Ormai nell’ambito dei club siamo sempre più spesso costretti a sostituire “in consolle” con “sul palco”: da anni band e collaborazioni stanno conquistando il panorama dance; da chi sceglie di far accompagnare i suoni dei circuiti stampati da quelli di real instruments, a chi invece sceglie di far accompagnare i suoni di quest’ultimi da quelli sintetici. Qui su Soundwall ne abbiamo incontrati molti di artisti e band che hanno deciso di esplorare anche questa nuovo volto della musica elettronica; gente come Laurent Garnier, Apparat, Aufgang, Aucan, Bugge Wesseltoft e molti altri. A questi, oggi, ne aggiungiamo un altro, un altro progetto, formato da Daniel Brandt, Jan Brauer e Paul Frick: i Brant Brauer Frick per l’appunto, che poi, con l’aggiunta di altri 10 elementi da grand orchestra, sono divenuti i Brant Brauer Frick Ensemble. I tre uniscono jazz, classica, house, classica contemporanea, techno, minimalismo e sperimentazione. Ma non è tanto questa miscela di generi la novità, quanto il loro modo di lavorare, il concretismo che pervade la loro musica, l’interesse nel far parlare qualsiasi parte dello strumento. Si passa dall’esplorare i suoni di un pianoforte preparato a quelli nascosti dietro il fusto o le corde di un rullante, di un arpa o di un violino. Dopo aver rilasciato nel 2010, come BBF, l’album “You Make Me Real”, contenente vere e proprie perle come “Bop”, “Paparazzi” o “R.W. John”, i 3 si sono ripresentati nel 2011 come BBFE rilasciando, sempre sulla !K7, l’album “Mr. Machine”, in cui vengono reinterpretati molti brani del primo album e altri di James Braun, Agnes Obel e Emika (la rivisitazione di “Pretend” di quest’ultima è veramente un lavoro degno di nota). Come è ovvio che sia, per apprezzare a fondo un tale progetto, è necessario assistere ad un loro live. Noi infatti ce li andiamo ad ascoltare sabato 21 Aprile all’Elita Festival. Voi che fate? Mentre ascoltate “Pretend” e leggete le parole di Paul Frick, pianista del trio, decidete cosa fare… Noi scommettiamo vi vedremo questo sabato all’Elita Theater di Milano!
Ciao ragazzi, benvenuti su Soundwall.it! Iniziamo senza grandi colpi di scena: partiamo dalle vostre origini musicali. Provenite tutti da un panorama diverso da quello elettronico, le vostre radici affondano più nel jazz e nella classica. Quali sono stati i vostri primi profondi contatti con l’elettronica e come l’avete inserita nel vostro background musicale?
In realtà, non è che proveniamo proprio uno da una parte e uno dall’altra musicalmente parlando. Ognuno di noi tre ha sperimentato diversi generi sin dagli inizi. Quando ci conoscemmo stavamo tutti lavorando a diversi progetti influenzati dall’house music, quindi l’elettronica non era assolutamente qualcosa di nuovo per noi quando abbiamo fondato i BBF. E’ vero, però, che personalmente ho iniziato a frequentare i club molto tardi. Le prime cose che mi hanno fatto capire quale fosse la libertà che si sprigionasse nei dancefloor sono state “Textstar” di Farben o “First Floor” di Theo Parrish. In generale non ho mai notato grandi contraddizioni fra differenti stili musicali; tecnicamente sai già qualcosa sulla techno se hai suonato precedentemente in jazz bands. Al contrario, Jan e Daniel frequentavano i club da molto prima rispetto a me.
E dopo i vostri studi come vi siete incontrati? Come stavi dicendo, già prima di conoscervi stavate lavorando a progetti non del tutto classici…
Mi piaceva il progetto “Scott” di Jan e Daniel, così li ho contattati tramite Myspace. Ci siamo incontrati per caso poco dopo e abbiamo deciso di organizzare una session assieme. Mi piaceva soprattutto il modo originale con cui suonavano gli strumenti, loro invece sono rimasti incuriositi dal mio modo di amalgamare la classica all’house. Eravamo sin dagli inizi in forte sintonia.
Ho letto che a Berlino hai studiato con Friedrich Goldmann. Se posso, vorrei chiederti: com’era umanamente e come insegnante?
Ho studiato con lui per 8 anni, principalmente lezioni private, quindi ho avuto il privilegio di conoscerlo molto bene. Dopo pochi anni il nostro rapporto si trasformò in qualcosa di più del semplice legame che intercorre fra un insegnate e il suo pupillo. Questa probabilmente è stata una delle cose più belle che mi siano mai accadute: trovare una persona del suo calibro che in quella scena, quella classica contemporanea, apprezzasse e prendesse seriamente ciò che facevo all’epoca. Generalmente era una persona molto critica, in maniera positiva però. Mi motivava a far sempre meglio. Non si interessava solo dell’aspetto puramente musicale, ma anche di tutte le sue implicazioni, il che indica un forte interesse per tutte le ripercussioni della musica sulla vita. Infine penso sia stato il più grande intellettuale che io abbia mai conosciuto. A volte era complicato perché mi faceva domande su qualsiasi cosa o scelta io facessi, d’altra parte sapevo che era giusto così…
Continuando a parlare di figure importanti, ti vorrei chiedere: qual è stata, durante la tua crescita musicale, una figura veramente importante? Non mi riferisco solo ad artisti di fama internazionale, bensì a qualsiasi figura, dall’organista della chiesa a te più vicina a Steve Rich, qualsiasi individuo vi abbia lasciato qualcosa di veramente importante per la vostra crescita!
Per me fu la mia prima insegnante di piano, avevo 7 o 8 anni. Da subito mi fece capire che suonare il piano non significava solo eseguire le composizioni altrui, ma anche improvvisare e impazzire su quella tastiera.
E dopo anni di studi e di sperimentazioni la vostra concezione e il vostro utilizzo dello strumento si sono decisamente evolute: qual è oggi la visione che avete dello strumento musicale? Parlaci del modo in cui lo manipolate e ricercate tutti i suoi suoni…
Cerchiamo di lavorare sugli strumenti nel modo più ingenuo e intuitivo possibile. Quando giochiamo con le parti del piano o chiediamo ai musicisti dell’Ensemble di cercare qualche nuovo suono con i loro strumenti è tutto un tentare e sbagliare, finché non troviamo qualcosa che ci piace. Qualsiasi cosa può essere uno strumento musicale. Per come la vedo io, però, ciò che conta è avere la giusta idea prima dello strumento attraverso il quale realizzarla. Dall’altra parte, provare nuovi strumenti o modi di suonarli porta sempre nuove idee… Quindi diciamo che entrambe le procedure sono in forte connessione fra di loro.
Il 21 Aprile suonerete a Milano durante la nuova edizione dell’Elita Design Week Music Festival. Che anticipazioni puoi darci su questo live? Vi presenterete come Brant Brauer Frick Ensamble…
L’Ensemble sarà composta da violino, violoncello, trombone, tuba, arpa, piano, tre percussionisti e un Moog. Rivisiteremo molti brani dal nostro album “Mr. Machine”. Dovresti seriamente assistere alla nostra performance!
Ti assicuro che saremo in prima fila sabato! Dall’Elita di Milano passerete, a Giugno, al M.I.T. di Roma, due dei festival più importanti di tutto il panorama italiano e non solo. Suonerete prima in un teatro e poi in una sala da concerto. Allo stesso tempo, in passato, avete suonato in un museo d’arte moderna come al Berghain! Insomma, venue profondamente differenti l’una dall’altra. Come cambia la vostra musica e il vostro approccio in dipendenza della location? Senti che l’atmosfera plasmi in qualche modo le vostre performance? Sfruttando i tuoi ricordi, dacci qualche esempio…
L’atmosfera delle venue in cui suoniamo plasma decisamente la nostra musica. Suonare in contesti così diversi, da veri e propri rave a sale da concerto, mostra sfaccettature della nostra musica che a volte neanche noi conoscevamo o che perlomeno percepiamo ogni volta in maniera differente. Ovviamente in alcuni momenti abbiamo notato che il nostro mood non si addiceva adeguatamente al luogo. Mentre il trio BBF si adatta forse meglio ad un club o ad un luogo in cui il pubblico vuole ballare, la nostra Ensemble è qualcosa di più delicato e necessita di un pubblico un po’ più concentrato. L’altr’anno, dopo alcuni set veramente potenti, abbiamo suonato al Sonar davanti a una folla quasi da rave party. La cosa non andò troppo bene con i pezzi più delicati e sciolti, ma alla fine penso ci siamo ripresi con i nostri brani più dritti e diretti. In realtà questa questione, cioè quale luogo si addica maggiormente alla nostra musica, ci ispira molto. Ma in fondo non vogliamo trovare una risposta, preferiamo continuare a provare di tutto.
Immagino che suonare in 13 o in 3 non sia proprio la stessa cosa. Sopratutto se si pensa che la vostra musica punta molto sull’improvvisazione! A parte il numero degli elementi, cosa pensi cambi veramente dai BBF ai BBF Ensamble?
Con l’Ensemble siamo costretti a rispettare le partiture, un’eccessiva improvvisazione danneggerebbe la trasparenza e la freschezza dei brani. Rimangono anche lì, però, alcuni passaggi in cui possiamo improvvisare. Quando invece siamo solo io, Daniel e Jan le cose si capovolgono: i nostri concerti sono infinite jam session, pur sempre basandosi su strutture di brani preesistenti.
Alla fine di “606 ‘N’ Rock ‘N’ Roll”, ultima traccia di Mr. Machine, c’è una ghost track di circa 50 secondi… Perché? Cosa c’è dietro quei pochi secondi di musica?
Musica!
Per concludere parliamo un po’ del futuro: a quali nuovi progetti e collaborazioni state lavorando attualmente? State già lavorando al vostro prossimo album? Anticipaci il vostro futuro…
Proprio in questo periodo stiamo lavorando al nostro prossimo album. Tutto ciò che possiamo dire è che sarà un lavoro diverso rispetto a quello che abbiamo fatto finora. Posso dirvi, per darvi un assaggio, che daremo più spazio alla voce…
English Version:
By now, we are more and more often forced to replace “in consolle” with “on stage”: bands and collaborations are conquering the dance scene; from those who chooses to accompany the sounds of PCBs with those of real instruments, to those who, on the contrary, chooses to accompany the sounds of the latter with the synthetic ones. Here, on Soundwall, we met many artists and bands that have decided to explore this new face of electronic music, people like Laurent Garnier, Apparat, Aufgang, Aucan, Bugge Wesseltoft and many others. To these, today, we add another project, formed by Daniel Brandt, Jan Brauer and Paul Frick: the Brant Brauer Frick precisely, that, with the addition of another 10 elements, became Brandt Brauer Frick Ensemble. The three combine Jazz, Classical Music, House, Contemporary Classical, Techno, minimalism and experimentation. But the novelty it’s not this mixture of genres, but the way of working of the trio, the concretism that pervades their music, the interest in making any part of the instrument talking. They goes from exploring the sounds of a prepared piano to those hidden behind the strings of a snare drum, a harp or a violin. After releasing in 2010, as BBF, the album “You Make Me Real”, which contains real gems like “Bop,” “Paparazzi” or “RW John “, the three published in 2011, as BBFE but always on! K7, the album” Mr. Machine “, which contains many interpretations of tracks from the first album and other songs by James Braun, Agnes Obel and Emika (the work on “Pretend”, originally by Emika, is really a great work). Obviously, to fully appreciate this project, you must attend one of their live, infact we are going to listen to them at the Elita Festival on Saturday, 21th April. And you, what are you going to do? While listening to “Pretend” and reading the words of Paul Frick, pianist of the trio, let’s decide what to do… We bet we’ll see you this Saturday at the Elita Theater in Milan!
Hi guys, welcome on Soundwall.it! Let’s start without twists: from your music origins. You all come from a different scenary from the electronic one, your roots lie more in the Jazz and Classic world. What were your first deep contacts with electronic music and how did you place it in your musical background?
It’s actually not like we come more from one side than from the other. All three of us have played many different styles from early on. And when we met, we were all making some sort of house music, so it’s not like electronic music was new to us when we started BBF. But it’s true that I got into club music very late. The first records that made me aware of the freedom lying in club music were things like “Farben – Textstar” or “Theo Parrish – First Floor”. In general, I never saw real contradictions between the different styles of music, and technically you already know something about Techno when you’ve played in Jazz bands before. Contrary to me, Jan and Daniel were into club music from early on.
And after your studies, how did you meet each other? Even before meeting you, I’d say you were working on projects which were not really “classic”…
I liked Jan’s and Daniel’s project “Scott” and contacted them on myspace. By chance we met soon after and decided we should make a session together. I liked the original way they used real instruments, and they found it interesting that I made house and contemporary classical music at once. We somehow had a good chemistry from the start.
Talking about important figures, I would ask you: who was a really important figure in your musical growth and why? I’m not referring only to international renown artists, but to any figure (from the organist of the church of your chilhood, to Steve Reich), anyone who left you something very important for your musical growths!
For me that was already my very first piano teacher, when I was seven or so. She made it very clear from the beginning that playing the piano was not only about reproducing other people’s compositions but also about improvising and freaking out.
I read that you studied in Berlin with Friedrich Goldmann. If I can, I’d like to steal you a curiosity: how was he humanly and as a teacher?
I studied with him during 8 years, which meant mainly private lessons, so I had the privilege to know him very well. After a few years it was more than a normal teacher-pupil relation and he was probably the best that could happen to me in a (contemporary classical) scene where nobody else took serious what I did at that time. He was generally very critical, in a way that motivated me a lot, because it was never only about music but about any of its implications, which basically means any matter of life. Needless to say he was the most intellectual person I ever met. Sometimes it was hard because he made me question anything I did, but I kind of know it was right like that…
And after years of study and experimentation, your understanding and your use of the instrument have evolved significantly, I think. What is now the conception you have of a musical instrument? Tell us about the way you manipulate instruments and you search for all its sounds…
We try to work with instruments in the most naive and intuitive way. When we mess around with objects in the piano strings or ask our ensemble musicians to try weird sounds with their instruments, it’s all about trial and error, until we get something we like. Anything can be a musical instrument. But to me having a good idea is much more crucial than finding an instrument to translate it. On the other hand, trying new instruments or ways to play brings new ideas as well, so both ways work and ideally should interfere with each other.
April 21th you will play in Milan during the new edition of Elita Design Week Music Festival. Can you give us a “forecast” about this next live show? You’re going to present yourself as Brandt Brauer Frick Ensemble…
Our Ensemble consists of violin, cello, trombone, tuba, harp, piano, 3 percussionists and a Moog synthesizer. We’ll play mostly music from our album “Mr. Machine”. And you should see our gig!
You will play in Milan during the Elita and than in Rome for the Meet In Town @ Auditorium, two of the most important festivals of the whole Italian scene and beyond. You are going to perform first in a theater and then in a concert hall. In the past, you played in the pristine halls of the Modern Art Museum and in harder venues like Berghain! Well, they are deeply different from each other. How does your music and your approach to it change depending on the location? In your opinions, does the atmosphere of the venue shape in some way your performances? Using your memories, can you give us some examples?
The athmosphere of the venue shapes our music a lot! Playing in such different contexts between a proper rave and a seated concert even shows us facets of our music we were not aware of, or at least makes us percieve it in a different way. Of course we had also moments in which we noticed that our music doesn’t suit the place. While our trio suits probably best in clubs or whenever people want to dance, our Ensemble is more delicate and needs a context in which people are slightly more focused. Last year at Sonar we played for a total rave crowd, after some bumping club sets. That didn’t work out so well during the more delicate and free pieces, but in the end I guess we had them with our more straight forward and rocking pieces. Actually that tension, the open question which kind of place would suit best to our music, inspires us pretty much. We don’t really want to find an answer, we rather want to keep on trying it all out.
I imagine being 13 or 3 elements in the studio/stage is not quite the same thing. Especially if one think that your music places heavy emphasis on improvisation! Apart from the number of elements, what really does it change between the BBF and the BBF Ensemble?
With the Ensemble we mainly have to stick to the scores, because improvisation would harm the transparency and crispness of the music. There are a few improvised parts though. But with only Daniel, Jan and me it’s the contrary: our gigs are one big jam session, even though based on existing pieces.
At the end of “606 ‘N’ Rock ‘N’ Roll”, last track of Mr. Machine, there’s a 50 seconds ghost track… Why? What is there behind those few seconds of sounds?
It’s music!
And finally, let’s talk about the future: what new projects and collaborations are you currently working on? Are you already working on your next album? Can you give us any spoilers about the future of Brandt Brauer Frick…
We’re right now working on the next album. All we can say at this stage is it’s pretty different from what we’ve done so far. And it will feature more vocals.