“Italia techno significa principalmente Roma. […] Nella Capitale all’inizio dei ’90 si è scritta la storia.” Questo incipit è tratto da “Techno” di Christian Zingales, dove illustra come il suono di Roma dei primi anni ‘90 abbia riscritto la geografia della techno proprio in quel decennio, protagonista di una grande enfasi creativa. Ora, la stessa Roma di cui parla Zingales, rivive un nuovo periodo di rinascita positiva che vede artisti, etichette ed organizzazioni riversare il loro impegno in quello che sarà sicuramente e, già lo è, un nuovo capitolo per la techno capitolina. Tra questi artisti abbiamo avuto il piacere di fare alcune domande al dj e produttore Brando Lupi, nonché label owner della Detune Records. Fortemente influenzato sin da adolescente dal mondo dell’hip-hop, del progressive-rock, dell’acid-house e dell’elettronica, Brando Lupi approda poi alla techno e ai suoi derivati, i quali diventeranno ben presto suo pane quotidiano. Tra le righe di questa intervista un ricordo vola senza dubbio all’etichetta Elettronica Romana nata intorno a quello che fu un punto di ritrovo per tutti gli appassionati (e non), il negozio di dischi Re-Mix. In chiusura, Brando Lupi tende a rimarcare un fenomeno dilagante negli ultimi tempi e con il quale non si può non essere d’accordo: la mistificazione della musica elettronica, che finisce per fare proprie etichette ai limiti del superfluo che nel tempo si depositano sopra superfici intatte come ruggine.
Partiamo dalla storia recente, sei una delle colonne portanti del progetto STRATI con sede al Brancaleone di Roma che, secondo il tuo amico (e collaboratore) Donato Dozzy, “si configurerà come un nuovo palcoscenico per artisti inesplorati e progetti inediti, sia per appassionati sia per spiriti curiosi”. Quali sono le tue aspettative in merito a questo nuovo progetto? Che tipo di obiettivo vi siete prefissati?
Credo che per molti anni il Brancaleone sia stato, per Roma, uno di quei pochi posti in cui ci si sforzava di promuovere e divulgare la ricerca musicale e una sperimentazione sonora di altissima qualità. Nascendo come centro sociale, era al di fuori di qualsiasi forzatura commerciale e, trovandoti lì, la percepivi realmente quell’atmosfera. Riguardo alle aspettative e gli obiettivi presenti, ci stiamo impegnando per promuovere la qualità della musica, coinvolgendo artisti che rientrino in un discorso di ricerca musicale e di rinnovamento della stessa. Un posto dove poter sperimentare, senza limiti. Quando Donato mi parlò per la prima volta di questo progetto, non ho avuto esitazioni, anzi, mi sono sentito subito coinvolto e il nostro entusiasmo, e questo te lo posso assicurare, nasce dall’amore che abbiamo per la musica e dall’esigenza di comunicare e trasmettere agli altri quello che crediamo sia fonte di ispirazione, novità e ricerca musicale.
Solitamente, quando produci in cosa consiste il tuo immaginario di riferimento? Artisti cui ti senti ispirato e da cui continuamente attingi come stimolo?
La musica che, negli anni, ha contribuito alla mia formazione, è stata piuttosto varia, da bambino “strimpellavo” una tastierina, ma la maggior parte del tempo, la passavo disegnando. Poi, verso i dodici anni, ho cominciato ad appassionarmi al mondo dei “djs”, al tempo (26 anni fa!), passavo ore a “scratchare”, fare “cutting” ed altre cose che, con i piatti, mi divertivano parecchio. In quel periodo, i miei punti di riferimento musicale, erano parte del mondo del hip-hop/rap come Public Enemy, DJ Jazzy Jeff & The Fresh Prince, Cash Money Records, Grandmaster Flash. Ce ne sarebbero davvero tanti da citare, tutti i giorni mi rivedevo film come “Beat Street” e “Break Dance”. Avevo anche un gruppo di amici con cui facevamo graffiti. Fino ai 13-14 anni, (quando iniziai a fare le mie prime esperienze da disc jockey nei locali), ascoltavo molto di quella musica insieme ai Pink Floyd, tutto il rock-blues e il prog-rock di band quali Genesis, King Crimson, Camel. Nel frattempo stava nascendo l’acid-house che mi folgorò totalmente: Fast Eddie, Humanoid, Bomb the Bass, Tyree Cooper. Stava nascendo quella musica che avrebbe messo le basi per quella che oggi conosciamo come techno. Passavo ore a disegnare, scratchare e provare a fare dei mix con le cassette registrando musica dalla radio. In particolare, c’era una trasmissione che si chiamava Dimensione Dance, con Faber Cucchetti, dove potevo ascoltare un po’ di musica “nuova”. In quegli anni, decisi seriamente di studiare anche pianoforte e chitarra e, da quel momento, non ho più smesso. Un periodo che ebbe una grandissima influenza su di me, fu agli inizi degli anni ’90, quando cominciai ad ascoltare i primi dischi di Autechre, Aphex Twin, The Future Sound Of London, Pete Namlook. Secondo me quello fu un periodo incredibile, mi sembrava l’evoluzione del krautrock e di derive cosmiche come quelle dei Tangerine Dream, Klaus Schulze, Cluster. Era un’elettronica nuova, che aveva, come tutto il resto, il suo riferimento al passato, ma in una forma, con dei suoni e delle strutture, completamente nuova: illuminante! La musica dei Tool e dei Nine Inch Nails (NIИ) è stata un’altra parte fondamentale del mio percorso e, riguardo alla musica elettronica attuale, un altro grande punto di riferimento è stato Monolake, con cui ho avuto il piacere di suonare insieme al festival che si svolge annualmente vicino a Sofia e si chiama Artmospheric. La musica mi ha insegnato molto, non solo riguardo a un aspetto “tecnico”, mi ha trasmesso il senso della motivazione, l’importanza di credere in qualcosa, il valore dell’impegno quotidiano per migliorare se stessi e quello che si vuole costruire e ha dato un sano sfogo ad una parte del mio carattere difficilmente gestibile.
Quali strumenti, programmi hai usato e/o utilizzi tuttora per produrre musica? Com’è cambiato il tuo modo di comporla nel corso degli anni?
Gli strumenti per fare musica sono sempre quelli: sintetizzatori, drum maschines, chitarre e molti effetti. Il primo software su cui lavorai fu Cubase, poi, 16-17 anni fa, iniziai ad usare Pro Tools da cui non mi sono più separato. Negli anni ho iniziato ad usare insieme Pro Tools e Ableton. Per quello che riguarda la composizione vera e propria, non ho regole fisse, la cosa importante è trovare un primo elemento “significativo”, o qualcosa che mi emozioni e, in genere, lo vado a cercare in un’armonia o in una melodia, altre volte mi concentro più sul trovare un “suono”. A volte un bel suono o un suono interessante, ti aiutano a sviluppare l’idea di una melodia o di un’armonia. Amo l’improvvisazione perché può portare a risultati inaspettati, ma credo che vada sviluppata e alimentata con consapevolezza e grande flessibilità mentale. Non sopporto gli schemi rigidi, questo perché sono convinto che, essendo ognuno un essere a se, con la sua visione personale delle cose e il suo modo soggettivo di percepirle, bisogna lavorare per capire qual è il metodo più efficace per trovare la tua strada e i mezzi per percorrerla, l’unica regola universale da seguire, è quella della disciplina, della costanza e della passione. Se non c’è amore in quello che fai, nel momento in cui lo fai, credo che sarà sempre difficile raggiungere dei buoni risultati.
Quando e perché hai sentito l’esigenza di creare una tua piattaforma musicale, la Detune Records?
Sono sempre stato una persona molto indipendente è più forte di me così, alla fine del ’98, iniziai a pensare che, se non avessi trovato un’etichetta seria, ne avrei aperta una mia. Passò un po’ di tempo e, nel 2000, decisi di provarci. Al tempo la situazione a Roma non era come oggi dove, per fortuna, ci sono stati tanti altri “coraggiosi” che hanno deciso di seguire questo percorso. C’erano state delle notevoli realtà nell’ambito delle produzioni elettroniche romane indipendenti ma, come ho detto prima, era un momento un po’ statico. Tutto questo avveniva molto prima di realtà come Elettronica Romana e altre etichette romane. Ti dirò sinceramente che non è stato facile a parte le difficoltà economiche, non c’era la possibilità di condividere il tuo lavoro come si riesce oggi grazie a Twitter, Facebook e tutta l’attuale comunicazione digitale avevo pensato che, a meno che non ci fosse stata un etichetta importante, sarebbe stato meglio rendersi indipendenti anche per evitare quelle odiose situazioni (che comunque mi si sono riproposte) in cui tu ti impegni, fai il tuo lavoro al meglio, e poi soffri perché non trovi nessuno così corretto da tenerti aggiornato sulle vendite, nessuna forma di trasparenza in poche parole pensi – “io la musica l’ho fatta, te l’ho data, ma tu non mi hai dato un centesimo”. Non sono state molte le uscite della Detune (spero poche ma buone, ma questo non sono io a dirlo!) l’ultima cosa che sarebbe dovuta uscire, era il mio album doppio, Sleeping World ma il distributore chiuse per fallimento. Avevo investito tutto quello che avevo quindi fu una situazione decisamente penalizzante. Ora la Detune sta per ripartire ma per ora preferisco non parlarne, posso dirti che ho molti progetti, ma questa volta vorrei organizzarmi meglio. Le alternative sono due: o segui davvero la tua etichetta e, a quel punto, non so quanto tempo avrai per fare musica, o fai musica e trovi un partner valido per lavorare anche sulla tua etichetta, altrimenti perdi solo tempo.
Ecco, non a caso prima hai citato l’etichetta Elettronica Romana. Bene è un grande peccato che le risorse e le idee nate, sviluppatesi e cresciute, intorno a una grande istituzione culturale e musicale quale il negozio di dischi Re-mix Records, si siano “disperse” in altri tipi di contenitori. Rimpiangi un progetto ricco e valido come quello/i?
Sì, è stato un vero peccato, sono convinto che, nel tempo, avrebbe portato ottimi risultati. Per fortuna, quello che è stato fatto, ha lasciato il suo segno, poi ognuno ha continuato per la sua strada realizzando progetti altrettanto validi. Mi è dispiaciuto vedere chiudere Re-mix, ci compravo i dischi da quando avevo 14 anni.
Nel 2010, Zetasong è inserita in una scena del film la “Solitudine dei numeri primi”, un film di Saverio Costanzo. Com’è nata l’opportunità di creare soundtrack e cosa ti ha spinto a realizzarla? Ti rivedremo presto in un’avventura simile?
La colonna sonora del film “La Solitudine Dei Numeri Primi”, è stata davvero una bellissima esperienza, ho curato molte delle musiche del film, non solo Zetasong. Quando incontrai il regista, mi disse che cercava delle atmosfere alla John Carpenter, mi si sono illuminati gli occhi. “1997: Fuga da New York”, è stato per me una pietra miliare, ero contentissimo, avrei lavorato dovendo seguire un certo tipo di riferimento e che riferimento! Così abbiamo iniziato a lavorare sulle musiche originali che avrebbero sostituito quelle di Carpenter montate, in precedenza, dal regista e alcuni brani di Mike Patton che, al contrario, non si identificavano molto con le sue esigenze. Al Festival di Venezia ero molto emozionato. C’era Quentin Tarantino seduto poco distante da me, e vedere sui titoli di coda il mio nome sconosciuto accanto a nomi come lo stesso Patton, Ennio Morricone, i Goblin mi ha fatto una certa impressione, non credevo di poter esserci anch’io. E’ stata un’esperienza molto motivante e gratificante. Vivere di musica è davvero difficile, ma ci sono dei momenti che ti ripagano immensamente, molti di questi momenti, secondo me, sono quelli in cui, in un certo modo, entri in contatto con gli altri attraverso la musica allora capisci che fai musica perché ami la musica e perché quel tuo amore trova un senso quando riesci a trasmetterlo al mondo intorno a te. Mi piacerebbe in futuro, lavorare ad altre colonne sonore, non ci sono limiti creativi e può essere un lavoro molto stimolante. Dopo una band seria con cui suonare in giro, sarebbe un’altra cosa che continuerei a fare con grande stimolo.
Nonostante la tua valida discografia, tra EP, compilation, remix e soundtrack, noto che nell’ultimo periodo ti sei “fermato”. Deduco che ti stai dedicando a qualcosa d’importante. Quali progetti hai in serbo per il futuro?
Intanto, grazie per ritenere valida la mia discografia, anche se sarò sincero, sarà uscito un 3% di tutto quello a cui ho lavorato. Questo è dovuto, in parte, a lunghi periodi piuttosto complicati della mia vita, e in parte, ad esperienze negative che, ad un certo punto, mi avevano fortemente demotivato. Per un periodo ho pensato – “Funziona così? allora vaffanculo” e così, per un lungo periodo mi sono concentrato di nuovo sulla chitarra e il piano, senza però, smettere definitivamente con un certo tipo di mondo musicale. A volte, basta che salti un piccolo ingranaggio che, si incasina tutta la macchina. Ora sono di nuovo concentrato su nuove produzioni (ma non dico nulla finché non saranno uscite!) ho ritrovato un sacco di energie e motivazione e, questo grazie anche alla musica di tanti artisti che ho sentito di recente e che mi hanno dato nuovi stimoli musicali (ci sono cose industrial-techno strepitose!). I progetti più vicini, al momento, sono due EP per due etichette che rispetto moltissimo e poi tanta, tantissima musica e progetti che vorrei condividere con amici ed artisti che stimo come Donato Dozzy, Dino Sabatini, Ness e Claudio PRC (a cui ho già fatto un remix), Neel, Obtane, Giorgio Gigli, Conrad Van Orton, Kaeba e molti altri. Non solo musica elettronica ma musica e basta, senza schemi o inutili etichette.
Qual è la tua opinione in merito allo stato attuale della scena elettronica italiana, rispetto all’Europa, e al continuo avanzamento della tecnologia digitale?
Credo che la scena elettronica italiana, negli anni, è cresciuta in modo esponenziale. Ci sono produttori e djs italiani che fanno veramente i numeri, purtroppo in Italia siamo ancora molto esterofili, c’è molta confusione e mistificazione sulla musica elettronica, per non parlare, nello specifico, di quello che tanti chiamano techno ma techno non è. Ora chi conosce la techno vera, sa di cosa parliamo. Penso che negli ultimi anni sono nate etichette molto interessanti e, se penso al panorama mondiale della techno, mi sento piuttosto orgoglioso di quello che producono artisti italiani. In tutta sincerità credo che non abbiamo da invidiare niente a nessuno, anzi. La tecnologia digitale oggi ti offre possibilità illimitate e, questa è una grande cosa, poi sta a te capire come sfruttarla al meglio, integrandola anche con l’analogico. Sono sempre stato a favore della tecnologia perché è innovazione e progresso (entrare nel dibattito analogico vs digitale mi sembra una cosa inutile, è come usi i mezzi a tua disposizione a fare la differenza!). In questi ultimi anni ho ricominciato a suonare parecchio all’estero, Giappone, Portogallo, Bulgaria, Ungheria, Londra, New York, quindi ho avuto modo di ascoltare e di confrontare, ho avuto la conferma che nel nostro paese, c’è stato e c’è, chi fa un ottimo lavoro. Le indecenze politiche che abbiamo patito in questi anni e che ci hanno ridicolizzato, non devono farci perdere i nostri punti di riferimento. Molti progetti qui in Italia, non solo musicali ma anche imprenditoriali, sono soffocati prima ancora di nascere, perché quelle larve umane che ci governano hanno succhiato tutto quello che potevano da qui ed è molto difficile ottenere fondi per le libere imprese. Come al solito cercano di schiacciarti, così, perse le speranze e le possibilità, possono gestirti e manipolarti. L’Italia e gli italiani, nei secoli, hanno avuto un’enorme influenza nel mondo, dall’arte, alla scienza, alla politica e all’economia ora c’è molta decadenza ma, col cazzo che andrei a vivere a Berlino! Solo per il freddo che fa, già mi passa la voglia, piuttosto me ne andrei a Londra che è un po’ la mia seconda casa.
Dal tuo punto di vista quale sarà il “club del futuro” e da che genere, stile musicale sarà caratterizzato? Dove dobbiamo cercare nuove energie e stimoli?
Non saprei dirti quale sarà il “club del futuro”. Oggi accendo Skype e penso che il futuro sia ora, e parliamo di una cosa ormai, alla portata di tutti. So solo che l’unico motivo per cui mi piacerebbe vivere altri 200 anni, è la curiosità di vedere come si evolverà la musica, pensa a tutto quello che è stato composto fino ad ora con sette note e al fatto che la “musica moderna” è veramente giovane, forse considerando i veri giganti della musica e tutto quello che hanno composto, sarà più difficile trovare veri e propri elementi di rottura con il passato, piuttosto ci saranno continui mutamenti, ma non credo che il percorso musicale umano abbia esaurito la sua ispirazione. Gli stimoli, di solito, li riceviamo dall’esterno e questo, a volte, può essere un problema perché quello che hai intorno ha la sua influenza su di te e sulle tue scelte e, spesso, le condiziona. A quel punto devi essere tu il motore che si accende per cercare nuovi stimoli e per cercarli, il cervello si mette in movimento, in quel momento già una stimolazione viene fatta. A parole è facile, ma nella realtà quotidiana, si possono incontrare molte difficoltà, non ultima quella economica, problema comune a molte persone che lavorano in questo campo.
Per finire una curiosità: navigando sul web ho scoperto le tue incredibili foto. In che modo riesci a coniugare questa tua passione con la musica?
Da piccolo passavo ore a disegnare, poi negli anni mi sono dedicato solo alla musica. Quando ho cominciato a fare musica elettronica, pensavo a delle immagini che avessero potuto rappresentare visivamente quello che facevo con la musica, così ho scoperto la mia passione per la fotografia ed è stata una cosa molto liberatoria, non sono un fotografo professionista con la tecnica di un vero fotografo, ma cerco di catturare quello che colpisce la mia attenzione, a volte è sola forma o colori, altre volte può essere legato ad un concetto, altre volte ad entrambi. Prova a osservare la ruggine che si forma sul metallo, come lo trasforma, i colori che crea, per me è una cosa che rappresenta il passaggio del tempo e la mutazione che porta con sé, per altri, è semplicemente ruggine.