Un disco melanconico fatto di sguardi profondi su spazi immaginari fortemente dispersivi, come un viso adulto che guarda fuori dal finestrino di un qualsiasi mezzo di locomozione che dal focolare familiare porta verso il mistero di una destinazione non sempre conosciuta, sia questa fissata su un punto di una cartina o nello spazio indefinito di un pensiero.
Bonobo sintetizza così il concetto di migrazione, in maniera leggera senza addentrarsi troppo nel problema del flusso di persone provenienti da terre lontane e martoriate da sangue, fame, fondamentalismi e dittature. Lo fa nel sesto album in studio, dal carattere fortemente introspettivo, prodotto con maturità e che va a riprendere in parte alcune delle nuove esplorazioni musicali che Simon Green, archiviato “The North Borders”, aveva toccato sia collaborando con Maya Jane Coles in “Something In The Air”, sia nel quasi inosservato ma bellissimo “Flashlight EP”, corto 3 tracce in cui mischiava le sue trame solitamente ariose a morbidi intrecci deep o comunque più fragorosi.
Che Bonobo stesse cercando nuove soluzioni al classico downtempo o alle influenze jazzy di “Days To Come” a cui ci aveva piacevolmente abituato, lo si era capito ascoltando il suo “Essential Mix” di un paio di anni fa, dove alle lente cadenze sotto frequenza aveva preferito traccioni che di downtempo avevano solo l’idea, la struttura generale. Ecco quindi che, pur rimanendo perfettamente in linea con i lavori precedenti per atmosfere e tocchi di classe, il nuovo lavoro come sempre targato Ninja Tune apporta leggere novità ad un suono che ora si è fatto più denso e consistente.
“Migration” spazia da echi trip-hop, con passaggi lenti e d’atmosfera tipici di quel fare un po’ “cloudy” di Green, a ritmiche 2-step dal sapore “buraliano” (“Outlier” e “Kerala”) ripulite dalle scorie d’acciaio care a Bevan, su cui giocano i soliti lentissimi arpeggi di chitarra. Sono belle e ci convincono anche le divagazioni deep premiate dalla voce di Nick Murphy (qui abbastanza in orbita Thom Yorke) nel pezzo – insieme a “Outlier” – più convincente del disco, o dall’apporto della band marocchina Innov Gnawa, anche se in questo ultimo caso limitare il featuring della band a una nenia nel proprio idioma sul classico giro alla Bonobo ci sembra troppo, veramente troppo poco.
È assodato che a Bonobo risulti pressoché impossibile fare musica brutta, e questo “Migration” non fa altro che confermarlo. Certamente la freschezza compositiva di “Black Sands” è lontana, ma il risultato è buono e il disco piace e piacerà, il problema semmai è questo approccio produttivo ormai sedimentato, consolidato e saldato in area di comfort, per cui lo stato di rischio è vicino allo zero, mentre l’occasione fornita dal titolo ci sembrava lieta per sentire Bonobo spaziare tra suoni e culture provenienti da luoghi lontani, magari avvicinandosi alla World Music che – siamo sicuri – non avrebbe snaturato troppo il suono. Invece, anche se il risultato finale di questo album è pressoché perfetto, ci sembra tutto un po’ ridotto al minimo sindacale, un discorso che abbiamo già accennato con “Love Song: Part Two” di Romare e che a questo punto va esteso direttamente all’intera etichetta. Viene da chiedersi quanto durerà la consapevolezza e il mero compiacimento da parte di Ninja Tune nel fare dischi belli ma non bellissimi (anche se l’ultimo dei Letherette ad esempio è francamente bruttino); che suonano bene ma non benissimo, in un gioco di sottile equilibrio che a nostro avviso appiattisce un po’ troppo lo stile e l’evoluzione musicale del roster, soprattutto se si analizzano esperimenti entusiasmanti al di fuori della comfort zone – su tutti il rilancio di Kelis (data per finita praticamente da tutti). Quisquilie per il consumatore finale forse, ma cose che tenevamo a dire: “Migration” suona bene e durerà abbastanza nelle cuffie di tutti ma vista l’attesa scatenatasi un anno fa all’annuncio dell’album e visto il nome in gioco, aspettarsi qualcosa di più ed aspettarsi già al 13 gennaio un nome buono per le (ancora lontane) classifiche di fine anno era cosa lecita, gradita, e se vogliamo – al sesto album – anche dovuta.