Venticinque anni sono un bel traguardo, soprattutto se sei un club in una città in continua evoluzione come Berlino. Il nome dice tutto, Tresor, e siamo sicuri non ci sia bisogno di presentazione alcuna, la storia parla da sola: venticinque anni di musica, un quarto di secolo di artisti, di party lunghi tutta la notte e anche di più. Per l’occasione si è deciso di festeggiare in grande stile, regalando a tutti gli amanti del club di Kopenickerstrasse un festival organizzato ad hoc: gli artisti che hanno scritto le pagine di storia del club e della omonima label si sono esibiti tra le consolle di Ohm, Kraftwerk e Tresor per quattro giorni. DJ Stingray, Regis, Surgeon, James Ruskin e Robert Hood sono solo alcuni dei nomi che hanno arricchito la corposa line up del festival.
Ovviamente, noi non potevamo farci sfuggire questa così ghiotta occasione di ascoltare tanta buona musica e dal 21 al 24 luglio siamo andati a vedere che aria tirava sulle rive della Sprea.
Per farvi rivivere i momenti salienti del festival attraverso i nostri occhi, abbiamo deciso di scrivere un report a due mani, dove ci siamo scambiati le nostre opinioni: d’altra parte non ci sono regole che stabiliscono a priori cosa può aver funzionato, cosa no, cosa così e così e via dicendo. Il modo migliore per farvi capire come è andata, è un sincero scambio di battute che raccontano le nostre impressioni.
Eccoci arrivare e varcare il cancello che separa la strada dal complesso del Tresor. Già dal giorno di apertura, la file sia per le guestlist che al botteghino erano notevoli: non solo berlinesi e assidui frequentatori del clublife della capitale tedesca, ma anche tanti turisti provenienti da ogni parte d’Europa sono arrivati per partecipare ai venticinque anni del club tedesco.
Diana e Alex, gli organizzatori, già dalla serata d’apertura hanno voluto fare le cose in grande: la prima giornata ha infatti avuto per protagonisti, tra gli altri, “nientepopodimeno” che DJ Stingray, Juan Atkins, Moritz Von Oswald, Helena Hauff e Arpanet.
VALERIO: È stato proprio un peccato, Conny, che tu giovedì non ci fossi. Sai perché? Oltre a tutto il resto è successo qualcosa che non accade mai negli altri club/festival in giro per il mondo, qualcosa che sarà ricordato per tanto tempo: una situazione così particolare che tra qualche anno la gente si potrà vantare di dire “io c’ero”.
Berlino e Detroit, è l’asse che Dimitri Hagemann (proprietario e fondatore del Tresor) ha sempre voluto mantenere vivo, forte e indissolubile, perché è a Detroit che il tutto è nato e deve essere a Berlino, al Tresor, che il tutto continua a vivere e così è stato. A sorpresa, nella location dell’Ohm, prima della chiusura del Day1 del festival, c’è stato uno di quei blocchi temporanei che se ci pensi lì per lì non capisci dove sei e perché ci sei, ma sei solo felice di averne preso parte. Uno di quei momenti che hai visto solo nei documentari sulla techno, letto sui libri o immaginato ascoltando musica a casa: DJ Stingray, Juan Atkins, e Moodymann, hanno condiviso insieme la stessa consolle, raccontando la storia e compiendo un viaggio nel tempo che seppur immortalato da una fotografia, ti fa confondere su quando il tutto sia successo e se sia accaduto davvero. L’hai vista questa foto?
COSTANZA: Caspita Vale, non dirmi così, anzi dimmelo perché immagino sia stata una di quelle esperienze che difficilmente ti dimenticherai. Purtroppo non c’ero, è vero, però sai un’altra cosa che non scorderò di questo festival? Il Kraftwerk. Ok, ne abbiamo già parlato tante volte di questa ex centrale elettrica immensa, le cui porte vengono aperte al pubblico solo in occasioni particolari – vedi il Berlin Atonal – nonostante il suo ingresso sia nello stesso stabile del Tresor, ma per me era la prima volta e sono rimasta davvero sbalordita dall’altezza dei soffitti e non solo. Forse ho trovato poco “smart” la sistemazione del soundsystem, il QX-Series della Lambda Labs, posizionati unicamente ai lati della consolle. Vista l’ampiezza degli spazi il suono si disperdeva costringendoci a stare tutti ammassati nello stesso punto, forse si poteva studiare un po’ meglio in maniera che si potesse sia ballare comodi che sentire bene, invece spesso sono dovuta andare al centro del dancefloor per poter apprezzare appieno le performance dei dj. Anche all’Ohm non è andata meglio: durante il set di Juan Atkins riuscivo a cogliere più i discorsi della gente che la musica proposta dal produttore statunitense e questo non è bene, perché ho avuto come l’impressione che l’Ohm venisse usato più come “sala chillout” che come stage dove sentire della buona house music. Hai riscontrato anche tu questo difetto nelle due location?
VALERIO: Si Conny, mi trovi totalmente d’accordo sul fatto che l’Ohm, a partire dal secondo giorno del festival in poi (giorno in cui è stato aperto anche il Tresor), sia stato considerato un po’ come la “sala chillout” del party, sebbene suonassero personaggi davvero importanti, quali lo Juan Atkins che hai già citato anche tu e Moritz Von Oswald. In realtà, non so quanto la situazione creata all’Ohm fosse un male, l’idea di ritagliare uno spazio un po’ meno caotico in un festival ci sta eccome, dispiace giusto perché artisti così importanti non hanno goduto dell’attenzione del pubblico che avrebbero meritato. In compenso però, sono rimasto molto soddisfatto della situazione al Tresor. Conoscendo il posto, avevo il timore prima dell’apertura del festival, di trovare una situazione un po’ complicata al suo interno – e mi riferisco al sovraffollamento e al caldo -, invece il tutto era abbastanza gestibile ed è stato un piacere godersi parte dei set di Jonas Kopp, Sterac, un DJ Hell sopra le righe e un Regis un po’ più sottotono e deludente. Quest’ultimo, l’ho apprezzato molto di più qualche ora prima, quando si è esibito in live set con Ruskin al Kraftwerk in versione O/V/R.
Il secondo giorno al Kraftwerk, effettivamente ho sentito solo performance di livello, da menzionare assolutamente quella di James Ruskin – andata in scena sabato alle 13:00 – che ha avuto la capacità di dare una bella scossa al dancefloor grazie alla sua techno dinamica e incalzante. Un altro che ho davvero apprezzato e sentito parecchie ore prima di Ruskin è DJ Pete che si è confermato, da bravo “berlinese di casa”, un esperto dei party cittadini dimostrando ancora una volta di saper coinvolgere il pubblico nella maniera più adatta in base alla location, al tipo di party e, dettaglio da non sottovalutare, orario in cui ha suonato. Note positive anche per Donato Dozzy e Dasha Rush, che per l’occasione hanno proposto due set leggermente più dinamici di quelli che possiamo sentire normalmente: più carichi di vibe e forse meno intensi a livello mentale, ma in grado di coinvolgere tutti quanti riscontrando solo feedback positivi e applausi.
Penso che nel complesso sia stato il giorno due quello migliore a livello qualitativo. A parte il live set di Surgeon, che ho trovato un po’ banale e non all’altezza dei normali standard ai quali il chirurgo di Birmingham si attiene, per il resto è stato un piacere per le orecchie. Il Kraftwerk, è una location pazzesca e poter fare del “raving” al suo interno è stata una fortuna oltre che una bella esperienza.
Durante l’Atonal infatti, le performance sono decisamente più sperimentali o ambientali, e nonostante la situazione concerto sia fantastica, si va a perdere parecchio l’essenza “club” del posto. In poche parole, sebbene si dedichi molta attenzione all’ascolto (e alla vista nelle performance audio-visive), si balla poco o niente. Sul soundsystem, cosa dirti? Ho riscontrato lo stesso problema ogni volta che sono andato al Kraftwerk. Purtroppo l’edificio è così grande che riuscire ad incanalare il suono omogeneamente in tutta la struttura penso sia davvero difficile. Il terzo giorno, tra i tanti, c’è stata l’attesissima performance di Robert Hood, come è andata? Io avrei tanto voluto sentire Zadig al Tresor alle 07:30, ma purtroppo per motivi familiari non si è potuto presentare.
COSTANZA: Forse farò sempre la parte di quella che si lamenta, però non mi è proprio piaciuto il modo nel quale hanno fatto fronte alla mancanza di Zadig: mi spiego. Ad un festival con così tanti artisti, può capitare che un paio diano forfait per motivi personali (anche Objekt non si è esibito ad esempio), ma normalmente subito dopo aver saputo della mancanza dell’artista ci si adopera per far sapere al pubblico chi ne prenderà il posto e in questa occasione non è stato così. Acronym ha suonato al posto di Zadig e nessuno lo sapeva, tanto che in molti abbiamo pensato fosse rimasto a casa pure lui perché nel running order dell’Ohm non figurava più e sarebbe dovuto salire in consolle subito dopo Fumiya Tanaka. Chiaro è che, conoscendone il viso e facendo un giro al Tresor, subito ci si sarebbe accorti che la performance del produttore svedese era stata anticipata e cambiata di sala, ma nessuno era stato avvisato.
Parlando di Hood invece nulla da ridire, anzi: il dj set del produttore americano è stato dinamico e interessante, perfetto per l’orario nel quale ha suonato, dalle sette alle nove di mattina. Sono state due ore ricche di buona musica, nessun colpo di scena particolare, ma la pista ha risposto davvero bene ad una scaletta musicale che conteneva per lo più successi nuovi e vecchi dell’artista statunitense come ad esempio “Minus” e l’ormai immancabile “Never Grow Old”. Dopo Hood però è come se la festa si fosse bloccata per ricominciare la sera con Oscar Mulero. Un Kraftwerk pressoché vuoto ha accolto l’ultimo dj in scaletta, Roman Poncet, e, forse anche per le temperature elevate, nonostante all’Ohm ci fossero artisti di tutto rispetto come Fumiya Tanaka e Bihn, gran parte della gente ha preferito fare una pausa per presenziare al gran finale della domenica con Mulero a chiudere il Tresor ed Ellen Alien a scaldare il dancefloor del Globus.
VALERIO: Si, dopo il set di Roman Poncet il Kraftwerk ha chiuso e sono rimasti aperti solo Tresor e Ohm anche se molta gente era andata via; dopotutto era anche mattina inoltrata. Nelle tenebre del Tresor c’erano Pacou e Bill Youngmann con la loro techno assordante e aggressiva, all’Ohm Fumiya Tanaka e Bihn avevano ritmi parecchio più blandi ovviamente. Sono stato un po’ da Bihn e devo dire che, sebbene si sia confermato un “non-fenomeno” tecnicamente, ho apprezzato la sua selezione molto di più rispetto a quella scelta dal collega giapponese. La chiusura che dire? E’ stato un Mulero party. Il produttore spagnolo ha iniziato il suo set alle 18:00 dietro la gabbia del Tresor, e l’ha terminato alle 24:00 dopo sei intensissime ore. La cosa che più mi ha sorpreso, oltre alla consueta eleganza che caratterizza lo stile dei suoi set, è stata la concentrazione con la quale si è esibito per tutto il tempo e la situazione di totale coinvolgimento che è riuscito a creare. Un bel highlight da ricordare è stato quello che ha accompagnato il suo disco di chiusura, le facce soddisfatte ed emozionate dei presenti, il guardarsi intorno sperando di avere un “sì” come risposta: “lo sai come si chiama questo disco?”