesi in palestra o l’attaccare baruffe fra bande alle giostre di paese. C’erano un sacco di addetti ai lavori, ma gli addetti ai lavori “buoni”: non quelli che arrivano nei posti con aria annoiata e piglio critico, diventando una trasfigurazione hipster e giovanilista e del Nanni Moretti più saccente, ma quelli che invece sono contenti di avere a che fare col sistema della club culture nazionale e si sentono fortunati nel potersi occupare di una cosa che gli piace. E lo fanno vedere, con naturalezza.
E poi, dicevamo: non c’erano matti. O ce n’erano pochi, ecco. Qualche esibizionista senza senso l’abbiamo visto, vero: tipo il tizio che è rimasto un sacco di tempo dietro la console, con aria impassibile, vestito in giacca e papillon (che già è discutibile se arrivi in giacca e papillon, ma ok, se però resti vestito così quando dentro ci sono 10000000 gradi è palese che sei solo un gran poser); oppure quelli che hanno passato le ore a riprendere col telefonino (benedetto figliolo, hai mai sentito parlare di www.boilerroom.tv? Ecco, là puoi rivedere tutto); così come ad un certo punto hanno fatto comparsa dietro i dj che suonavano delle proto-cubiste stile Ibiza, molto attente a ballare a favore di telecamera, e francamente erano davvero fuori contesto – ma lì magari siamo noi, è colpa nostra, perché queste figure qua le troviamo fuori contesto sempre.
E musicalmente? Le nostre piccole critiche “a monte” forse le avete lette già, e dobbiamo dire che ora a evento concluso confermiamo tutto. Confermiamo che era una line up della madonna: hanno suonato tutti molto bene, a partire da Harvey che ha fatto un set davvero molto lento per essere da dancefloor, oppiaceo quasi, ma l’effetto visto il caldo stordente in sala era suggestivo e ha catturato tutti quelli che hanno voluto farsi catturare. Confermiamo poi che alla fine un italiano c’era (ora possiamo dire il nome: Fabrizio Mammarella, scelta appunto perfetta), e confermiamo che è stato trattato un po’ come il figlio della serva: il suo nome nella comunicazione ufficiale alla fine non è mai apparso (…perché? Mah…), ha suonato prestissimo quando praticamente si stavano ancora terminando gli allestimenti interni. Però ecco, questo aspetto e comunque le nostre considerazioni sul fatto che in generale avrebbe avuto miglior effetto una Boiler Room più “caratteristica” rispetto alla nazione ospitante (vista l’attesa che c’era qui da noi per questo esordio e visto il fatto che anche all’estero potevano essere incuriositi da un po’ di specificità locale) non hanno insomma impedito che complessivamente la serata si sia confermata bella e molto riuscita. Impeccabile la produzione (ingressi gestiti bene, luci ben posizionate, security molto professionale, amplificazione della sala oltre la sufficienza e per la sua conformazione architettonica era davvero uno spazio difficile da far suonare decentemente), bella l’atmosfera, bravi i dj. E’ andata molto bene, insomma.
Altre ne seguiranno? Probabile. Non si hanno ancora notizie certe, ma i Boileristi di sicuro si sono presi bene (e sono tornati in UK con qualche soldo in più nel portafogli), la prima è andata perfettamente, fare una Boiler Room tra una cosa e l’altra non ti costa proprio due lire, ma abbiamo visto brand spendere ben di più per molto peggio. Se poi si insiste su questa formula un po’ “allargata” in cui non ci sono un centinaio di presenzialisti/esibizionisti che sgomitano per stare davanti ad una telecamera ma piuttosto un 500 persone come se fosse una vera serata da club, diventa anche una cosa bella da fruire. Cosa che non può che aiutare il “marchio” Boiler Room a resistere un po’ di più, come aura, visto che l’effetto novità del set semi-segreto fra amici da mandare in diretta mondiale via web manco fosse una riunione carbonara dopo qualche anno mostra, inevitabilmente, un po’ la corda. O almeno non è più così sconvolgente ed originale come nei primi tempi. Alla prossima, quindi?