Daniel Brandt, Jan Brauer e Paul Frick si sono affermati come un ensemble di strumentisti classici dalle sonorità techno. Sin dall’inizio, il trio berlinese ha esplorato la produzione di musica dance ed elettronica usando combinazioni compositive tutto fuorché tradizionali. Il nuovo album della band, Joy, è in uscita il 28 Ottobre e Soundwall ha fatto loro qualche domanda in proposito.
Come e quando è nata l’idea dei “Brandt Brauer Frick”?
Non è esattamente un’idea, diciamo piuttosto che sono tre persone che hanno deciso di mettersi insieme per fare cose, per la prima volta nel 2008, ed è un processo che da allora è in continua evoluzione.
Avete chiamato il vostro nuovo studio album, il quarto, come uno dei sentimenti più ambiti dall’umanità: Joy (Gioia, ndr). Perché avete scelto questo nome?
Volevamo trattare il sentimento della gioia come un mostro ambiguo che presenta elementi di luce così come d’ombra, un concetto che non fosse una semplice risposta come “questo è quello che ti porta la felicità…” La gioia non è misurabile, anche se molte aziende al giorno d’oggi tendono a venderti questa idea. A volte devi attraversare momenti difficili per poter sperimentare di nuovo la gioia, o in certi casi addirittura per sentirti nuovamente vivo. Ognuno sviluppa le proprie strategie per provare gioia, quindi è strettamente relazionata alla libertà individuale.
Nel vostro album esplorate generi che non sono convenzionalmente associati all’idea di gioia, come krautrock, punk, drum’n’bass, indie rock, new wave e altri generi che rimandano alle sonorità degli anni ’80. Potremmo definirlo un ossimoro.
Hm…non per noi. Alcune persone provano gioia guardando film dell’orrore o mettendo in atto pratiche sadomasochiste. E alcune persone si rattristano quando si confrontano con persone felici o con della happy music con la quale per qualche motivo non riescono a relazionarsi. In fin dei conti, non pensi che tutti i generi che hai citato abbiano dei lati gioiosi da offrire?
Questo è il vostro primo album costruito attorno a delle vere e proprie canzoni. Per quale motivo avete deciso questa volta di focalizzare maggiormente il vostro lavoro sui vocals?
È un processo che è andato in crescendo negli anni. In “Miami” abbiamo lavorato parecchio sui vocals, ma la parte strumentale è stata sviluppata per prima, le parti cantate sono state aggiunte in un secondo momento. Questa volta invece abbiamo iniziato tutto partendo da Beaver Sheppard che canta i pezzi, nati e cresciuti durante lunghe sessioni in studio tutti assieme, tutto il giorno, tutti i giorni e per settimane, così che l’album risulta essere modellato dalle liriche di Beaver. Quando abbiamo iniziato a fare musica con lui non sapevamo che la collaborazione sarebbe diventata l’intero album, ma abbiamo presto realizzato quanto il tutto fosse relazionato a quello che Sheppard aveva da dire e al modo in cui lo riusciva a fare. Se non fosse stato per lui, l’intero album sarebbe completamente diverso.
Come paragonereste questo album ai precedenti?
È sicuramente più ricco di contrasti, presenta maggiori tratti di luce e d’ombra. Quello che secondo noi lo fa funzionare è la voce di Beaver, filo logico che tiene insieme il tutto. Inoltre, è particolarmente lontano dalla tipica costruzione lenta della club music.
Se negli album precedenti Brandt Brauer Frick suonavano più come un ensemble di matrice classica volto a suonare techno, nell’ultimo lavoro si ha l’impressione di trovarsi davanti a una rock band sperimentale. Come si sviluppa una vostra traccia?
In verità solo il nostro album “Mr. Machine” è stato fatto con un Ensemble, e non siamo sicuri che techno sia la parola giusta per descriverlo. Nella nostra esperienza, alcune delle cose migliori sono capitate quando le abbiamo provate per la prima volta, perché solo se sembrano entusiasmanti a te stesso possono entusiasmare anche gli altri. in ogni caso, non decidiamo mai come sviluppare una traccia, ma visto che siamo in tre – o in quattro, adesso – la traccia si sviluppa da sola. E se davvero quello che stiamo provando non sembra funzionare, allora significa che è il caso di provare qualcosa di diverso.
Siete attualmente sul palco della Deutsche Oper a Berlino insieme con il regista Martin Butler per una produzione molto particolare: “Gianni”, sull’ascesa e la caduta di Gianni Versace. Cosa ha portato a questa collaborazione?
Martin Butler ci ha contattato con questa idea più di tre anni fa, e abbiamo istantaneamente apprezzato l’idea di raccontare la storia di Versace attraverso il Voguing e sotto forma di tragedia greca. L’anno scorso l’idea è finalmente diventata concreta e siamo davvero felici di aver messo su insieme a Martin un così gran bel team.
È la prima volta per voi in una performance come questa. Cosa vedremo on stage?
Si tratta di uno show vero e proprio, con cantanti e ballerini incredibili. Il fatto che Martin abbia lavorato nel mondo della moda ha aiutato molto a far sì che tutto appaia particolarmente speciale in fatto di luci, scenografie e parti visive. I costumi, ispirati a Versace, sono dello studio olandese And Beyond, e la parte video di Shan Blume.
Questo impegno teatrale fa parte anch’esso della vostra personale ricerca di gioia?
In verità è una coincidenza che i due progetti vedano la luce così vicino uno all’altro in questione di tempo. Abbiamo cominciato a scrivere l’opera quando “Joy” era già finito, quindi direi che è “Joy” che ha influenzato l’opera. Lavorando su “Gianni” ci siamo anche in qualche modo sentiti liberi di di provare parecchie cose che non avevamo mai provato prima. In più avevamo bisogno di molto materiale in contrasto per fare funzionare la storia, quindi il processo è stato rinvigorente. Abbiamo addirittura cantato noi stessi una versione dell’opera, il che è stata una esperienza completamente nuova. Ma nessuno la sentirà mai, si trattava solo di una traccia per i cantanti, per mostrare loro che cosa volevamo. Sicuramente cantano meglio di noi per fortuna!
ENGLISH VERSION
Daniel Brandt, Jan Brauer, and Paul Frick have established themselves as an ensemble of classically-trained instrumentalists who make techno. Since the beginning, this Berlin-based trio has been exploring dance music production using unorthodox combinations of instruments and compositional. Their new album, Joy, will be released on October 28th, and Soundwall asked them a few questions about it.
How did the idea of Brandt Brauer Frick was born and when?
It’s not exactly an idea, it’s rather just three people deciding to do things together. That first happened in 2008 and is still renewing itself.
You called your new studio album, the 4th, as one of the most aimed feelings: Joy. Why did you choose this name?
We wanted to treat the feeling of joy as an ambiguous monster with light and shadow, not as a simple answer like: this is how you get happy… Joy is not measurable, even if many companies tend to sell that idea. Sometimes you have to go through bad times in order to feel joy again, or to even feel alive again. Everybody develops different strategies to feel joy, so it’s closely related to everybody’s freedom and unfreedom.
You explore genres and styles that are not conventionally associated with joy: krautrock, punk, drum’n’bass, indie rock, new wave and other genres with an 80’s sound. It’s quite an oxymoron.
Hm…not for us. Some people feel joy watching horror movies or going to an SM studio. And some people get all sad when they are confronted with happy people or also happy music they can’t relate to for some reason. Still, don’t you think all the genres you name have very joyful things to offer?!
This is your first song-based album, why did you decided to focus your work on vocals?
It came more and more over the years. On ‚Miami‘ we already worked with vocals quite a lot, but we rather made the instrumentals first and then had the singers sing on top. This time we started everything right away with Beaver Sheppard who sings on all the songs. All of them came up while hanging out together in the studio for weeks every day all day, and the album is very much shaped by Beavers lyrics. When we started to make music with him we couldn’t know yet that it would become this whole album. But soon we realized how much we relate to what he has to say and how he does it. If it wasn’t for Beaver, the album would be a different one.
How would you compare this album to your other ones?
It has more contrast, more light and more shadow. What makes it work for us is that Beavers characteristic voice holds everything together. It’s also further away from the typical slow build-up of club music.
If the last albums were more about a classical ensemble making techno, in this album you sound more like an experimental rock band. How do you decide how to develop a track?
Actually only our album ‚Mr. Machine‘ has been made with an Ensemble. And we’re not sure if techno is the right word for it. In our experience, some of the best things happen when we try something for the first time. Because only if it seems exciting to yourself, it has the chance to excite others too. But we never have to decide how a track develops. As we are three people or now four people, it rather happens on its own. And if it does’t really seem to work, then it’s a sign that we need to try something else.
You will be on stage at Deutsche Oper in Berlin together with the director Martin Butler on a very particular production: Gianni, about Gianni Versace rise and fall.
How did this collaboration came?
Martin Butler contacted us with the idea more than three years ago, and we instantly liked the idea to tell Versaces story through voguing and as a greek tragedy. Last year it finally became concrete and we are really happy that Martin and us were able to gather such a great team.
It’s your first time on a performance like this. What will we see on stage?
It’s a proper show with incredible singers and dancers. The fact that Martin worked in fashion a lot helped to make everything look very special in terms of lighting, stage and video. The Dutch studio And Beyond made the costumes inspired by Versace and Shan Blume the video.
Is this theatrical effort part of your “Joy” search as well?
It is actually a coincidence that both projects are seeing the light this closely together. We started to write the opera when ‚Joy‘ was already finished, so it’s rather ‚Joy‘ that influenced the opera. Working on ‚Gianni‘ we also somehow felt free to try out many things we hadn’t before. And also we needed a lot of contrasted material to make the story work, so the process was refreshing. We even sang a version of the opera ourselves, which was a totally new experience. But nobody will hear that, it was just for the singers to show them what we want. They do it better than us luckily!